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Fortitudo: Il cielo con un dito

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Ci sono pagine della storia fortitudina in cui i risultati sul campo sono marginali rispetto le indelebili emozioni regalate dai loro protagonisti.
Il Barone Schull, nel suo quinquennio bolognese, non ha mai sollevato un trofeo di squadra, eppure è divenuto idolo imperituro e simbolo dei colori biancoblu. Un ventennio dopo, Teo Alibegovic si è erto ad eroe eterno per aver deciso uno spareggio salvezza di seconda serie: per quanto essenziale per i destini dell’Aquila dell’epoca, non esattamente il successo più prestigioso. E ancora come non menzionare Vincenzino Esposito, i cui più importanti successi in carriera sono arrivati lontano da Bologna, oppure Carlton Myers, icona biancoblu ben prima di cancellarsi di dosso l’etichetta di perdente di lusso.
E così via dicendo, anche nel nuovo ciclo della rinata Aquila c’è stato un gruppo di ragazzi che si sono guadagnati un posto di rilievo nei cuori del popolo fortitudino, benché si siano resi artefici di un’imprevedibile impresa solamente sfiorata.
 
Per il proprio ritorno in serie A2, che sembra riannodare un filo perso cinque anni prima tra fideiussioni e mutui da estinguere, la Fortitudo sceglie di confermare gran parte del roster della stagione 2014/2015: accanto al neo capitano Marco Carraretto, rimangono Leonardo Candi, Matteo Montano, Gennaro Sorrentino, Davide Raucci, Nazzareno Italiano e Andrea Iannilli. Per completare le rotazioni, vengono poi aggiunti un giovane playmaker proveniente da Roma, quel Luca Campogrande che nelle successive due annate saprà ritagliarsi un ruolo importante tanto da risultare a molti indigesto il suo improvviso addio, ed il “potenziale Olympiakos” (…) Franz Quaglia, già reduce dall’ultima versione sacratiana della Fortitudo pre-radiazione. La scelta dei due USA ricade poi su una non più giovanissima guardia, ai più sconosciuta e pescata dal campionato rumeno, di nome Jermaine Jonte Flowers e su Ed Daniel, pivot dotato di grande atletismo, benché sulla carta sottodimensionato per il ruolo, già noto nel panorama cestistico italiano per un paio di altalenanti stagioni in massima serie. A posteriori, saranno giocatori rimpianti per almeno due anni visto il contributo di coloro che li hanno succeduti.
Le incognite alla vigilia non sono poche: dopo il ritiro di Davide Lamma, sono ben pochi i giocatori del roster che hanno testato il secondo campionato nazionale ed ancora meno quelli che vi hanno inciso. L’obiettivo dichiarato dalla società è quindi il mantenimento della categoria e solo un coach visionario, nel suo intimo, può immaginarsi orizzonti più ampi mentre assiste i suoi ragazzi che sudano in palestra già dai primi giorni di luglio, quando la maggior parte dei loro colleghi è ancora sdraiata sotto l’ombrellone.
L’avvio della nuova stagione è nel perfetto stile fortitudino: in salita, con grande sofferenza. In prestagione si infortuna Daniel, tanto da rendere necessario il tesseramento di un sostituto temporaneo, il croato Ivica Radic, per caratteristiche agli antipodi del treccioluto from Birmingham, Alabama. A rendere ancor più traumatico l’impatto con la nuova categoria è l’esilio forzato dal PalaDozza per le prime due partite casalinghe, disputate a Rimini per una squalifica ereditata dagli ultimi playoff: e così nelle prime quattro uscite stagionali, arrivano tre sconfitte, tanto per chiarire che il percorso non sarà facile come l’anno precedente.
I primi mesi proseguono tra alti – per lo più nel fortino di Piazza Azzarita – e bassi, tra cui l’inconcepibile sconfitta di Matera, fanalino di coda destinata alla retrocessione, che costa alla squadra una memorabile sfuriata di coach Boniciolli, un lungo viaggio di ritorno notturno in pullman ed il più classico dei paterni “a letto senza cena”.
La svolta giunge i primi giorni di gennaio. Non senza mugugni – sui muri del PalaDozza compare la scritta “non si taglia chi suda per la maglia” – viene ceduto il totem Andrea Iannilli, ormai confinato ad un ruolo sempre più marginale nelle rotazioni, e viene sostituito da Valerio Amoroso, curriculum di tutto rispetto ma sul quale incombono dubbi di natura caratteriale, anagrafica e soprattutto fisica: per la (futura) gioia del popolo biancoblu, l’ormai 35enne di Cercola, talento purissimo quanto fumantino, è reduce da un infortunio al ginocchio ed arriva alla Fortitudo dopo non aver superato le visite mediche con Scafati.
Inutile dire che in poco tempo tutti i dubbi verranno spazzati via dall’eleganza, il carisma e le abilità tecniche di uno dei più entusiasmanti atleti che abbiano indossato la maglia dell’Aquila. E non si contano i cuori infranti quando a fine stagione la sua conferma verrà sacrificata sull’altare del bilancio e dei presunti equilibri tattici per far spazio al ritorno di Stefano Mancinelli: non è dato a sapere se i due, peraltro grandi amici, sarebbero stati compatibili sul campo da gioco, ma è indubbio il rammarico per non aver potuto ammirare un giocatore del genere difendere i colori biancoblu per almeno un’altra stagione.
 
Ad ogni modo, ritrovata la salute dei suoi due americani e mezzo, la squadra inizia a marciare, centrando la settima posizione sul campo di Ferrara ed ottenendo così l’accesso ai playoff. L’obiettivo minimo stagionale è stato raggiunto, ma s’è vero che l’appetito vien mangiando, siamo solo all’inizio del capolavoro.
Mentre alcune squadre si preparano alla lotteria dei playoff rinforzandosi con ex giocatori di Eurolega, l’Aquila decide di allungare le proprie rotazioni rispolverando il 40enne Davide Lamma, ritiratosi senza grande entusiasmo l’estate precedente e nel frattempo reinventatosi direttore sportivo e boxeur.
Un intero playoff da giocare con il fattore campo a sfavore, fin lì vera e propria arma in più dei Boniciolli’s boys, appare una montagna davvero troppo ripida da scalare e nessuno si crea grandi illusioni. Il primo ostacolo è Agropoli, seconda classificata del girone Ovest sulle ali della coppia di super americani Roderick-Trasolini. Ma i colored della Fortitudo non sono da meno e sono circondati da un gruppo di ragazzi che difendono come forsennati: già in gara 1 la F espugna la terra campana, per poi chiudere la serie nelle due partite casalinghe.
L’avversario successivo proviene sempre dal girone Ovest ed è l’altra Fortitudo, quell’Agrigento guidata dell’ex Alessandro Piazza. Anche in questo caso il fattore campo salta subito, ma la preziosissima vittoria di gara 1 è rovinata dallo scioccante infortunio di Flowers, cui si rompe il tendine d’Achille a 5′ dal termine del match decretando la fine anticipata della sua stagione. La perdita improvvisa del miglior realizzatore della squadra è una doccia gelata per tutto l’ambiente biancoblu, che sembra assopire definitivamente qualsiasi speranza o ambizione.
Eppure i ragazzi di Boniciolli sono animati da un cuore enorme, che già in gara 2 comincia a mostrarsi superiore a qualsiasi ostacolo: il campo siciliano viene nuovamente espugnato e la serie è chiusa davanti al pubblico di casa, sempre più in empatia con i propri beniamini.
Ci sarebbero già gli elementi sufficienti per celebrare questi ragazzi, ma nessuno ha voglia di fermarsi ed il meglio deve ancora arrivare.
Il vero capolavoro è l’impronosticabile upset contro la favoritissima Treviso, dominatrice della regular season e, benché sotto altre vesti, storica nemica di mille battaglie. Un’Aquila oltremodo eroica, guidata dall’energia di Daniel ed Italiano, strappa gara 1 a Villorba; gara 2 non ha storia, con la F costretta a giocare anche senza l’infortunato Candi e senza il supporto del proprio pubblico, estromesso per alcuni più che controversi episodi accaduti nel primo atto della sfida. Si torna dunque a Bologna in parità e nell’aria si comincia a percepire la sensazione di poter compiere l’impresa: in un PalaDozza gremito e ribollente come mai, l’ambiziosa Treviso soccombe per ben due volte davanti alle giocate dei vari Montano, Sorrentino e Raucci, giocatori che appena 15 mesi prima sfidavano Arzignano e Lugo nelle serie minori.
Mentre l’altra metà cittadina vive uno dei momenti di maggior depressione della propria storia, il cielo sopra Bologna è tutto bianco e blu.
Contro ogni pronostico, è giunta la finale per la promozione contro la corazzata Brescia: per descrivere quanto la sfida si presenti impari, è sufficiente pensare come la Fortitudo giochi con un solo americano, mentre i lombardi ne hanno addirittura tre, permettendosi il lusso di farne accomodare uno in tribuna di volta in volta.
Il sogno – o forse la meravigliosa utopia che l’Aquila sta vivendo – si spegne, ironia della sorte, sulle triple scagliate in gara 1 dal figlio d’arte Mirza Alibegovic, che impediscono di compiere il blitz fuori casa sempre riuscito nelle precedenti serie.
Il miracolo non è riuscito, le fatiche di una stagione intera giunta ben oltre le più rosee aspettative hanno presentato finalmente il conto.
Eppure, ancora una volta, i giovani leoni bolognesi non si rassegnano ad alzare bandiera bianca ed arrendersi alla logica dei differenti valori in campo: con altri due capolavori casalinghi da regalare agli occhi innamorati dei propri tifosi ed ai più romantici amanti di questo sport, la serie viene riportata sul 2-2, con gara 4 griffata da un quintetto tutto nostrano (84 punti prodotti dal quintetto Candi-Montano-Raucci-Italiano-Amoroso) che letteralmente annichilisce i più quotati avversari in un contesto che nulla ha da invidiare alle più nobili platee continentali.
E’ un’apoteosi. La creatura “brutta, sporca e cattiva” (coach dixit) si è trasformata in uno splendido cigno, destando attorno a sé un entusiasmo davvero incontenibile.
 
Epilogo: la decisiva gara 5 dura pochi minuti, nonostante un improbabile ed illusorio tentativo di rimonta buttando la palla del -6. Al ritorno a casa, il pullman della squadra viene accolto da festeggiamenti quasi come se tornasse da una vittoria. Ma il risultato del campo, stavolta, non conta più di tanto: meritano di essere celebrati dei ragazzi ed il loro generale che, incarnando perfettamente lo spirito fortitudino di sudore e fatica, hanno orgogliosamente affrontato e superato ostacoli e traversie per le quali sembravano inadeguati, trascinando un’intero popolo a sfiorare il cielo con un dito.
Ed a ben vedere, con all’orizzonte il ritorno del derby dopo otto lunghi anni – avvenimento che già faceva palpitare un’intera città con svariati mesi d’anticipo -, in quel momento non sembra nemmeno una prospettiva così negativa rimanere un altro anno in A2 a lottare con piazze con tradizione, storiche rivalità e dove è possibile legarsi, fino ad immedesimarsi, con ragazzi italiani che non sembrano poi così lontani dalla vita della gente comune.
In conclusione, anche se le strade di molti saranno purtroppo destinate a dividersi da lì a breve, è davvero il caso di parafrasare un coro della Fossa dei Leoni: “che sarà sarà, ovunque vi sosterremo, ovunque vi seguiremo”.
Grazie ragazzi.

 

 

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