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Fortitudo All Star

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Queste righe sono frutto di un gioco. Un gioco che rappresenta il sogno di qualsiasi appassionato di pallacanestro, ad ogni livello, perché chi non ha mai immaginato, scherzando con gli amici o anche solo nel proprio intimo, di trasformarsi nel general manager della propria squadra del cuore ed avere pieni poteri per comporne il roster, per di più senza ostacoli di natura economica, tattica o soprattutto temporale.
Essendo un gioco, il primo scopo che si prefigge è quello di divertire e se anche non dovesse riuscirci all’esterno, quantomeno ha funzionato per l’autore del pezzo nel pensarlo e scriverlo. Già in quest’ottica, quindi, il risultato si può considerare raggiunto.
Istruzioni per l’uso: i criteri di selezione non sono (o quantomeno non per tutti) necessariamente solo tecnici o statistici: potendo giocare con una virtuale macchina del tempo, un budget illimitato e, soprattutto, non dovendo rispondere a dirigenti, azionisti o abbonati, ciascuna scelta è dipesa dalle più svariate ragioni personali (tecniche, fisiche, caratteriali, storiche etc.) che, di volta in volta, possono portare un tifoso a considerare un determinato atleta quale proprio beniamino, quindi preferibile ad altri suoi pari.
Anche per questa ragione, pur senza la benché minima ambizione di imporre preferenze strettamente personali come assolute ed universali, questo gioco è comunque inevitabilmente destinato a far discutere: per certi versi può considerarsi altrettanto un successo, ben sapendo che qualsiasi opinione espressa può trovare consenso o dissenso più o meno ampi. Un esempio su tutti: Carlton Myers. Ebbene sì, mi dichiaro già ora colpevole: uno sfegatato tifoso fortitudino sin dall’epoca in cui era ancora in fase gestazionale e che, peraltro, ormai da tempo immemore frequenta le minors bolognesi con un n. 10 sulla schiena, ha ciononostante l’ardire di non includere uno dei più emblematici capitani biancoblu – oltreché uno dei più grandi atleti italiani di tutti i tempi – nel proprio personalissimo Olimpo di giocatori che hanno indossato la casacca dell’Aquila. Mi rendo conto che per alcuni, forse molti, potrà sembrare un oltraggio, una vera e propria blasfemia, ma se così non fosse, d’altra parte, questo preliminare sproloquio non avrebbe avuto senso.
Repetita iuvant, dunque: nessuna mancanza di rispetto o tentativo di revisionismo storico, né intenzione di sminuire il valore che la Storia ha sancito con ben più rilievo dei gusti personali di chi sta scrivendo, ma solo frutto di una diversa (opinabile?) empatia creatasi in favore dei protagonisti che seguiranno.
In conclusione, parafrasando un grande poeta, “non maleditemi, non serve a niente, tanto all’inferno ci sarò già” (ma soprattutto, non credo che cambierò comunque opinione).
 
Dopo questo lungo preambolo, partiamo con il personalissimo draft a tinte biancoblu:
 
Playmaker:
1) Aleksandar Djordjevic (in maglia Fortitudo dal 1994 al 1996)
Per i miei lettori più fedeli, la ragione di questa scelta dovrebbe apparire abbastanza scontata; per coloro invece che si sono persi l’esordio di chi scrive su queste frequenze, basti sapere che uno degli svariati assist recapitati in carriera dal grande Sasha è arrivato – letteralmente – nelle mani di un bimbo che lo ammirava incantato, così conquistandolo definitivamente ben oltre le (comunque mirabili) gesta sul campo.
 
2) Gianmarco Pozzecco (dal 2002 all’aprile 2005)
Uno dei giocatori più divertenti della pallacanestro moderna, per alcuni aspetti un precursore per come, in un’epoca senza social network H24, fosse riuscito a crearsi una propria identità come personaggio anche fuori dal parquet. Nonostante in maglia Fortitudo forse non sia mai riuscito ad esprimersi al massimo dei suoi livelli e pur con la macchia indelebile dell’improvviso (evitabilissimo) divorzio pochi mesi prima della cavalcata Scudetto – nella quale peraltro avrebbe potuto avere un ruolo importante complice l’infortunio di Vujanic -, è comunque riuscito a fare breccia nei cuori di tutti i suoi tifosi.
 
Guardie:
3) Gianluca Basile (dal gennaio 1999 al 2005)
Arrivato 24enne un po’ in sordina, raramente sopra le righe con parole e comportamenti, forse più dei due Scudetti – unico a riuscirci in maglia F – merita questo posto per aver coniato l’espressione “Io tiro ignorante” che ne diventerà un vero e proprio marchio di fabbrica. La cerimonia del Coniglio sul Nettuno durante i festeggiamenti del secondo tricolore è il coronamento della sua esperienza biancoblu.
 
4) Vincenzo Esposito (dal 1993 al 1995)
Prima dell’invenzione del “tiro ignorante” c’era lui: con il passare del tempo ed il suo lungo peregrinare in altre piazze, il ricordo delle sue imprese con la (bellissima) maglia Filodoro rischiano di affievolirsi, ma nulla potrà cancellare l’entusiasmo contagioso di una Fortitudo operaia ed a fortissima trazione esterna, che si riaffacciava sul grande basket prima delle sbornie milionarie di Seragnoli.
 
Ali piccole:
5) Arturas Karnisovas (dal 1998 al 2000)
Giocatore dall’eleganza principesca, sono due i momenti clou della sua esperienza bolognese: la stoppata subita da Marconato sulla sirena di gara 5 a pochi centrimetri dal più facile degli appoggi che avrebbe consegnato alla Effe l’accesso alla finale playoff 1999/2000 e l’infortunio che la stagione successiva gli impedì di giocare la serie con Treviso per il primo Scudetto dell’Aquila. Un’allergia tale alle finali lo rende di diritto uno dei giocatori più fortitudini di sempre.
 
6) Sani Becirovic (stagione 2005/2006)
Più che per i suoi disastri nell’altra metà cittadina, sono i ricordi legati all’unica stagione per l’Aquila, quando riprende in mano le redini di una carriera arenatasi tra lodi arbitrali e devastanti infortuni, giocando da protagonista in un gruppo di giovani in apparente rifondazione post Scudetto e contribuendo con la sua intelligenza e pulizia tecnica ad un’entusiasmante cavalcata attraverso una delle più belle serie di playoff che si ricordino come quella contro la Carpisa Napoli di Lynn Greer.
 
Ali grandi:
7) Matjaz Smodis (dal 2003 al 2005)
Difficile ricordare un giocatore passato così in fretta dall’essere tanto odiato mentre giocava sull’altra sponda di Bologna, a divenire un idolo assoluto una volta indossata la casacca biancoblu. Il guerriero Matjaz ci è riuscito: indimenticabili le sue esultanze con i pugni sul cuore, a spazzare via ogni scoria delle antiche battaglie dalla parte opposta della trincea. Dopo lo Scudetto a Milano, inseguito il richiamo dei rubli moscoviti, lui stesso si è definito “un mercenario: dove mi pagano, io gioco”: un concetto molto semplice, certamente da professionista, ma che può concedersi solo la faccia tosta di matrice tipicamente slava, unita alla consapevolezza di non aver mai risparmiato una sola goccia di sudore in campo, e tutto senza che sia intaccato il ricordo come uno dei più grandi di sempre.
 
8) Valerio Amoroso (da gennaio a giugno 2016)
Anche se, rispetto agli altri più celebri colleghi, può vantare una militanza in maglia biancoblu molto più breve, resterà sempre uno dei simboli dell’esaltante rincorsa del 2016, guidando una squadra neopromossa dalla serie B, giunta settima in regular season e privata del proprio miglior giocatore straniero, a sfiorare un’impronosticabile promozione in massima serie. Giocatore senz’età (non a caso a 39 anni porta ancora a spasso tanti suoi pari ruolo), tutt’altro che comune trovare un simile carattere sanguigno e battagliero accompagnato ad una tecnica tanto ammaliante.
 
9) Giacomo Galanda (dal 1997 al 1998 e dal 1999 al 2003)
L’immagine di Gek che rientra in difesa esultando a braccia alzate dopo aver segnato una bomba rimarrà per sempre indelebile: in quei momenti, non ci sarebbe stato showman o rocker a poter reggere il confronto in quanto a controllo emotivo del pubblico e, nella specie, di un suo particolare tifoso.
 
10) Gregor Fucka (dal 1997 al 2002 e nella stagione 2008/2009)
Per un ragazzino nato in via San Felice e già a 12/13 anni cresciuto – molto più in centimetri che in kilogrammi – ben oltre la media dei suoi coetanei, non è stato molto difficile scegliere di immedesimarsi nell’Airone biancoblu. Non a caso, la prima maglia da gioco indossata è la n. 7 in suo onore.
 
Centri:
11) Dalibor Bagaric (dal 2004 al 2006 e dal 2007 al 2009)
Lo striscione apparso sugli spalti del PalaDozza recante la scritta “Dalibor unico Dio” dovrebbe rendere sufficientemente l’idea della totale empatia tra il gigante croato nato in Germania ed il pubblico fortitudino. Volendo accantonare per il momento ogni considerazione di carattere teologico, chi scrive condivide pienamente questo sentimento.
 
12) Maarten Leunen (2018-?)
Forse sembrerà prematuro (o, per i più scaramantici, addirittura malaugurante), ma parliamo di un giocatore ammirato già in tempi non sospetti, all’epoca dei suoi trascorsi canturini. L’annuncio del suo inatteso ingaggio in estate è apparso un vero e proprio regalo di compleanno per chi scrive, sperando in futuro di poter raccontare anche altro sulla sua esperienza fortitudina. Finora, si è confermato giocatore fuori categoria per la serie A2: americano disinteressato alle statistiche personali (ed è già una rarità nel basket moderno), perfettamente identificato nel proprio nomignolo di Professore quando, apparentemente da fermo, domina dalla cattedra una pallacanestro sempre più orientata all’atletismo esasperato a discapito delle capacità tecniche.
 
Coach: Jasmin Repesa
Cit.: “Per me Fortitudo è una società perfetta per selezione naturale: quelli senza cuore non possono rimanere a lungo là”. Non serve davvero aggiungere altro.

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