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24 Ottobre: il punto su Basket City. È il momento di restare compatti

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Confesso che fino a due minuti e mezzo dalla fine ho creduto che la Virtus Segafredo a Patrasso avrebbe vinto, almeno fino alla tripla del possibile -1 sbagliata da Weems. È probabile che in realtà la squadra bolognese avesse già perso la partita nel corso del terzo quarto, quando, sopra di cinque, aveva più volte fallito il tentativo di fuga. Poi, nel finale, è emerso quello che in definitiva ha fatto la vera differenza, il tiro da 3: se giochi col 14% è complicatissimo portare a casa la gara, soprattutto se gli altri superano invece il 40%, a parità di tiri tentati. Insomma, la prima sconfitta della stagione è giunta meritata, per i bianconeri, ma in un modo che deve fare riflettere, non deprimere. Il Promitheas era senza Ellis, però la differenza sul piano del gioco secondo me è apparsa evidente a vantaggio delle Vu Nere: loro tostissimi in difesa, in attacco decisamente condizionati dal tiro dalla lunga distanza; la Virtus si è più volte guadagnata buoni tiri buttati tuttavia alle ortiche: gli assist sono stati meno del solito anche per questo. La difesa non è andata tanto male, così come la palla non è che sia stata gestita impropriamente, eccezion fatta per un certo atteggiamento di sufficienza nel trattarla, in alcune occasioni, da parte di un po’ tutti. Certo che è mancata quella personalità emersa invece con Varese o Venezia: problema da trasferta? Non esistono, per ora, controprove, e sinceramente solo Djordjevic può avere in questo momento il polso preciso della situazione. La trasferta di sabato a Brescia dovrebbe rivelarsi verifica probante, non lasciandosi ingannare dalla botta subita a Trieste dai lombardi, soprattutto dal black out di ieri in Eurocup, con il mezzo record negativo dei soli 35 punti segnati. La Segafredo contro Varese ha avuto alti e bassi ma ha dimostrato di poter gestire con esperienza gli attimi cruciali di un match anche se la mano è fredda. Se è gelata però come a Patrasso mi sa che non ci sia santo che tenga, a meno che la difesa non morda veramente come un cobra. Il dato dei rimbalzi pressoché sempre positivo (pure in Grecia 49 a 29) è segnale importante. Il giro palla veloce e imprevedibile lo può essere ancora di più. La fiducia al tiro sarebbe la ciliegina sulla torta in attacco: questo deve essere oggi la prima preoccupazione del coach, avviandosi verso un’altra trasferta insidiosa ma in teoria assolutamente abbordabile per le potenzialità della Virtus attuale. Altro problema: l’approccio alla partita, che sta divenendo ripetutamente un handicap. Anche questa è da supporre sia una questione più che altro psicologica: timore o supponenza? A Brescia non si potrà replicare un inizio al cloroformio  come quello di Patrasso, lo sa bene Djordjevic, lo sanno gli stessi giocatori, lo pretenderebbe la volontà di dimostrarsi squadra di rango.

 

In casa Fortitudo Pompea i problemi invece sono altri, col rischio di cominciare imprudentemente a dubitare di talune scelte fatte, quando viceversa a questo punto occorre  la massima compattezza possibile all’interno dello spogliatoio e in società, in modo tale che possa riverberarsi in campo un’immagine di sicurezza. Archiviare la sconfitta di Roma è indispensabile per proseguire con la necessaria serenità, consapevoli del fatto che questa squadra dovrà giocare ogni partita come una finale fino all’acquisizione di una salvezza certa, prima di puntare “in grande” ad altri obiettivi. L’infortunio a Leunen ovviamente non ci voleva, è il giocatore perno dell’intero ingranaggio sia sul piano tecnico che psicologico, ma in certo qual modo si potrebbe dire che sia quasi meglio che sia accaduto adesso, con del fieno in cascina, che non in momenti che potrebbero essere più difficili. Il rientro di Sims – dicono abbastanza positivo nell’amichevole a porte chiuse con Mantova – tampona in qualche misura lo stop di Leunen, ma  a mio parere molta parte dell’avventura di questa Fortitudo dipenderà dallo spirito col quale i suoi numerosi senatori vorranno parteciparvi, se, cioè, con sincero spirito di squadra, lasciando a Martino l’incombenza di decidere ruoli, minutaggi e responsabilità in base alle necessità, oppure se riterranno la loro esperienza o il loro palmares prioritari. È evidente che il rispetto guadagnato sul campo non sia aria fritta, ma quando i galli sono tanti è indispensabile che qualcuno determini le gerarchie, magari estemporanee, modificabili volta per volta, senza che l’ego di qualcuno si senta ferito. È assai difficile che una squadra con l’età media dei giocatori cardine così alta abbia da tutti ogni partita il massimo del rendimento, ma è altrettanto vero che ciascuno di loro potrebbe quasi risolvere in proprio almeno i confronti con le contendenti dirette, che campioni di questo livello se li sognano. Antimo Martino ha già dimostrato di poter essere la persona giusta cui affidare pienamente il timone, come sa chi è stato con lui nella cavalcata trionfale dello scorso anno. Era tanto che a Bologna non si  sedevano contemporaneamente su entrambe le panchine due figure cui potersi affidare con tanta fiducia da parte di tutti.

 

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