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Pop&Sports – “Air Jordan”: non passa mai di moda

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“Quello non era Michael Jordan. Era Dio travestito da Michael Jordan.”
Come può un giocatore di basket professionistico trasformarsi nel più grande idolo della cultura pop di tutti i tempi (in un Dio, come disse Larry Bird, ex giocatore dei Boston Celtics e amico di MJ)? Ogni sport ha il suo pupillo: il calcio ha Ronaldo, il baseball ha Jeter e il football americano ha Tom Brady; ma nessuno di questi è come lui. Come mai? Oggi, come avrete ben capito, parleremo di Michael J. Jordan. Sì, ma non parleremo di come “a star is born”, per quello c’è la ducu-serie di Netflix The Last Dance, dedicata proprio al n°23 dei Chicago Bulls. In questo articolo parleremo di come MJ sia riuscito a diventare un fenomeno culturale, diventando ambasciatore non solo di uno sport, ma della cultura americana nel mondo.

Tutto ha inizio dal suo approdo in NBA. Tutti già sapevano chi fosse quel giocatore proveniente dalla North Carolina. Tutti, anche gli sponsor. All’epoca, l’idea di David Falk, agente di MJ, era quella di trasformare un giocatore di uno sport di squadra in un testimonial, iniziando proprio dalle scarpe. Scartato da Converse, Falk cerca di portare Michael nel mondo di Adidas, brand preferito del giovane Jordan. Purtroppo, come riporta lo stesso agente nella docu-serie, l’azienda calzaria tedesca aveva problemi e non riusciva a fare delle scarpe valide. Un’altra storia, che aleggia nell’aria, è che Adidas, in realtà, non era affatto interessata ad avere Jordan come testimonial, poiché era ancora piccolo per il mondo professionistico. Una cosa è certa, comunque: la three stripes si negò la possibilità di firmare con un testimonial che avrebbe cambiato la storia dell’azienda e dell’intero mercato delle scarpe da basket. Questo fece spazio a MJ, anche se non subito perché contrario, di mettere nero su bianco un piano quadriennale con Nike, nel 1984, per un valore di 3 milioni. Il patto era che dovesse vincere il titolo “Rookie of the year”, diventare un All-Star e riuscire a mantenere una media di 20 punti. Quello che Nike non si aspettava è che Michael non solo riuscì ad ottenere quei risultati, superando anche la media punti, ma riuscì anche a far ricavare all’azienda, solo nel primo anno, ben 126 milioni con la vendita delle sue scarpe. Iniziò, quindi, la sua ascesa verso la cultura-pop da una semplice scarpa. Una scarpa che, tra l’altro, non faceva impazzire nemmeno Jordan stesso: l’Air Jordan I. 

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“His Airness”. Una delle sue qualità, come sappiamo, era che, quando giocava, sembrava fosse leggero come l’aria e che potesse tranquillamente volare a canestro senza che i suoi avversari potessero farci niente. Nell’NBA Slam Dunk Contest, del 1988, si appresta ad eseguire quella che rimarrà la più bella schiacciata che la storia della lega possa ricordare. Sua Altezza Aerea prende il volo e fa una schiacciata che richiama il Jumpman23, logo che noi tutti conosciamo. Quello che non tutti sanno è che quel disegno, in realtà, è stato creato nel 1985, ben prima di quella acrobazia. Al tempo Jordan preferiva usare un’altro logo nelle sue scarpe, ovvero la palla da basket con le ali e sopra un nastro con scritto Air Jordan. Il disegno che raffigura l’impero delle scarpe da basket (e non solo) è stato creato prendendo spunto da una foto scattata per Life Magazine, mentre gli USA si preparavano ad ospitare i Giochi Olimpici ’84, a Los Angeles.

Jordan era l’eroe dei giovani. Con l’avvento di “She’s Gotta Have It”, serie statunitense dell’86 diretta, prodotta e interpretata da Spyke Lee, il brand Jordan ha avuto una evoluzione. I giovani interpretati nella serie indossavano Jordan, poiché tutti volevano le Jordan. Come disse il rapper statunitense NAS: “volevi quelle scarpe per essere come lui. Era uno status symbol. Sapevi che era lui il mito”. Nike e Spyke Lee realizzavano pubblicità per Jordan e questo fece fondere sport e cultura urbana. Prima le scarpe da basket venivano usate solo per il gioco, ma all’improvviso diventarono un simbolo di moda e cultura. 

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Con la creazione del Dream Team per le Olimpiadi di Barcellona ’92, MJ ebbe un’ulteriore evoluzione della sua immagine. Michael fu il volto della squadra USA che riuscì a vincere la medaglia d’oro e riuscì a portare il basket a standard elevatissimi, portando a cambiare completamente il basket internazionale. Il Dream Team continuò ad accrescere l’influenza dello sport sulla cultura globale: per la prima volta veniva venduto come forma di cultura. Vendevano l’America e Jordan ne faceva da volto, poiché era un giocatore vincente e pieno di stile. Be like a Mike, la gente voleva essere come lui. Nella docu-serie, Willow Bay, giornalista sportiva statunitense, spiega che Jordan divenne il più famoso e riconoscibile volto non solo dello sport, ma anche della cultura, nel mondo. “La sua popolarità va apprezzata ancora di più, perché allora non cerano piattaforme a livello miondiale. Non si poteva promuovere con i social o postando video, tweet o altre cose del genere. Lui diventò famoso per la sua personalità, per il suo gioco. Diventò una Global Superstar. Chiunque nel mondo conosce, tutt’ora, Michael Jordan”.

La sua immagine è sulla vetta del mondo. Un’immagine cosi importante deve essere il più pulita e sincera possibile. Al tempo, non faceva mai arrabbiare nessuno, come disse Roy Johnson di Fortune Magazine. La cosa più controversa fu, forse, non appoggiare il candidato afroamericano democratico Harvey Gantt alle elezioni per entrare al Senato. Non solo non lo appoggiò, ma alla domanda del perché di questo, Jordan disse: “Republicans buy sneakers, too”, ovvero “anche i repubblicani comprano le scarpe da ginnastica”. Questo fece molto scalpore, portando indignazione verso Michael, perché sembrava volere dire “non mi interessa se una figura riprovevole come Jesse Helms – in corsa per i repubblicani – venga eletto al Senato”. La sua comunque non voleva essere una dichiarazione di intenti, la risposta era stata fatta in maniera frivola. Lo stesso MJ disse: “Non ero un politico, ma uno sportivo. Mi concentravo su quello. Ero egoista? Forse, ma era a quello che dedicavo le mie energie”.

Nonostante questo, Michael Jordan era e resterà sempre un pilastro della nostra cultura-pop. Anche se non più giocatore, Michael continua ad essere un volto attivo nell’ambito dello sport. Oltre ad essere il presidente della squadra NBA Charlotte Hornets, con il suo brand entra nell’ambito dello sport globale, facendo partnership con alcuni dei campioni del calibro di Jayson Tatum (giocatore NBA), Derek Jeter (ex giocatore degli NY Yankees), Terrell Owens (ex giocatore di football americano), Roy Jones Jr. (ex pugile) e Neymar. Inoltre, il brand Jordan fa importanti partnership anche con altre istituzioni dello sport, come con Quai 54 (uno dei più grandi tornei di street basket del mondo), Paris-Saint Germain, e artisti come The Attico, Stephan Asphool di Pigalle e, ovviamente, Spike Lee. 

I suoi risultati sul campo e la sua storia, legata alla famiglia, parlano da se. Ci sono atleti che hanno un impatto limitato al loro sport. E poi ci sono degli sportivi che diventano dei fenomeni culturali. Inoltre, ha sempre cercato di vivere dando l’esempio e c’è riuscito, facendo sognare grandi e piccini. Tutti, ora e sempre, si ricorderanno di Michael J. Jordan: non passerà mai di moda.

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