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Baraldi, la Lega, i diritti tv

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foto 1000 Cuori Rossoblu/Basket City


Francamente, mi sarei aspettato maggiori reazioni alle affermazioni di Luca Baraldi in occasione della presentazione della campagna abbonamenti della Virtus Segafredo. Il suo “attacco al sistema” della pallacanestro italiana è stato decisamente esplicito, come raramente accade in simili contesti, eppure non si è mosso quasi nessuno, se non un piccato Sardara, che è sembrato piuttosto fare orecchio da mercante, e il presidente di Tortona, Marco Picchi, che è parso un po’ accontentarsi di quel che passa il convento. Tutto qui? Si può considerare florido un basket che attira poche centinaia di migliaia di spettatori quando va in tv, se va bene, tv a pagamento che peraltro restano lontanissime dai picchi di ascolto delle reti generaliste? È davvero credibile, oggi come oggi, il pieno passaggio ai nuovi strumenti della comunicazione, piattaforme social o quant’altro? Il “grido di dolore di Baraldi” non è stato, a mio avviso, uno strepito inconsulto, anzi, perché occorre sempre tenere conto dell’ambito in cui ci si muove. È certamente auspicabile un rinnovamento tecnologico del contesto italiano con conseguente passaggio a strumenti rinnovati di comunicazione, ma parliamo di un paese che ha ancora enormi difficoltà a fare arrivare una fibra realmente funzionale in aree che non siano quelle strettamente metropolitane. Ci sono intere zone dove è ancora assai arduo avere campo col telefonino, figuriamoci con internet. Checché se ne dica, il “passaggio in tv”, intendendo come tale quello sulle reti generaliste, rimane imprescindibile per uscire dalla propria nicchia autoreferenziale. Lo ha dimostrato la pallavolo, che in questi anni si è mossa saggiamente crescendo enormemente grazie anche alle sinergie createsi con la Rai, sfruttando pure il fatto che il basket nel frattempo si è messo a rincorrere velleitari contratti altrove senza ottenere nulla di più di quanto già aveva prima. Questo, probabilmente anche perché bisogna poi saper vendere il proprio prodotto, con interventi mirati, mentre la pallacanestro italiana si è tutt’al più limitata a scimmiottare eventi della NBA senza curarsi del fatto che là si agisce in un sistema estremamente diverso.

Non c’è niente da fare: al giorno d’oggi, in Italia, per suscitare un interesse che non resti di nicchia occorre passare attraverso la Rai o Mediaset, le reti generaliste che entrano gratuitamente (per modo di dire, peraltro) nelle case di tutti, e occorre farlo negli orari giusti, che non sia all’una di notte o alle 10 del mattino. La pallavolo è forse più spettacolare del basket? Coma mai ha avuto accesso in Rai ad orari pomeridiani e serali di tutto rispetto, finendo per assicurarsi un contratto pluriennale coi fiocchi? Se i conti presentati da Baraldi sono reali (perché non dovrebbero esserlo?) possibile che la pallacanestro italiana (fra l’altro appena uscita da un ottimo piazzamento alle ultime Olimpiadi e una prestigiosa vittoria europea di club) valga davvero un ventesimo del volley? E chi dovrebbe curarsi di questi aspetti “promozionali”? Sono dunque da considerarsi vacue le parole di Baraldi in riferimento al sistema? O dobbiamo magari aspettarci una indagine dell’ufficio inchieste federale?  È nascondendo la testa sotto la sabbia che si risolvono i problemi?

Passando al locale, invece, la questione del nuovo palazzetto sta diventando grottesca, sulla via di quello che si è registrato per il rinnovamento dello stadio. Nella efficientissima Bologna la sensazione è che ancora una volta vincano gli affari dell’ufficio complicazione pratiche semplici, se non si vogliono paventare altri sospetti. È vero che siamo sempre in Italia, ma uno dei vanti della nostra regione è sempre stato mostrarsi all’avanguardia rispetto a larga parte del paese, magari ottenendo risultati che altri si sognano. E non è credibile che adesso restino un sogno pure qui da noi, visto ciò che si riesce ad ottenere in tanti campi.

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