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Un circuito al mese – Tripoli, l’autodromo nell’oasi

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Alan Fearnley - Catawiki

Sapore esotico

Se pensate che i gran premi nel deserto siano un’esclusiva degli anni Duemila beh, vi sbagliate di grosso. Immaginate una distesa sabbiosa tipicamente nordafricana. Immaginatevi in essa un’ oasi con due laghetti immersi in un boschetto di palme che si stagliano nel cielo terso. Immaginatevi tutto questo a pochi chilometri da una capitale con un grande porto affacciato sul Mediterraneo. Immaginate essere lì nell’epoca coloniale in cui tutte le grandi potenze europee si spartivano fette d’ Africa di cui usufruire a piacimento, trasformando le città in piccoli angoli d’occidente incastonati in un altro continente. Bene, ora sognate le “frecce d’argento” teutoniche che sfidano ad oltre duecento all’ora Alfa Romeo e Maserati in un autodromo moderno e velocissimo intorno all’oasi descritta. Vi sembra impossibile possa essere mai esistito qualcosa di simile negli anni d’oro delle corse d’anteguerra? Ebbene esisteva eccome. Si trovava a pochi passi da Tripoli, capitale dell’ allora Libia Italiana, vicino all’oasi di Tagiura, poco lontano dalle saline della Mellaha che diedero il nome al circuito.

Manifesto del regime

Nella prima metà degli anni trenta il regime fascista puntava molto sulle colonie africane per rafforzare il consenso, sublimando il tutto con la proclamazione dell’ Impero nel 1936. Le corse automobilistiche erano un ottimo veicolo promozionale e già dal 1925 iniziò a disputarsi il Gran Premio di Tripoli su un circuito in parte cittadino ed in parte stradale di 71,10 chilometri. Otto anni dopo partirono i lavori di un’ opera che avrebbe dato nuovo lustro all’ Italia coloniale: l’Autodromo della Mellaha. Realizzato per la “Corsa dei Milioni” del 1933, il circuito venne inaugurato nella sua veste definitiva nel 1934 in occasione dell’VIII Gran Premio di Tripoli. Per il nuovo impianto permanente non si badò a spese. Lo sviluppo finale venne progettato dagli ingegneri Arcangeli e Maruffi, mentre ad occuparsi della realizzazione materiale fu la ditta “Attilio Nezi” su incarico della Società Italiana Costruzioni e Lavori Pubblici. Utilizzando circa 2500 operai tra locali ed italiani, in soli 100 giorni lavorativi l’ autodromo fu a disposizione per le competizioni.

Il tracciato dell’ Autodromo della Mellaha sulla vista dal satellite della zona (My Racing Career)

Una struttura ultramoderna

Tutti i materiali necessari alla costruzione venivano direttamente dalla madrepatria e l’impianto appariva grandiosa: il tracciato abbracciava l’oasi per 13,14 chilometri di lunghezza totale, era fornito di ristorante e tribune sul rettilineo di partenza interamente coperte da 8000 spettatori. Di fronte ad esse sorgeva l’edificio dei servizi con ampi box, area per le segnalazioni con locali per cronometristi, radiocronisti, giornalisti, fotografi e cabine telefoniche a disposizione. Il tutto era dominato dal simbolo del circuito: la torre di vedetta alta ben 42 metri. Ma mancava la “chicca” finale: un avveniristico quadro elettrico con le posizioni dei concorrenti aggiornate in tempo reale durante la corsa. Uno strumento modernissimo, che permetteva agli spettatori di seguire costantemente lo svolgersi dell’evento in un’ epoca ben lontana dall’avvento dei maxischermi televisivi. Un’ opera faraonica, paragonabile ai moderni “tilkodromi” realizzati dai paesi emergenti che vogliono auto-promuoversi attraverso le corse automobilistiche.

Mercedes uber alles

Davanti a cotanta grandezza era necessaria un’ altrettanto grandiosa inaugurazione, tenutasi come programmato il 6 maggio 1934. Quel giorno il potente Governatore della Tripolitania Italo Balbo fece da padrino alla cerimonia, presentandosi sulla griglia di partenza della gara abbinata alla famosa e milionaria “Lotteria di Tripoli”. Fu anche il giorno dell’ultima affermazione delle vetture italiane, con Achille Varzi che portò l’alloro nella Motor Valley cogliendo la vittoria con un’ Alfa Romeo della Scuderia Ferrari. Dall’anno successivo la potenza industriale di Mercedes ed Auto Union spazzarono via ogni possibile concorrente dal mondo dei “Grand Prix”. Visto lo strapotere teutonico, nel 1938 gli organizzatori decisero dall’anno successivo di riservare la loro gara alle “Voiturettes“, la nuova classe di vetture dotate di propulsori sovralimentati di cilindrata massima 1500 cm³. Un grande regalo ad Alfa e Maserati che stavano preparando monoposto di questo tipo, peccato che anche in questo caso i tedeschi non si fecero trovare impreparati ed a vincere fu ancora il binomio dominatore del biennio precedente: Hermann Lang e la Mercedes, con il modello W165 appositamente preparato per la categoria.

Le immagini del Gran Premio di Tripoli 1938 in un cinegiornale Luce (sagitt76 su YouTube)

E poi arrivò la guerra

Per il ritorno alla vittoria delle vetture italiane si sarebbe dovuto attendere il 1940, quando le sole italiane si presentarono alla partenza. Al termine dei consueti 15 giri di gara fu Giuseppe “Nino” Farina ad imporsi con l’ Alfa Romeo 158. Sì, proprio l’ “Alfetta” che, opportunamente revisionata, avrebbe dominato il campionato inaugurale della Formula 1 iridata una decina di anni dopo con il medesimo pilota. Ma questa è un’ altra storia. Quella del Gran Premio di Tripoli si stava chiudendo il 12 maggio 1940, con le ombre scure del conflitto mondiale che iniziavano ad allungarsi anche sull’ Italia. Per le squadre tedesche non era più tempo di gare: le industrie erano impegnate a pieno regime per affermare il dominio teutonico non più in campo sportivo ma bellico, mentre il nostro paese sarebbe entrato in guerra meno di un mese dopo. Anche per l’ Autodromo della Mellaha fu l’inizio della fine. Quando la guerra si estese alle colonie nordafricane l’ aeroporto italiano nei pressi dell’oasi divenne un obiettivo sensibile e l’autodromo divenne in breve area militare. Al termine del conflitto ciò che restava delle infrastrutture venne demolito. Come qualunque altro simbolo del colonialismo italiano, come l’ “Impero” mussoliniano. Oggi da quelle parti restano solo l’ Aeroporto militare di Mitiga e delle altissime palme, sotto cui tanti decenni fa sfrecciarono vetture leggendarie.

 

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