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Christmas Tale – Steven Bradbury e l’oro olimpico del 2002

Steven Bradbury e l’oro olimpico del 2002 – Una racconto natalizio della rubrica “Christmas Tale”

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Steven Bradbury vince l’oro olimpico del 2002
Steven Bradbury vince l’oro olimpico del 2002 (©Getty Images)

La storia di Steven Bradbury è un mix incredibile di alterne fortune, un’altalena che ha portato il pattinatore australiano a passare dalle medaglie di Coppa del Mondo al rischio di ultimare prematuramente la propria carriera, se non addirittura di morire, per poi risollevarlo in maniera estremamente fortunosa fino al massimo che un atleta possa sperare: l’oro Olimpico. La storia di Steven Bradbury, è una perfetta Christmas Tale, è un misto di impegno, disperazione, fortuna e speranza. Con un lieto fine.

Bradbury è un pattinatore di qualità, e non a caso nel 1991 vince l’oro ai Mondiali nella sua specialità, lo Short Track. Conferma poi il proprio valore, con altri due podi mondiali: terzo nel 1993 e secondo in quelli del 1994. Nel medesimo anno, lo Short Track diviene sport olimpico e a Lillehammer Bradbury è presente, ed ottiene un bronzo nella staffetta.

Una carriera più che soddisfacente quindi, che lo pone tra i massimi protagonisti del pattinaggio mondiali, ma la sorte ha in palio per lui un percorso non esattamente lineare. Durante una prova dei 1500 metri della Coppa del Mondo di Montreal, l’australiano è vittima di un terribile incidente: Steven si scontra con l’italiano Mirko Vuillermin, ed una lama dei suoi pattini ferisce Bradbury in modo molto grave, incidendogli l’arteria femorale.

Il pattinatore rischia seriamente di morire, perché quando i medici riescono a fermare l’emorragia, Bradbury aveva già perso quattro litri di sangue. Ma fortunatamente sopravvive. Ci vorranno centoundici punti di sutura e diciotto mesi di riabilitazione per tornare a pattinare in modo agonistico, ma tornare al 100% sembra impossibile. Lo sembra ancora di più quando, nel 2000, in allenamento si frattura il collo rimanendo in totale riposo per sei settimane.

Ma Bradbury tiene duro, vuole provarci per l’ultima volta. E così nel 2002 si qualifica per le Olimpiadi di Salt Lake City, annunciando che sarebbe stata la sua ultima competizione. Finita l’Olimpiade avrebbe appeso i pattini al chiodo.

Ed è proprio a Salt Lake City che l’australiano scrive la pagina più incredibile della sua storia, che assume i contorni di una Christmas Tale in piena regola. Vince in modo convincente la prima batteria dello Short Track, approdando ai quarti, dove però arriva terzo risultando quindi eliminato. Ma la squalifica di Marc Gagnon, arrivato secondo, lo porta in semifinale. Qui, le cadute di ben tre atleti e la squalifica di Satoru Terao, lo portano alla finale per le medaglie, dove sarebbe comunque arrivato anche da secondo.

Dopo il modo in cui si è qualificato e la forza degli sfidanti Bradbury non è il favorito. Anzi. Ma in una gara decisamente combattuta che vede l’australiano lontanissimo dai primi, Li Jiajun cade tentando di superare Apolo Ohno, che cade poi a sua volta trascinandosi dietro anche Mathieu Turcotte e Ahm Hyun-Soo, rendendo Steven Bradbury l’unico a rimanere in piedi e conquistare così l’oro Olimpico nello Short Track 1000 metri singoli.

Volontà, classe, carattere e fortuna. Come altro spiegare due squalifiche e sette cadute?

Steven Bradbury in Australia diventa immediatamente un mito, tanto da meritarsi un francobollo delle Poste australiane in proprio onore e da diventare soggetto per un nuovo neologismo: “doing a Bradbury” (fare un Bradbury), modo di dire che nel suo paese natale viene da allora utilizzato per intendere un successo insperato.

In Italia, la storia di Steven Bradbury è divenuta famosa solamente per la clamorosa vittoria, grazie all’attenzione dedicata al pattinatore dalla Gialappa’s Band. In realtà alla grande fortuna che lo ha portato all’oro olimpico di Salt Lake City, bisogna sommare tutto il pregresso, compreso l’incidente che lo ha portato a un passo dalla morte, e gli anni del duro lavoro per riprendersi fisicamente e psicologicamente.

Tornando a Steven, raggiunto l’oro si ritirò come già annunciato precedentemente, e dopo una parentesi da commentatore televisivo e qualche apparizione alla versione australiana di “Ballando con le Stelle” divenne pilota della Formula Vee collezionando anche qualche podio. Nel 2005, per altro, uscì il libro della sua storia intitolato, giustamente, “Last man standing”.

Poi sull’atleta calò grosso modo il silenzio, fino al Marzo 2022, grosso modo a vent’anni dall’apice della sua carriera agonistica, quando divenne protagonista di un evento ancora più importante. Mentre era nel Queensland a fare surf col figlio ed alcuni amici, Bradbury nota una ragazza in difficoltà, che apparentemente è in balia della corrente e rischia di annegare.

Mentre un amico raggiunge la spiaggia per chiamare aiuto, il 48enne oro olimpico si lancia nel salvataggio e avvicinandosi nota che in realtà le ragazze in grave difficoltà sono addirittura quattro. Rischiando quindi di mettere in pericolo sè stesso decide di condividere la propria tavola da surf e portarle prima in una zona con minori correnti e acque più calme, e poi a riva, dove nel frattempo erano arrivati i soccorsi.

Solo una di loro, andata in iperventilazione, ha avuto poi bisogno di qualche piccola cura medica, ma tutte e quattro si sono dette sicure del fatto che senza l’aiuto di Steven Bradbury sarebbero annegate. Quattro vite salvate sono senza dubbio il nuovo motivo d’orgoglio più grande di una persona che già poteva vantare importanti risultati in campo sportivo. E la storia del Last Man Standing australiano ancora una volta supera la fortuna di essere il solo a rimanere in piedi in quel di Salt Lake City.

 

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