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Il Personaggio Della Settimana – Ronnie Peterson, un finale amaro arrivato troppo presto

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Foto Claudio Fargione

Un’icona della sua generazione. Uno di quei piloti che nonostante non siano riusciti a proclamarsi campioni in Formula 1, sono rimasti nel cuore degli appassionati per quanto mostravano in pista e fuori da essa. Bengt Ronnie Peterson, conosciuto semplicemente come Ronnie, fu uno di questa schiera di personaggi che nonostante non facciano parte dell’albo d’oro della classe regina delle auto, sono rimasti fortemente nella mente e nei ricordi di tutti gli amanti della velocità.

Le Origini

Pilota svedese nato a Örebro il 14 febbraio del 1944, ha coltivato la sua passione per le gare sin da piccolo. Trasmessagli da suo padre, pilota anche lui, non poteva sognare altro se non iniziare una propria carriera con i motori. Tutto inizia con un ibrido tra un go-kart e un piccolo trattore con il quale si divertiva insieme a suo fratello Tommy. Il piccolo mezzo ha subito evoluzioni di anno in anno fino al 1962 quando Ronnie si costruì un veicolo con il quale prese parte alla sua prima competizione: il campionato svedese classe D. Partì subito forte piazzandosi secondo alla fine nella classifica generale. Nel 1966 debutta in Formula 3 dove ottenendo buonissimi risultati fin dal suo debutto riesce ad attirare l’attenzione su di sé. In particolare gli occhi di un scuderia storica della Motor Valley. La Tecno, squadra bolognese, che lo ingaggia nel 1968. Insieme vincono il titolo in quella stessa stagione e in quella successiva. Corre in Formula 2 contemporaneamente alla Formula 1 dal 1970, anno in cui vinse anche il titolo del campionato che faceva da anticamera a quello più ambito.

 

Troppo poco tempo

La sua storia tra i grandi è durata solo otto stagioni. Per chi ama questo sport e ne conosce la storia, anche troppo poco per quello che Peterson meritava e dimostrava sui circuiti. Debutta in Formula 1 nel 1970 con la March, ma non ottiene grandi risultati. Rimane con la scuderia inglese anche le due stagioni seguenti ottenendo risalto con il titolo di vicecampione del mondo nel 1971 che conquistò con alcuni podi, solamente alla sua seconda stagione. Nel 1972 invece le cose andarono peggio con Ronnie che non riuscì a conquistare niente di rilevante se non un podio in Germania. Le soddisfazioni arrivarono nello stesso anno, ma in un altro campionato. Infatti la sua esperienza nella Motor Valley continuò dopo l’avventura con la Tecno. Divenne pilota Ferrari nel 1972 per correre il Campionato Mondiale Marche. Ingaggiato dal cavallino in uno squadrone insieme a Tim Schenken vinse il titolo e fu artefice di gare spettacolari che permisero alla coppia di guadagnarsi la tanto ambita medaglia d’oro. Sulle piste di Formula 1 nel 1973 arriva la grande occasione. Viene assunto per correre con la Lotus, scuderia con la quale accenderà il suo talento. Il suo compagno di squadra fu Emerson Fittipaldi, campione in carica, ma non si fece intimorire e con la Lotus 72 fu amore a prima vista. Ottenne quattro vittorie e nove pole position che gli permisero di far vedere le sue enormi qualità di guida. Gli anni successivi furono un po’ più difficili, nonostante nel 1974 riuscì a vincere tre volte per poi affrontare un stagione più magra l’anno successivo anche a causa dei problemi economici della scuderia che continuava a schierare la Lotus modello 72 ormai sorpassato. Nel 1976 torna alla March ma senza ottenere risultati grandiosi a parte la vittoria a Monza, circuito del quale era considerato un vero e proprio specialista con ben tre successi tra il 1973 e il 1976. Nel 1977 prova l’esperienza con la Tyrrell ma non scocca la scintilla e decide di tornare in Lotus la stagione successiva. L’ultima della sua vita.

L’ultimo contratto da gregario

Non rientrò a cuor leggero nella sua ex scuderia inglese con la quale aveva conosciuto la gloria. Questo a causa di un contratto che lo rilegava a secondo pilota di Mario Andretti. Un rapporto che si incrina del tutto quando Ronnie decide di firmare per McLaren. Peterson in quella stagione vince a Zeltweg e in Sud Africa quando il suo compagno di squadra non riesce a finire le gare, altrimenti per contratto è costretto a rimanergli dietro come a Zandvoort quando era nettamente più veloce. Con la Lotus del 79 la squadra era imbattibile, tanto che gli altri per sperare nella vittoria o dovevano aspettare dei guai meccanici oppure inventarsi qualcosa di diverso come la monoposto con il ventilatore della Brabham Alfa Romeo in Svezia. A Monza però è costretto a schierarsi con il vecchio modello, la Lotus 78, a causa di un problema nel WarmUp. Di conseguenza alle tensioni con Chapman non viene concesso a Ronnie nemmeno la possibilità di usare il muletto di Andretti, e viene montato il motore della 79 sulla 78, cosa che si pensa possa essere la causa dell’incidente che il pilota svedese ebbe alla partenza del Gran Premio. Un carambola in partenza nel quale vengono coinvolti molti piloti tra cui Vittorio Brambilla, James Hunt, Clay Regazzoni e Riccardo Pratese. La Lotus di Peterson prende fuoco e sbatte causando ferite multiple alle gambe del pilota. Il più grave sembrava Brambilla ma in realtà la mattina dopo a morire fu Ronnie. Non si sa se le cause furono i soccorsi poco qualitativi e poco tempestivi oppure il decorso post-operatorio in ospedale a Milano.

Quello che fu certo agli occhi di tutti è che aveva lasciato le corse automobilistiche uno dei piloti più veloci del circus. Lo svedese con la sua grinta e le sue qualità aveva ottenuto una grande reputazione. Anche Enzo Ferrari stregato dal pilota cercò di portarlo a Maranello in sostituzione di Niki Lauda, ma senza riuscirsi. Un grandissimo nome della sua generazione, uno dei più rapidi e talentuosi che però non ha avuto abbastanza tempo per coronare la sua carriera con il successo che si sarebbe senz’altro meritato.

Alcune immagini da Monza 1978. Gran Premio nel quale Ronnie Peterson ha avuto l’incidente poi risultato fatale (Copyright: YouTube – Chaffe123)

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