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Calcio

Il Metodo Vincente #10: L’inizio di un giorno cupo

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“Don-Don-Don” 

 

Fu un rintocco di campane, accompagnato da un tiepido raggio di sole che penetrò nella fessura della finestra dello studiolo, a svegliare un Vittorio Pozzo addormentatosi sulla scrivania. Al suo fianco, la bottiglia di bourbon completamente vuota, a simboleggiare uno stato mentale confusionario, volenteroso di null’altro che dimenticare. La rigidità del tecnico, in quel momento, si scontrò con la fragilità di un animo distrutto, come distrutta era gran parte di un’Italia che, vogliosa di rinascere dopo anni bui, si ritrovava a dover far fronte alla tragedia di Superga.

 

La notte tra il 4 e il 5 Maggio, lenta più che mai per un popolo intero voglioso di notizie dal fronte torinese, passò veloce in casa Pozzo. La stessa sensazione avuta dal tecnico negli anni compresi tra il 1939 e il 1942, epoca in cui la sua Nazionale fu costretta a non disputare alcun match ufficiale, mentre il mondo circostante si fermò più volte davanti al dolore di una guerra che, da presunto conflitto-lampo, si stava trasformando in una guerra di posizione. Il Patto d’Acciaio, firmato da Galeazzo Ciano, ministro degli esteri fascista, e dall’avente omologo ruolo Von Ribbentrop, aprì di fatto una strada che avrebbe visto, pochi mesi dopo, la Polonia invasa dall’esercito tedesco, punto di partenza di numerose guerre non solo in Europa, ma nel resto del mondo. Più ad Oriente, infatti, si riaprì quella faglia, inattiva da tempo, che vedeva contrapposte la Repubblica di Cina e il Giappone: il conflitto sino-giapponese, così fu denominato, spense ogni possibilità di disputare i Giochi Olimpici del 1940 a Tokyo e dunque, per l’Italia, di difendere in terra nipponica l’alloro di quattro anni prima.

Nel nostro paese, inizialmente dichiaratasi non belligerante, nel frattempo continuarono le attività sportive, e l’Ambrosiana Inter vinse il campionato 39/40, seguendo nell’Albo d’Oro quel Bologna che, nonostante l’addio forzato di Arpad Weisz, vinse lo scudetto seguendo proprio i dettami impartiti dal tecnico negli anni trascorsi sotto le Due Torri, e rischiò di bissare l’anno successivo, perdendo lo scontro diretto dell’ultima giornata a Milano, il 2 Giugno 1940. Appena 8 giorni dopo, lo stivale fu scosso dalle dichiarazioni di Mussolini che, inaspettatamente, dai balconi di Piazza Venezia, comunicava il sostegno armato italiano alla causa tedesca. Nei mesi successivi, il campionato inizierà e si protrarrà tra mille preoccupazioni, anche a causa di alcuni bombardamenti aerei su Genova e l’attacco alla marina nel porto di Taranto, ma giungerà al termine con la conferma al vertice di un Bologna giunto al suo sesto titolo.

 

L’età avanzata di numerosi giocatori rossoblu, però, fu una delle concause di un campionato 41/42 al limite del fallimentare. Ad emergere fu la Roma, guidata sul campo dall’attaccante Amadeo Amadei e fuori dal carisma del tecnico ungherese Schaffer ma, soprattutto, da quello del direttore tecnico Eraldo Monzeglio, transitato dal ruolo di terzino alla carriera dirigenziale in giallorosso. La partenza alle armi di alcuni giocatori, specie di quelli senza troppe raccomandazioni nei saloni frequentati dai presidenti più influenti, e il perenne stato di allerta nelle grandi città del Nord, più volte obiettivo degli ordigni dell’esercito alleato, condizionò il campionato a favore della squadra capitolina, abile ad iniziare la competizione con una grande partenza e poi a mantenere le distanze sulla concorrenza. Mai una città al di sotto di Bologna aveva vinto uno scudetto: Roma, riuscendo nell’impresa, si innalzò ai più alti livelli calcistici italiani, ma non sarà gloria imperitura. Fedelissimo al Duce, Monzeglio deciderà di abbandonare la squadra e la città, divenendo un uomo simbolo dell’esercito italiano diretto verso la campagna di Russia, e molti altri lo seguiranno.

 

La nomina del marchese fiorentino Luigi Ridolfi come presidente federale donerà un pizzico di entusiasmo ad una nazionale che, per festeggiare l’evento, giocherà (e vincerà) due amichevoli contro Croazia e Spagna dopo più di un anno di sosta dalle attività, ma sarà soltanto una piccola parentesi di gioia per i colori azzurri, che non avranno la possibilità di rimettere in palio la Coppa Rimet del 1938 a causa della mancata disputa del Mondiale previsto per il 1942, nemmeno programmato a causa dei venti di guerra già imperanti negli anni precedenti. Ma non sarà veramente nulla, rispetto ai tragici eventi cui si preparava ad affacciarsi l’Europa intera.

 

 

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