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Il Mancio ha un obbiettivo, un sogno e un problema

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Roberto Mancini non ha certo bisogno di difensori d’ufficio: in caso di necessità (uomo previdente…) ci pensa la moglie avvocato. La gente lo tratta apparentemente bene (e sottolineo apparentemente, perché in realtà sta sulle palle a molti), quindi perché occuparsi di lui? Perché non ho di meglio da fare (ah, il problema del tempo libero), perché in questi giorni l’attenzione dei calciofili è tutta per la Nazionale, infine perché è un uomo che stimo e oltretutto pure un amico. Quindi, non so se abbiate seguito sabato scorso Italia-Finlandia e non so nemmeno se domani vi infliggerete la visione di Italia-Liechtenstein (non ve lo auguro), in ogni caso vorrei porre alla vostra attenzione un ragionamento: Mancini, oggi, ha un obbiettivo (che centrerà), un sogno (che gli auguro di realizzare) e un problema. Procediamo con ordine.

L’obbiettivo: portare l’Italia alla fase finale di Euro 2020. E questo, state tranquilli, non sfuggirà. Poteva non essere scontata, la qualificazione, visto che un annetto fa la maglia azzurra era talmente sbiadita da sembrare una bandiera bianca, ma un attento lavoro di selezione (che vi avevo detto? Roby, in questo, è bravissimo) e la solita dose di culo (Roby è un uomo fortunato, il che non guasta) hanno spalancato agli Azzurri le porte della fase finale fin dal momento del sorteggio.

Il sogno: rimettere a posto i conti con la sua storia personale in Nazionale, possibilmente vincendo gli Europei. Perché il Mancio è stato immenso, da calciatore di club, e timida comparsa in azzurro. Nell’84, il severo Enzo Bearzot non gli perdonò una “mancinata” newyorchese; nel ’90, Azeglio Vicini – che pure se lo era coccolato nell’Under 21 – gli voltò inspiegabilmente le spalle; nel ’94, con Arrigo Sacchi, avevo più probabilità di giocare io. Insomma, Roby e la Nazionale non hanno mai trovato il feeling giusto e questa è l’occasione storica per (ri)dare a Roberto ciò che gli spetta, ricordando il gioioso vaffanculo che regalò alla tribuna stampa il 10 giugno 1988 a Dusseldorf, quando infilò il pallone nella porta della Germania Ovest. Troppo poco per essere vero, ne converrete.

Il problema: siete voi, saccenti tuttologi da tastiera, e nel “voi” inserisco pure qualche mio collega. In un mondo in cui Eusebio Di Francesco passa in pochi mesi da Profeta a Pippa, in cui Allegri – al quinto scudetto consecutivo – viene messo in croce per una serata storta a Madrid e Ancelotti viene spernacchiato perché il Napoli non arriva davanti alla Juve, beh, in un mondo del genere il Ct viene trattato di conseguenza. Avete (“hanno”, se voi non c’entrate) iniziato in settembre, quando d’improvviso divenne di moda l’hashtag #Zaniolochi? Voi, che per mestiere manovrate il tornio, l’affettatrice o la calcolatrice, saliste in cattedra per perculeggiare il Mancio. Neanch’io conoscevo Zaniolo, in compenso ho rispetto per i ruoli e mi bastò aspettare un mesetto per scoprire chi era il giovane Nicolò. O ancora quando salì alto il “crucifige” perché volle vedere all’opera Balotelli. Era suo dovere provarci, e ancora oggi – secondo me – è proprio Marione il tassello mancante: lo recupererà, così voi potrete scandalizzarvi… Arriviamo ai giorni nostri: c’è Quagliarella che trasforma in gol pure una timida scoreggia, ma non deve convocarlo in Nazionale perché “manca la progettualità”. Grandissime teste di quello che volete voi, la progettualità è vincere le partite in programma, non altro. Ma se è per questo, non vi piace neppure Kean, che di anni ne ha 19 e di potenzialità ne ha a bizzeffe. Che cosa non vi piace di Kean? Il colore della pelle? Il fatto che sia juventino? Mettetevi il cuore in pace: il “fidanzato di Barbie”, come l’avete ribattezzato, se continua a essere il ragazzo bravo e serio di questi giorni ci farà compagnia per parecchio tempo. Dice il Mancio che “è un predestinato”. Che sia predestinato a vincere gli Europei?

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