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Calcio

Monday Night – La leggenda di Eusebio, prima Scarpa d’Oro europea – 1 feb

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Paulo Futre, Mário Coluna, Luìs Figo, Manuel Rui Costa. Per molti sono tra i migliori calciatori che il Portogallo abbia mai espresso prima di Cristiano Ronaldo, il fenomenale campione del Real Madrid che da qualche anno è riuscito a superarli diventando un fenomeno di fama mondiale, capace di giocarsi con il forse irraggiungibile Lionel Messi il titolo di miglior calciatore al mondo. Eppure il grande campione, capace di costruire gioco come un fantasista e di segnare come un centravanti, non può sentirsi ancora il più grande calciatore portoghese di tutti i tempi: davanti a lui, per moltissimi appassionati di calcio lusitani, resterà sempre un mito irraggiungibile e senza tempo, un campione assoluto che il mondo conosce molto bene ma le cui gesta forse non vengono tutt’ora narrate come meritano: Eusébio da Silva Ferreira, per la storia del calcio semplicemente Eusébio, “la Pantera Nera”.

Per molti questo straordinario attaccante è da considerarsi il più grande calciatore africano di sempre, nonché uno dei migliori (per la IFFHS, la federazione internazione di calcio e statistiche, il 9° nella storia) che il gioco più amato e praticato al mondo abbia mai espresso. Un momento però: miglior africano E miglior portoghese di sempre? Quello che potrebbe sembrare un controsenso non lo è affatto se consideriamo il momento in cui questo straordinario campione nasce. Il 25 gennaio del 1942 in Europa viene combattuta la Seconda Guerra Mondiale, ma anche in Africa non se la passano poi così bene: colonia portoghese dal XIV° secolo, il Mozambico è stato in passato vittima di schiavisti e poi quasi del tutto abbandonato a se stesso, ma rimane di fatto parte del Portogallo.

Eusébio nasce in condizioni di povertà assolute, aggravate dalla morte precoce del padre angolano Laurindo Antonio, e dimostra fin da bambino di avere poca inclinazione verso lo studio, preferendo fuggire per giocare a pallone per strada, occasioni queste in cui si mette in luce ogni giorno che passa grazie a un fisico straordinario abbinato a coraggio, determinazione e quella tecnica che senz’altro si può affinare, ma che madre natura deve in qualche maniera donarti geneticamente se vuoi diventare uno dei migliori al mondo. Nella città natale, Lourenço Marques, esistono numerose squadre di calcio, alcune delle quali filiali dirette delle grandi squadre che in Portogallo si sono affermate negli anni: per arrivare al Benfica bisogna passare dal Grupo Desportivo, ma incredibilmente nessuno dei responsabili vuole trovare il tempo di guardare questo ragazzino, che si ritrova dunque a entrare nello Sporting, società legata ai rivali cittadini del Benfica, lo Sporting Lisbona. Si tratta di una specie di società satellite, ma come vedremo molto meno legata alla casa madre di quanto si creda. Appena l’allenatore della squadra vede giocare il poco più che quindicenne Eusébio si stropiccia gli occhi: com’è possibile che in Africa vi sia un tale potenziale campione? Ugo Amoretti – che in passato è stato portiere di Juventus e Fiorentina arrivando anche alla Nazionale – si stupisce non a caso: negli anni ’50, infatti, si era ben lontani dal parlare di un qualsiasi possibile futuro per il calcio africano, che viveva un mondo tutto suo e sconosciuto alla maggior parte degli europei. Un calcio disordinato, fisico, dove Eusébio si impone subito per via di una velocità da centometrista e di un controllo di palla superiore, da giocatore europeo – o persino sudamericano – quale non è: o Pantera Negra, come sarà soprannominato in futuro dagli addetti ai lavori, è poco più di un ragazzo ma domina quel calcio dimenticato da Dio, trascinando la squadra in due stagioni piene di vittorie che arrivano soprattutto grazie ai suoi 77 gol in appena 42 partite, una media clamorosa pur considerando il livello di un torneo che gli va sicuramente troppo stretto.

Nel 1960 l’Europa chiama, e per Eusébio è il momento di andare. Ha 18 anni, e già negli anni precedenti mister Amoretti ha chiamato più volte in Italia, parlando con Juventus, Torino, Genoa e Sampdoria: ha parlato di un ragazzo che diventerà un campione, trovando però dall’altra parte interlocutori che definire scettici è dire poco. Un campione in Mozambico? Non siamo nell’epoca di internet e dei voli economici, così nessuno si è preso la briga di verificare quanto detto dall’ex-portiere. Se la spinta per andare in Europa non arriva dunque dall’Italia, ecco che interviene come nelle migliori favole un nuovo e inatteso personaggio: si chiama José Carlos Bauer, è nato in Brasile da padre svizzero e madre afro-brasiliana, è stato uno degli idoli indiscussi del calcio brasiliano e della Nazionale (era in campo nel 1950 nel celebre Maracanaço) e ha da poco iniziato quella che sarà una mediocre carriera come allenatore. In panchina verrà ricordato soltanto per aver scoperto Eusébio, cosa comunque non di poco peso per la storia del calcio: l’Associação Ferroviária de Esportes, che lo ha ingaggiato come tecnico, viene in Mozambico per una tournée, ed è qui che l’excampione paulista vede giocare Eusébio. Gli basta vedere qualche giocata, qualche movimento, qualche numero, ed eccolo correre al telefono: chiama subito il suo ex-club, il São Paulo, che però come i club italiani non si fida; quindi ha un illuminazione ed effettua una seconda telefonata. Dall’altra parte del filo, a Lisbona, c’è Bela Guttman, santone ungherese giramondo da poco sulla panchina del Benfica. I due si conoscono e si stimano: al São Paulo Guttman aveva affidato le chiavi del centrocampo proprio a Bauer, sa che hanno lo stesso modo di vedere il calcio, e quando questo gli racconta eccitato di un giocatore così straordinario – fisico africano, piedi brasiliani, passaporto europeo – non ci pensa su due volte, contatta la dirigenza e ne finalizza l’acquisto. Finalmente si aprono le porte del calcio europeo per Eusébio.

La storia tra questo grande campione e il Benfica, che sarà il suo unico grande amore calcistico, è straordinaria: resosi conto di quanto si è fatto soffiare sotto il naso, lo Sporting Lisbona tenta di riprendersi il ragazzo tanto da convincere Guttman a nasconderlo per qualche giorno temendo addirittura un sequestro di persona. Al suo esordio in amichevole Eusébio si presenta con una bella tripletta, i primi dei tanti palloni che infilerà nel sacco nel corso dei quindici anni seguenti. Soltanto nella seconda stagione, la prima che finisce per giocare titolare, sigla 12 reti in 17 incontri in campionato e soprattutto contribuisce in modo determinante alla conquista della Coppa dei Campioni 1961/1962. La finale contro il Real Madrid dei grandissimi Puskas e Di Stefano entrerà nella storia come una delle più belle ed emozionanti di sempre: dopo essersi trovato in svantaggio prima 2 a 0 e poi 3 a 2, i portoghesi riescono a pareggiare all’inizio del secondo tempo con un gran tiro di Coluna, specialista dalla distanza. A risolvere la gara ci pensa proprio il ragazzino arrivato dal Mozambico, Eusébio, che prima realizza su rigore e poi su punizione, una doppietta in meno di cinque minuti che stende i mostri sacri del Real. Sarà l’ultima coppa europea per il Benfica, colpito dalla famosa “maledizione di Guttman”, il tecnico che dopo la vittoria lascia in contrasto con una dirigenza che non intende riconoscergli un premio previsto solo in caso di vittoria del campionato, dove è arrivato soltanto terzo. Se ne va sbattendo la porta e annunciando che per cento anni il Benfica non solleverà mai più una coppa: anche se effettivamente il suo anatema si compierà (da allora il club lusitano non ha più vinto un trofeo in Europa, pur giungendo numerose volte in finale) il Benfica diventerà l’incontrastato dominatore del campionato nazionale. Ai molti trionfi Eusebio, sempre più leader, contribuirà in maniera determinante con i gol, numerosi e spesso decisivi: dal 1960 al 1975 segna 473 reti in 439 gare, più di una rete a partita, conquistando ben dieci volte il campionato e laureandosi capocannoniere dello stesso in ben sette occasioni.

Nel 1965 il Benfica perde la finale di Coppa dei Campioni contro la grande Inter di Helenio Herrera: è la sola occasione in cui Eusébio non gioca come ormai ha abituato le platee di tutto il mondo, e non basta a sottrargli un meritatissimo Pallone d’Oro già sfiorato in precedenza e che conquista precedendo Facchetti e Suarez, simboli proprio dell’Inter. Nel 1966 si giocano i Mondiali in Inghilterra, e anche grazie all’innesto di Eusébio il Portogallo si è trasformato da squadra qualsiasi (all’esordio della Pantera Nera i lusitani hanno perso addirittura contro il Lussemburgo!) in serio candidato alla vittoria finale. Se ne accorge il Brasile campione in carica, che viene estromesso dal torneo già ai gironi proprio per via di una secca sconfitta rimediata contro i lusitani, vittoriosi per 3 a 1 proprio grazie a una doppietta dello scatenato Eusébio, che tutti ormai paragonano proprio al grande Pelé. Il Brasile non è l’unica grande squadra a tornare a casa in anticipo: anche l’Italia saluta il torneo anzitempo, sconfitta dalla sorprendente Corea del Nord, e sono proprio gli asiatici gli avversari di Eusébio e compagni ai quarti di finale. Dopo un inizio-shock i lusitani si accorgono al 25° minuto di essere già sotto di tre reti per via di una sorprendente partenza coreana, capace di colpire cogliendo di sorpresa giocatori molto più affermati che hanno decisamente sottovalutato l’impegno. A scuotere i compagni dal torpore ci pensa il grande Eusébio: due minuti dopo il 3 a 0 asiatico accorcia le distanze inserendosi di potenza in area e colpendo implacabilmente. Raccoglie il pallone e lo riporta a centrocampo, e forse in quel gesto, in quella feroce determinazione, i coreani prevedono quello che sarà il loro destino: alla fine del primo tempo Eusébio ha segnato ancora su rigore, e nel primo quarto d’ora della seconda frazione di gioco il sorpasso è completato con altre due reti dello scatenato campione, furioso per il rischio corso. Finisce 5 a 3 (segna anche José Augusto a tempo quasi scaduto) e gli applausi sono tutti per Eusébio, autore di quattro reti e di una prova pazzesca: praticamente da solo ha messo a ferro e fuoco la difesa nordcoreana, travolgendo avversari che anche dopo anni racconteranno come quello sia stato il pomeriggio peggiore della loro vita calcistica.

Il Portogallo verrà fermato soltanto in semifinale dall’Inghilterra che poi vincerà il torneo, un 2 a 1 che porta la firma di Bobby Charlton e naturalmente di Eusébio, che per un solo voto non bisserà il Pallone d’Oro vinto l’anno prima e che finirà al campione inglese. Nell’estate del 1966 il campionissimo, adesso nel pieno della maturità, potrebbe venire a deliziare le nostre platee: Angelo Moratti se ne è innamorato e si dice lo abbia anche acquistato, ma la disastrosa sconfitta ai Mondiali contro la Corea del Nord induce la federazione ad una decisione clamorosa: nessuno straniero potrà essere acquistato da un club italiano. Il nostro Paese, dunque, forse per pochi mesi perde la possibilità di osservare uno dei più grandi campioni di sempre dal vivo, mentre è soltanto ipotizzabile quanto avrebbe potuto vincere ancora la “Grande Inter” con un fenomeno come Eusébio dalla sua parte.

Nel 1968 “la Pantera Nera” è il primo vincitore della Scarpa d’Oro, trofeo inventato quell’anno e che viene assegnato al più grande marcatore nei campionati di tutta Europa. Lo conquista segnando ben 42 reti in 24 gare e lo bisserà cinque anni dopo, nel 1973, quando le reti saranno 40 in 28 partite, una media inferiore alla prima ma sempre straordinaria. Quando lascia il calcio che conta Eusébio ha segnato più di un gol a partita, ha vinto una Coppa dei Campioni, dieci campionati, cinque coppe di Portogallo; a livello individuale appunto un Pallone d’Oro, due volte la Scarpa d’Oro, sette volte il premio come miglior marcatore del campionato. Finisce in America, una volta la terra delle opportunità e che invece calcisticamente, nei primi anni ’70, si appresta a diventare uno dei campionati più colorati e bizzarri al mondo, zeppo di tanti campioni sul viale del tramonto affiancati a meno che onesti mestieranti locali. Dopo brevi esperienze con Boston Minutemen e i messicani del Monterrey, a 34 anni Eusébio conquista a suon di gol il campionato NASL con i Toronto Metros-Croatia, quindi si alternerà tra America e Portogallo in squadre dimenticabili come i Buffalo Stallions, i Las Vegas Quicksilver, l’União de Tomar, squadre che comunque potranno vantarsi di aver avuto tra le proprie fila uno dei più grandi giocatori della storia del calcio. Si ritira nel 1979, a 37 anni, rientrando presto nei quadri del calcio portoghese prima e del Benfica poi grazie al suo indiscusso status di leggenda.

Eusébio fu la fantasia portoghese, influenzata dai “cugini” brasiliani, abbinata alla forza fisica africana in un periodo in cui entrambe queste caratteristiche dovevano ancora affermarsi. Tecnicamente di livello superiore, in pochi sapevano toccare il pallone come lui, in pochi possedevano il suo dribbling e il suo tiro mortifero: nessuno possedeva tutte queste qualità insieme, qualità che gli permisero di essere un bomber implacabile ma non certo statico, capace di venire a prendersi il pallone a centrocampo, bravo ad impostare e anche a servire così assist vincenti. La sua fama fu tale che spesso gli avversari terrorizzati mandavano due o tre giocatori a marcarlo: inutilmente, perché se le reti arrivavano anche grazie ai compagni lasciati liberi spesso Eusébio riusciva comunque a liberarsi, superando tutto e tutti e lasciando l’immancabile segno. Fu forse tra i primi veri calciatori “totali”, sicuramente fu il primo giocatore capace di far capire a europei e sudamericani, fino ad allora padroni assoluti del “gioco”, che anche dall’Africa potevano emergere campioni di football. Vero e proprio eroe dei due mondi, seppe anche dare slancio al movimento calcistico portoghese come nessuno prima di lui, trasformando con la sua presenza una nazionale fino ad allora inesistente o quasi e trascinandola al punto più alto della sua storia, gesta che gli sono state riconosciute anche dai grandi connazionali contemporanei quali José Mourinho e Cristiano Ronaldo. Il quale, temiamo, dovrà sempre scontrarsi con il passato di questo grande campione, giunto nel calcio quasi per caso ma capace di lasciare il segno come pochi, pochissimi.

Eusébio si è spento nel 2014, poco più che settantenne, quando ancora collaborava con la squadra della sua vita, il Benfica a cui era arrivato nel 1960: il club, per onorare il suo grande campione, gli ha dedicato una stupenda statua davanti all’Estádio da Luz, oggetto di pellegrinaggio e spesso ricoperta di sciarpe e bandiere. Il giusto tributo al campione che cambiò per sempre la storia del calcio portoghese e di quello africano, l’uomo che paragonavano a Pelé e che segnando una rete dopo l’altra si è guadagnato un posto tra gli immortali dello sport più bello del mondo.

“Nacque destinato a lustrare scarpe, vendere noccioline o borseggiare la gente distratta. Da bambino lo chiamavano Ninguém (Niente, Nessuno). Figlio di madre vedova, giocava a pallone coi suoi molti fratelli negli spiazzi di periferia, dalla mattina alla sera. Fece il suo ingresso sui campi correndo come può correre solo chi fugge dalla polizia o dalla miseria che gli morde i talloni. E così, tirando e zigzagando, divenne Campione d’Europa a vent’anni. Allora lo chiamarono la Pantera. Nel Mondiale del 1966, le sue zampate lasciarono un mucchio di avversari a terra e i suoi gol da angolazioni impossibili suscitarono ovazioni che sembravano non finire mai. Fu un africano del Mozambico il miglior giocatore di tutta la storia del Portogallo: Eusébio, gambe lunghe, braccia cadenti, sguardo triste.”

( cit. Eduardo Galeano, “Splendori e miserie del gioco del calcio”)

(foto Occhiaperti.net)

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