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Tutto calcio che Cola #57: Addio a Mwepu, l’eroe scambiato per folle – 12 mag

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Mancano pochi minuti alla fine dell’ultima gara del Gruppo B, primo turno del Mondiale che si gioca nel 1974 in Germania Ovest: il Brasile sta vincendo per 3 a 0 contro lo Zaire, e l’arbitro rumeno Rainea ha fischiato una punizione per i verde-oro a pochi metri dall’area di rigore africana. Lo specialista Rivelino sta ancora decidendo come calciare quando dalla barriera dello Zaire un calciatore, Ilunga Mwepu, si stacca per correre incontro al pallone fermo e calciarlo via lontano con rabbia. I brasiliani, l’arbitro (che non può esimersi dall’ammonire lo zairese) e tutti gli spettatori presenti allo stadio o a casa rimangono increduli, mentre Mwepu continua a inveire contro Rivelino. L’episodio appare quasi comico, i poveri africani che ancora non riescono a capire le più basilari regole del calcio, ma dietro al gesto del difensore tesserato per il Mazembe vi è in realtà una motivazione drammatica.

Ai tempi, infatti, dittatore assoluto dello Zaire era Joseph-Desiré Mobutu. Egli aveva preso il potere grazie ad un colpo di stato che aveva portato alla morte di Patrice Lumumba, primo presidente del paese democraticamente eletto. Non aveva fatto tutto da solo, ma era stato sostenuto dai governi del Belgio e degli Stati Uniti in un operazione analoga all’Operazione Condor in Sudamerica: un modo per combattere il temuto dilagare del comunismo nel mondo.
Mobutu era un dittatore spietato, l’archetipo del dittatore africano: sfruttò lo Zaire per arricchirsi in modo vergognoso, durante il suo governo la repressione, la corruzione ed il nepotismo furono all’ordine del giorno. 
Come molti dittatori prima di lui, vide nel calcio un forte veicolo di propaganda, e fu così che riportò in patria i migliori calciatori locali convogliandoli nel TP-Englebert, oggi noto come Mazembe. 
L’idea? Semplice: i calciatori avrebbero potuto giocare insieme ed insieme allenarsi per creare una grande Nazionale.


Il piano funzionò, i calciatori riuniti presero a giocare molto bene e conquistarono, qualche mese prima dei Mondiali, la Coppa d’Africa. Le aspettative per il torneo mondiale erano alte, e Mobutu promise mari e monti ai suoi uomini in caso di bella figura: lo Zaire fu inserito in un girone di ferro comprendente i campioni del mondo in carica del Brasile, la Scozia e la talentuosa seppur incostante Jugoslavia. Proprio contro gli scozzesi gli africani disputarono la prima gara del Mondiale, e lì si accorsero di quanto fossero tremendamente indietro rispetto al calcio europeo e sudamericano: i britannici li sovrastavano in centimetri ed elevazione, la gara fu a senso unico e sorprendentemente si concluse solo sul 2 a 0 per i rivali, che sprecarono una quantità enorme di palle-gol. Non era un risultato di cui vergognarsi però. Quello sarebbe arrivato nella seconda gara, giocata contro la Jugoslava, squadra capace di tutto e del suo contrario ma quel giorno tremendamente ispirata: dopo mezz’ora il punteggio era già di 5 a 0 per gli slavi, che conclusero con un mortificante 9 a 0 solo perché dalla mezz’ora in poi parvero darsi all’accademia. 


Era un umiliazione troppo grande per Mobutu, che raggiunse la Germania insieme alla sua guardia scelta e fece un chiaro discorso ai suoi uomini: nell’ultima gara esigeva di non fare brutte figure. Peccato che l’ultima gara fosse proprio contro il Brasile tre volte Campione del Mondo nonché campione in carica e al quale serviva una vittoria per 3 a 0 per qualificarsi ai danni proprio degli scozzesi.

“Bene – disse Mobutu – il limite sono i 3 gol che servono al Brasile. Non sono un folle (?), so che differenza c’è tra noi e loro. Ma attenti: 3 reti, non una di più. Se non ce la farete, nessuno di voi tornerà a casa. E ricordatevi che a casa ci sono anche le vostre famiglie.”

È quindi comprensibile lo stato d’animo con cui gli zairesi affrontarono la gara: passato in vantaggio appena al 12° minuto grazie a Jairzinho, il Brasile controllò l’incontro ma non riuscì a sfondare contro gli africani che – adesso è noto – giocavano per le loro stesse vite e quelle di chi amavano. A poco meno di mezz’ora dalla fine Rivelino siglò il 2 a 0, e a 10′ dalla fine arrivò il 3 a 0 della qualificazione ad opera di Valdomiro. Nei minuti che restavano il nervosismo si poteva tagliare a fette: Mobutu, del resto, era uomo di parola quando si parlava di minacce. Ed ecco la punizione per il Brasile, la corsa folle e disperata di Mwepu, ecco spiegato il perché di una scena che per molti ancora oggi appare comica ma che fu, in realtà, terribilmente drammatica. Lo scorso venerdì, dopo lunga malattia, Joseph Mwepu Ilunga, il difensore che corse per chi amava, ha lasciato questo mondo: dovrà essere ricordato come un eroe, e potrà finalmente riposare in pace.

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