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Calcio

100 Storie Rossoblù: 04 Haller, 03 Sansone, 02 Schiavio

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Un viaggio lungo cento storie. Cento uomini, cento giocatori che hanno vestito la maglia del Bologna nella sua storia lunga oltre un secolo. Nato con l’idea di stilare una classifica dei più grandi rossoblù di sempre, questo progetto con il tempo ha virato verso un modo per raccontare in poche parole le storie di piccoli e grandi uomini. Tra loro c’è chi ha segnato un’epoca e chi invece è stato a malapena intravisto, tutti però hanno una storia da raccontare ed io ho pensato di raccoglierle qui, ogni lunedì, mercoledì e venerdì.  

PUNTATE PRECEDENTI:
– 100 (Bernacci), 99 (Womé), 98 (Dyego Coelho)
– 97 (Walsingham), 96 (Luciano), 95 (Meghni)
– 94 (Aaltonen), 93 (Vukas), 92 (Battisodo)
– 91 (Rubio), 90 (Macina), 89 (Matosic)
– 88 (Chiorri), 87 (Bellucci), 86 (Sarosi)
– 85 (Colomba), 84 (Bellugi), 83 (Turkylmaz)
– 82 (Antonioli), 81 (Binotto), 80 (Liguori)
– 79 (Jensen), 78 (Pilmark), 77 (Zagorakis)
– 76 (Kolyvanov), 75 (Gilardino), 74 (Demarco)
– 73 (Seghini), 72 (Marronaro), 71 (Rauch)
– 70 (Marazzina), 69 (Arnstein), 68 (Detari)
– 67 (Cusin), 66 (Eneas), 65 (De Ponti)
– 64 (Paris), 63 (Giordani), 62 (Fontolan)
– 61 (Cruz), 60 (Muzzioli), 59 (Pagotto)
– 58 (Maschio), 57 (Mayer), 56 (Perin) 
– 55 (Chiodi), 54 (Negri), 53 (Kone)
– 52 (Cappello IV), 51 (Maini), 50 (Capra)
– 49 (Bernabeu), 48 (Mancini), 47 (De Marchi)
– 46 (Alberti II), 45 (Pavinato), 44 (Gradi)
– 43 (Fogli), 42 (Badini II), 41 (Cresci)
– 40 (Diamanti), 39 (Genovesi), 38 (Tumburus)
– 37 (Cervellati), 36 (Ingesson), 35 (Janich)
– 34 (Ceresoli), 33 (Villa), 32 (Baldi)
– 31 (Della Valle), 30 (Roversi), 29 (Gasperi)
– 28 (Pagliuca), 27 (Nervo), 26 (Paramatti)
– 25 ((Torrisi), 24 (Fiorini), 23 (Marocchi)
– 22 (Montesanto), 21 (Pecci), 20 (Puricelli)
– 19 (Fedullo), 18 (Di Vaio), 17 (Savoldi)
– 16 (Monzeglio), 15 (Signori), 14 (Gianni)
– 13 (Andreolo), 12 (Badini I°), 11 (Pivatelli)
– 10 (Perani), 09 (Biavati), 08 (Pascutti)
– 07 (Nielsen), 06 (Baggio), 05 (Reguzzoni)

 

04 – Helmut Haller

Lo hanno definito “il meno tedesco dei tedeschi”, Helmut Haller. Mezzapunta con classe e estro tipici del Sudamerica, arrivato in Italia per una felice intuizione del presidentissimo Dall’Ara. In Germania faceva l’autista ed era la stella dell’Augsburg, in Italia gioca dietro il centravanti costringendo il giovane talento Bulgarelli ad arretrare il proprio raggio d’azione e diventare una mezz’ala. Va bene così, quel Bologna gioca “come neanche in Paradiso”, e tanto dello spettacolo lo fa Haller: finte, controfinte, passaggi di prima di una precisione e una genialità raramente viste. Nella sua epoca è uno dei migliori al mondo, unisce estro e potenza, lo fa nonostante uno stile di vita decisamente non impeccabile, visto che in Italia ha scoperto la bella vita, i soldi, i night. Sul campo però è un fenomeno, trascina il Bologna all’ultimo Scudetto della sua storia nel ’64, e due anni dopo la Germania ad un passo dalla vittoria al Mondiale d’Inghilterra: nella finale contro i padroni di casa i tedeschi passano in vantaggio con un suo gol, poi devono arrendersi tra le mille polemiche di un gol fantasma che quasi mezzo secolo dopo si scoprirà che non c’era. La delusione è tanta, Haller molla un po’ il colpo e del resto il Bologna ha preso la china inesorabile che lo porterà a sparire dal novero delle squadre di riferimento: ne approfitta la Juventus, che lo prende a 29 anni anche se il fisico non è certo quello di un atleta. Pazienza, l’avvocato Agnelli se ne è innamorato vedendolo in rossoblù e va bene così: in bianconero regala magie in serie, vince altri due Scudetti e fa da chioccia ai giovani campioni di domani: Bettega, Causio, Anastasi. Chiude ancora in Germania, ancora all’Augsburg, ma il meglio lo ha dato con il Bologna: 208 presenze, 58 reti, dribbling mai visti e assist eccezionali che Nielsen e Pascutti devono solo spingere in rete. Fenomeno vero, amabile, unico Haller. Il meno tedesco dei tedeschi.

 

03 – Raffaele Sansone

Tra questo interno favoloso ed il Bologna un amore unico, incredibile, che lo porterà ad essere giustamente considerato uno dei più grandi campioni di sempre nella storia rossoblù: e pensare che dopo due stagioni tutto sembrava finito già. Raffaele Sansone era arrivato nel Bologna che stava facendo le prove per diventare “lo squadrone che tremare il mondo fa”: Felsner era però andato alla Fiorentina e aveva preferito puntare su altri, così invece che in viola (dove avrebbe ritrovato il suo “sponsor” e connazionale Petrone) il giovane Sansone finì in rossoblù. I risultati furono subito splendidi, visto che come giocava lui nessuno: in coppia con il compatriota Fedullo forma uno degli attacchi più forti della storia del Bologna, agendo dietro la punta Schiavio che a fine stagione è capocannoniere. Nella stagione successiva però sente nostalgia di casa e vi fa ritorno tra mille polemiche: ha appena 23 anni, e pensa che la storia con l’Italia si è già conclusa ma si sbaglia. Dopo solo un anno torna sui suoi passi: ancora il Belpaese, ancora il Bologna. Cosa cambia? Che adesso si vince: Sansone è ancora migliore di quello che è partito, s’innamora della squadra e della città, trova compagni eccezionali. Il Bologna vince 4 Scudetti ed il famoso Torneo Internazionale dell’EXPO di Parigi, e di quella squadra Sansone è il perno, l’uomo in più, colui che unisce il centrocampo all’ariete Schiavio. Se in Nazionale non ha fortuna (in azzurro è chiuso da autentici campioni, con l’Uruguay ha sfiorato la partecipazione al primo Mondiale appena ventenne) con il Bologna scrive la storia: dopo i due anni e il ritorno in patria, stavolta rimane dieci anni filati, mettendo insieme la bellezza di 315 partite in un’epoca in cui gli impegni sono minori rispetto ad oggi. I gol? Appena 45, perché Sansone preferisce lasciarli ad altri, non perché gli manchino le capacità, ci mancherebbe. Rimane a vivere a Bologna anche dopo il ritiro, sposa una donna del luogo e si lega alla società del “suo” presidente, Dall’Ara: come osservatore scopre Pascutti, Capra, Haller, Tumburus, mentre come allenatore delle giovanili vince il Torneo di Viareggio nel 1967. All’Uruguay, il Paese natio dove era voluto fuggire quando giovane si era ritrovato a Bologna, non penserà mai più, rimanendo nella città che lo ha adottato fino alla morte. Un eroe locale, un cittadino di Bologna, un campione straordinario.

 

02 – Angelo Schiavio

Si affaccia in prima squadra che è un ragazzino: per arrivare a giocare a calcio ha seguito un percorso tutto suo, lasciando il pallone per lo studio e poi viceversa. Voleva diventare ragioniere, ma è troppo forte il richiamo del campo. Angelo Schiavio è il miglior bomber di sempre del Bologna, di cui è stato l’ariete, il simbolo e il capitano quando questo era “lo squadrone che tremare il mondo fa”. Le difese le faceva tremare lui, caricandole a testa bassa con un coraggio mai visto, una caparbietà inarrivabile, degna di un soldato: in un’epoca in cui le botte si prendono senza fiatare, Schiavio soleva trascinare il pallone con l’interno del piede mostrando le spalle ai difensori rivali, che invano cercavano di stenderlo con ogni mezzo. Non c’era modo, era impossibile fermare quel ciclone vestito di rosso e di blu, dotato per giunta di un tiro che era una sentenza e anche di un carattere da vero leader. Sono passati alla storia i duelli rusticani e al limite (e spesso oltre) del regolamento con lo juventino Monti, un altro che non le mandava certo a dire. Per amor di patria i due fanno pace in vista del Mondiale del 1934, dove Angelo è il bomber azzurro: 4 reti, la più importante in finale contro la Cecoslovacchia, all’ultimo tuffo, quella della vittoria. Una rete che riassume tutto quello che Schiavio è stato, al termine di una partita protratta fino ai supplementari, quando la stanchezza fa da padrona e contano la volontà, il carattere: qualità in cui non è secondo a nessuno nel mondo. Infortunato, esausto, si fionda su un pallone dimenticato da chi ha meno fiato di lui e lo insacca superando il leggendario Planicka. Nel Bologna gioca per 16 stagioni, mette insieme 364 presenze e segna la bellezza di 250 reti: gli valgono 4 Scudetti, 2 Coppe Europa, il Trofeo Internazionale dell’EXPO di Parigi e la fama nazionale. In azzurro appena 21 partite nell’epoca dei pionieri e poco più, condite comunque dalla bellezza di 15 reti e un Mondiale, due Coppe Internazionali e un bronzo alle Olimpiadi di Amsterdam del 1928. Cifre importantissime, certo, ma che sole non rendono l’idea di quanto grande fu “Anzlèin” Schiavio, uno dei primi eroi del calcio italiano e per sempre il re dei goleador del Bologna. Mica poco per un ragazzo che voleva fare il ragioniere.

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