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Tutto calcio che Cola #52: Il famoso caso del calciatore rapito – 31 mar

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Nell’epoca pionieristica del calcio italiano, uno dei primi “trasferimenti” capaci di generare scalpore in tutta la città avvenne a Milano. Il protagonista fu un ragazzo appena maggiorenne, letteralmente rapito sul campo e tenuto “prigioniero” fino a quando non fu ufficializzato il suo trasferimento. Il suo nome era Leopoldo Conti, e si apprestava a diventare uno dei primi eroi nella storia dell’Inter.

Gli effetti che la Grande Guerra produsse sul neonato “foot-ball” fu il blocco totale dell’attività: gli eroi della domenica erano infatti diventati eroi del fronte, lasciando gli stadi vuoti e il pubblico senza quello che ormai era già diventato il rituale della domenica. Stufi di stare con le mani in mano, i piccoli club che negli anni si erano formati nelle varie città del nord Italia e che già organizzavano tornei minori decisero di continuare la propria attività: nacque così l’ULIC (“Unione Libera Italiana del Calcio”), movimento calcistico a carattere prettamente giovanile dove squadre molto spesso improvvisate si sfidavano tra loro in un vero e proprio campionato. Importantissima e formativa vetrina per i ragazzi più giovani – i quali avevano qui la possibilità di fare “apprendistato” prima di calcare i campi “veri” della FIGC quando questa riaprì i battenti – solo dopo più di un decennio i “campionati uliciani” avrebbero avuto termine.

È su questi campi molto spesso polverosi e con porte improvvisate che nasce il mito di Leopoldo Conti: stella dell’Ardita Ausonia, squadra che raccoglie i ragazzi del centro di Milano, è cresciuto osservando il fratello giocare nel Milan di Herbert Kilpin. Il ruolo è quello di ala, ma è capace di disimpegnarsi anche come interno o punta: rapido, talentuoso, tenace e coraggioso, è la stella dei campionati organizzati dall’ULIC e ovviamente attira l’attenzione delle grandi squadre cittadine. Quando però l’Inter decide di prendere informazioni su di lui scopre che il ragazzo si è da poco trasferito dall’Ausonia all’Enotria Goliardo, squadra della zona di Crescenzago che per averlo ha sborsato l’importantissima cifra di 50 lire. Ai dirigenti nerazzurri non serve neanche parlare con il presidente dell’Enotria: pur essendo conosciuto per i suoi modi gentili, tanto da meritare il soprannome di “papà Gaetani”, questo risponde che il giocatore non era in vendita.[1]

Va tenuto presente che ai tempi imperava ancora il dilettantismo di facciata, ed erano perciò vietati i trasferimenti o i compensi legati al mondo del calcio: si poteva pagare solo tramite “rimborsi”, quello che poi aveva effettivamente fatto l’Enotria con l’Ausonia, rifiutandosi di restituire Conti alla sua prima società dopo averlo preso in prestito per un torneo studentesco. Il ragazzo d’altro canto era allettato dall’idea di andare in una delle società più importanti del calcio italiano, anche se era riconoscente all’Enotria per aver creduto in lui tanto da “rimborsare” l’Ausonia con 50 lire. Pochi giorni dopo il trasferimento, dunque, messosi il cuore in pace disputò una gara con la nuova squadra: l’Enotria vinse e Conti convinse, al punto che un drappello di tifosi – terminato l’incontro – entrò in campo e lo sollevò in segno di giubilo. Improvvisamente, e senza deporlo in terra, questi presero l’uscita del campo e corsero via per le strade cittadine, con Conti sempre sollevato e a questo punto anche visibilmente preoccupato. “Chi siete? E dove mi portate?” chiese, sentendosi rispondere “Siamo dell’Inter! Si va in sede!”.[2]

Chi aveva risposto era Leone Boccali, tifosissimo dell’Inter e che in seguito sarebbe diventato un grande giornalista e fondatore del “Calcio Illustrato”. Conti fu così portato nella sede dell’Inter, mentre fuori dall’edificio si formava una folla numerosa: chi tifava Enotria ed era venuto per riportare indietro il “gioiello”, chi di fede interista intendeva difendere il “bottino”. E Conti? Arrivati a quel punto oramai aveva capito che l’Inter era nel suo destino. Così a “papà Gaetani” e all’Enotria non rimase altra scelta che quella di accettare il rimborso riparatorio di 100 lire da parte dell’Inter e lasciare andare il giovane campione appena prelevato e che comunque prima o poi, visto il talento, sarebbe comunque passato ad un club più importante e ambizioso: in capo a pochi anni infatti l’Enotria avrebbe terminato l’attività ad alti livelli per diventare un club dilettantistico. Attualmente – ironia della sorte – è una società satellite proprio dell’Inter.

Leopoldo Conti, appena maggiorenne, contribuì già dalla prima stagione in nerazzurro alle fortune del club, segnando 7 reti in 21 gare nella stagione del secondo Scudetto e guadagnandosi la chiamata in Nazionale a vent’anni ancora da compiere. Si impose da subito come una figura autoritaria nello spogliatoio, tanto da guadagnare il soprannome di “Duce”, e per questa caratteristica divenne capitano nel 1922, ad appena 21 anni. Portò la fascia con onore e classe fino al 1931, contribuendo ad un altro Scudetto (1929-1930) e lasciando con 222 presenze e 75 reti in nerazzurro, mentre con l’Italia disputò 31 partite segnando in 8 occasioni. Un giorno del 1927 l’allenatore Árpád Weisz presentò alla squadra un ragazzino di 17 anni, spiegando che sarebbe stato il nuovo centravanti dell’Inter. Conti rispose meravigliato e anche un po’ stizzito: “Adesso facciamo giocare anche i ‘balilla’?” Balilla era il termine con cui ci si riferiva ai bambini all’epoca del Fascismo, e sarebbe rimasto il soprannome di quel ragazzo anche una volta che questi si sarebbe fatto uomo, e campione: il suo nome era Giuseppe Meazza, uno dei più grandi campioni di sempre. Ma questa è un’altra storia…

Fonti: 
[1]www.bustocco.it
[2]“Il Meraviglioso Giuoco”, E. Brizzi, p. 176-177, GLF Editori

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