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Presentazione del libro di Emilio Marrese

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REDAZIONE: Il volo dell’aquila, motivi di una decadenza
MARRESE: Rispondo con una citazione che ho messo all’inizio del libro: gli Dei puniscono gli uomini realizzando i loro sogni. Io non avevo mai sognato due scudetti, a dir la verità, mi bastava molto meno. Però li abbiamo pagati con gli interessi. Più seriamente, intanto la decadenza è generale di tutto il basket italiano,  in progressivo declino da anni ovunque. Basta guardare anche sull’altra sponda bolognese, dove tutto esplose nel 2003. E poi Pesaro, Treviso eccetera. Questo non è uno sport che possa sostenere autonomamente, senza cioè gli investimenti a fondo perduto di un mecenate, i livelli del passato sul piano economico. Tutti hanno campato per troppo tempo al di sopra delle proprie possibilità. La Fortitudo poi, per natura, riesce a essere sempre fragorosa, eccessiva e tragica in tutto, anche nel crac. Sulle cause specifiche rischio di essere superficiale, non conoscendo a fondo carte e retroscena. Era ovvio che il dopo Seragnoli non poteva che essere gramo, ma ovviamente poteva essere gestito meglio. Sacrati è stato una sciagura per questa società.
 
REDAZIONE: Il giocatore piu’ rappresentativo per te della Fortitudo
 
MARRESE: Sono tanti ma d’istinto i primi a venirmi in mente non sono i molti grandi campioni dell’epoca d’oro dell’Emiro. Gary Baron Schull è un’icona, ma non l’ho mai visto giocare. Tra quelli che ho visto in campo e conosciuto, dico Zatti, Pellacani e Albertazzi poi Dan Gay e Pilutti: per goliardia, ironia, autoironia, ma anche serietà, cuore, appartenenza e capacità di andare oltre i propri limiti. Tra gli americani sono affezionato a John Douglas.
 
REDAZIONE: Tornera’ mai il derbi o dovremo sempre vivere di ricordi?
 
MARRESE: Certo che tornerà il derby, prima o poi. Sarà però diverso il contesto, la posta in palio, il senso, lo spirito. Non riesco ad immaginarlo. Sicuramente non tornerà più un derby come quello del sorpasso ai playoff dell’88 e molto difficilmente potrà tornare un derby in finale scudetto. Il fatto è che, prima, deve tornare la Fortitudo.
 
REDAZIONE: Veniamo al libro, come ti viene questa idea del terzo scudetto?
 
MARRESE: Credo che anche una squadra, come un parente o una storia d’amore, possa morire, finire. Pensavo che la “mia” Fortitudo fosse morta dopo la retrocessione, complice anche la lontananza che comunque mi permetteva di andare a vederla solo due o tre volte all’anno. Apparteneva ad un periodo della mia vita per tanti ragioni terminato: un bel ricordo e amen. Quando è arrivata la notizia della radiazione, però, mi sono accorto che – anche se ormai seguivo solo distrattamente e con scarsa partecipazione emotiva le vicende biancoblù – era come se fosse morta davvero una parte della mia adolescenza e gioventù. Una piccola ma importante parte della mia vita da tifoso, da ragazzo, da giornalista. Malinconie da emigrato, mi rendo conto. Ma mi è dispiaciuto più di quanto pensassi, ho provato un vuoto che non immaginavo. Un vuoto che ho voluto riempire subito così, con la fantasia, inventandomi questa storiella assurda, magari patetica agli occhi di chi non ha vissuto le stesse emozioni, che fosse un omaggio a quel vissuto, a quel simbolo, a un’epoca, alla sua gente. é un gioco, un divertissment, uno sberleffo. Una favola catartica natalizia che potesse avere, almeno per qualche ora di lettura, un effetto balsamico e che ricordasse cosa eravamo e cosa avremmo potuto ancora essere, al disopra di questa orribile faida in atto, questa tristissima e avvilente spaccatura che s’è creata nel pubblico. Mi sono rifugiato nella memoria del futuro per non stare né da una parte né dall’altra, ma sopra. O indietro. Non è casuale che un personaggio importante si chiami Ebenezer, come lo Scrooge del Canto di Natale di Dickens.
 
REDAZIONE: E’ un libro ironico che vuol far riflettere chi ha distrutto una fede?
MARRESE: C’è ironia, allegria e malinconia al tempo stesso. Nel cinema amo la commedia all’italiana alla Scola, Monicelli o Virzì, dove si ride pensando, si ride amaro, si ride intelligente. Spero che i fortitudini possano sorridere, emozionarsi un po’ e, se vuoi, riflettere un briciolino anche sul tempo che passa, sull’ostinazione un po’ goffa che tutti noi di mezza età opponiamo ai cambiamenti, sulla nostra resistenza alla realtà e al mutare degli eventi. Non è un caso neanche che quasi tutti i personaggi principali del libro siano crepuscolari, davanti ad un confine della loro vita. Mi chiedo e non da ora se esista davvero una diversità del pubblico fortitudino o s’è invece perduta nel tempo, già da anni, e non sia rimasto solo un qualcosa che ci raccontiamo. Non ho una risposta, o meglio preferisco non averla perché non mi garberebbe. Questo vale per la Fortitudo ma si può estendere anche a Bologna e alla perenne dolorosa lotta di ogni bolognese tra il ricordo, la nostalgia e la realtà presente di un luogo che cambia come cambia poi tutto il mondo. Cambia come cambiamo noi stessi, in fondo. Difficilmente in meglio.
Non so se Sacrati spenderà ben 12 euro per leggerlo, dubito, magari se lo farà prestare, ma non mi importa. Mi farà piacere se lo leggerà il signor Romagnoli: forse, senza voler essere presuntuoso, capirà qualcosina di più del mondo in cui è entrato.
 
REDAZIONE: Ma si puo’ festeggiare uno scudetto effimero?
 
MARRESE: Più che effimero, onirico direi. Rispondo con un’altra citazione che c’è nella prima pagina. E’ un proverbio argentino che Velasco amava citare: nessuno ti toglie quello che hai ballato. Ecco: quello bisogna festeggiarlo sempre. E poi spero che venga apprezzata la follia di scrivere un instant book su uno scudetto mai vinto. A farli su quelli vinti davvero sono capaci tutti… Io sono fiero di aver scritto il primo libro sulla storia della Fortitudo nel ’93, dopo aver rischiato una retrocessione dalla A2 alla B, e ora mi ripresento in un momento ancora più basso della storia. Mi piace salire solo sul carro dei perdenti 🙂
 
REDAZIONE: In quale luogo geografico nasce l’idea di questo libro?
 
MARRESE: L’idea in treno tra Bologna e Roma, guardando gli ultimi coppi rossi dei nostri tetti prima di essere inghiottito dal buio moderno della galleria. La scrittura inizia all’alba davanti al mare di Salina, nelle Eolie. Blu.
 
REDAZIONE: Ci racconti qualche cosa in anteprima?
 
MARRESE: Detesto i trailer e anche le quarte di copertina nei libri, che ti raccontano già quello che succede a metà libro o a metà film. Non è un giallo ma quel poco che c’è da scoprire con sorpresa, essendo poi un romanzo breve o un racconto lungo, vorrei lasciarlo a chi legge. Immagino che ci si sforzerà di riconoscere chi sono davvero, nella realtà, i protagonisti. Qualche personaggio di contorno è più riconoscibile ma tutti, anche quelli, sono ispirati a più persone della storia recente del basket bolognese. Alcuni tratti sono inconfondibili, altri me li sono assolutamente inventati.
 
REDAZIONE: Chi collabora con te?
 
MARRESE: Nessuno. Naturalmente ringrazio l’editore Pendragon, una piccola coriacea e importante realtà bolognese che tutti dovremmo cercare di proteggere e aiutare per il tanto che ha fatto e fa per la nostra città. E ringrazio Rosanna Mezzanotte, bravissima grafica e illustratrice, che ha tradotto con molto gusto e mestiere sulla copertina, con i suoi pennelli, l’idea che c’è dentro al libro.
 
REDAZIONE: Mentre scrivi quali sensazioni vivi? di rabbia, di sconforto, o come dice Giovanotti pensi positivo e credi ad una rinascita Fortitudo?
 
MARRESE: Te l’ho detto: divertimento, emozione e un po’ di malinconia. Lo sconforto mi prende quando leggo gli insulti che volano sul web tra le due fazioni fortitudine, quelle della BBB e la Fossa. Ho scritto questo libro proprio per estraniarmi da tutto questo. Per unire sarebbe presuntuoso, da parte mia. Se intendiamo lo sport laicamente come uno spettacolo è sacrosanto che chiunque vada a vedere quel che lo diverte, come al cinema: ha ragione Walter Fuochi quando scrive “una squadra c’è dove va la sua gente”. Mi fa più simpatia, e certo non nei toni violenti, l’utopica romantica battaglia anacronistica dei fossaioli: sbagliano forse a considerarsi i padroni esclusivi di un’idea, i sacerdoti di una religione allo scisma, ma sono ultras e quindi “oltre” per definizione, non potrebbero comportarsi diversamente. Io non sono ultrà, quindi non mi riconosco in integralismi, fondamentalismi, esagerazioni, fanatismi ed eccessi di qualsiasi tipo. Con loro ho spesso discusso e sono stato in passato criticato, contestato e sfanculato pure. Però una Fortitudo senza Fossa, cioè senza quel tipo di curva che comunque ha connotato un ambiente e difeso uno spirito peculiare finché ha potuto, non sarebbe quella che ho vissuto e conservato nel cuore, non è la mia e non mi interessa. Quindi una Fortitudo rinascerà senz’altro, tra qualche anno sarà tutto dimenticato per fortuna, molti ragazzi andranno al palasport senza sapere nulla di tutto ciò, ci saranno altri derby e insomma tutto passa, panta rei. Non sarà la mia Fortitudo, ma questo importa solo a me, pazienza.  
 
REDAZIONE: Sicuramente conquisterai la piazza bianco blu’, ma preferisci venga ricordato come un libro di “ironia” o di “riflessione” sul come e’ facile cancellare in poco tanti anni di storia?
 
MARRESE: Non ambisco a tanto. E’ una piccola cosa, un giochetto, non pretendo tanto. Spero venga ricordato come un paio d’ora di lettura gradevole e basta. Spero che anche un po’ di virtussini lo leggano e ritrovino il sapore e l’orgoglio di essere odiati tanto cordialmente. Anche a loro manca il derby, tantissimo.
 
REDAZIONE: Appuntamento a venerdi’ come, quando e con chi?
MARRESE: Venerdì 7 dicembre alle 19 a Palazzo Re Enzo nella sala del quadrante, nell’ambito della manifestazione “Regali a Palazzo” della Cna, con tre fortitudini come me: l’attore Bob Messini che leggerà qualche passo, il professor Ivo Germano sociologo dello sport figlio di un grande giornalista di basket fortitudino, Stefano, e il direttore della Cineteca Gian Luca Farinelli.

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