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7 Giugno 1964 – “Storia RossoBlù dalla nascita fino all’ultimo scudetto” – 29 Dic

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25 – Bruno Maini, l’uomo ovunque che vinse quattro scudetti

Bolognese doc. E fedele ai colori rossoblù tanto da non tradirli mai. Fino a diventare parte di essi. Per raccontare chi è stato il signor Bruno Maini, nella storia del Bologna, bisogna partire dai numeri, che non mentono mai. Quelli di Maini, a fine carriera, parleranno di quattordici stagioni in rossoblù, con 322 partite giocate (di cui 287 in Serie A) e 101 reti segnate (87 in A). Oltre settant’anni dopo la sua ultima stagione al Bologna, è al quattordicesimo posto nella classifica delle presenze e all’ottavo in quello dei gol segnati. E ancora, il vanto di una bacheca personale illuminata da quattro scudetti, due Mitropa Cup, il torneo dell’Esposizione Internazionale di Parigi.

Quella che i numeri non raccontano è l’incredibile duttilità di un giocatore che nel tempo ha ricoperto quasi tutti i ruoli in campo, da mediano a mezzala, da ala pura a centravanti. E non dicono delle incredibili capacità atletiche e di un istinto per la rete che è proprio dei grandi talenti.

 

Bruno nasce a Bologna ai primi di gennaio del 1908. Da ragazzo va a bottega da un parente che fa il falegname, e nel tempo libero si innamora del pallone e inizia a girovagare per i campetti di provincia. Gioca nella Vincente e nell’AC Bologna. Segna, stupisce, incanta. Herman Felsner in persona decide di andare a vederlo, e capisce subito che ne è valsa la pena. Il ragazzo finisce in rossoblù, viene dirottato nella squadra riserve ma a diciotto anni e mezzo è già nel giro della prima squadra, con cui debutta in un clamoroso 5-1 casalingo ai danni del Padova, il 3 ottobre 1926, segnando anche il quinto gol rossoblù. Nel 1928-29 va a farsi le ossa in Divisione Nazionale, nel Livorno di Vilmos Rady, e segna 18 reti in 27 partite.

 

Torna a Bologna proprio nella prima stagione del campionato a girone unico, e continua la sua spettacolare corsa alla rete: alla prima stagione “vera” in prima squadra va a segno 20 volte in trenta partite. Meglio di Schiavio e Geppe Della Valle (quest’ultimo ormai a fine carriera), che si fermano a quota sette. E’ la consacrazione, e Maini diventa immediatamente una struttura portante del suo Bologna. “Ho giocato in tutti i ruoli del calcio, fuorché in porta”, confesserà allo scrittore Giuseppe Quercioli pochi anni prima della morte, che lo porterà via nel 1992, a ottantaquattro anni. “Se mancava uno, mi chiamavano, e senza dirmi niente mi consegnavano la maglia con il numero dietro. Un jolly, in definitiva… Però non ho mai smesso di piallare il legno, come facevo da ragazzo in bottega, perché un lavoro per il domani ci vuole sempre, e io ce l’ho: ebanista, non falegname…”

 

Un jolly, appunto. Gioca in posizione di ala negli anni in cui pochi possono competere con la sua velocità, diventa centravanti puro dopo il ritiro di Schiavio e con l’avvento di “Medeo” Biavati, con due scudetti già alle spalle (quelli del 1935-36 e 1936-37) va in retroguardia nel ruolo di mediano, quando lo scatto si fa meno bruciante, e ne porta a casa altri due (1938-39 e 1940-41), prima che arrivino anni di guerra che lo vedono ancora per due stagioni dare calci a un pallone a Ferrara, prima dell’addio definitivo alle scene.

 

La storia di Bruno Maini è quella di un bolognese innamorato della squadra della sua città, pronto a scendere in campo con qualunque maglia e in qualunque ruolo, pur di esserci. Una passione che lo mise, ancora ragazzo, di fronte al classico bivio della vita, e ad una scelta che la vita gliel’avrebbe cambiata definitivamente. “Misi la firma sul cartellino rimanendo fattorino di bottega da un mio parente che lavorava il legno in un bugigattolo dalle parti di via Solferino. Una mattina, era venerdì e Felsner il “Mago”, l’allenatore che teneva sempre la sigaretta tra le labbra, venne dentro alla bottega e senza una parola, guardandomi negli occhi disse:”Ragazzo, domenica giochi”. Il mio principale, che non capiva un accidente di calcio, sbottò duro come se dovesse fare a pugni. “Domenica Bruno deve lavorare!”. Felsner non fece una piega, tirò una boccata dalla sigaretta e concluse. “Si gioca contro il Padova, fatti onore”. Girò la schiena e se ne andò. Era il 3 ottobre del 1926, io non avevo che diciotto anni”.

 

(25 – continua)

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