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Bologna

7 Giugno 1964 – “Storia RossoBlù dalla nascita fino all’ultimo scudetto” – 10 Nov

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18 – L’addio, il ritorno e Parigi: così chiude un Campione

 

Ormai aveva deciso. E quando Angelo Schiavio decideva, farlo ritornare sui suoi passi era un’impresa. Nella vita, dentro e fuori dai campi di gioco, la sua serietà era leggenda. Anche se il calcio era sempre stata una passione forte, al punto da convincerlo a mollare gli studi di ragioneria all’Istituto Tecnico Superiore, nonostante i rimbrotti di papà, per seguire il suo istinto del gol.

Ma la famiglia, il lavoro, l’azienda creata nel 1904 dal padre erano altrettanto importanti. Anzi: rispetto a quelle certezze, il calcio era comunque corollario. Tanto che dal Bologna, dal punto di vista economico, pretese sempre pochissimo. Niente, in proporzione al valore e a quello che dava in cambio. E quando qualcuno gli chiedeva come avesse investito i 22 milioni che la Federazione gli aveva elargito come premio per la vittoria del Mondiale 1934 (bella somma, all’epoca), lui rispondeva semplicemente che era tutto lì, nella Schiavio-Stoppani, nei suoi negozi all’avanguardia sparsi per la città.

Era una bella storia, quella dell’azienda di famiglia. Tanto che la “Gazzetta” la raccontò con dovizia di particolari, e attraverso la viva voce dell’interessato, in una puntata monografica tutta dedicata al bomber rossoblù, nel 1934.

“Sulla ditta cui fa parte Schiavio molto si è scritto e molto di impreciso. Abbiamo perciò creduto opportuno sentire dalla viva voce di Angiolino qualche dilucidazione: Siamo andati appunto perciò a trovarlo nel suo ufficio in via Marchesana, per conoscerlo, oltre che sul campo ed in caffè – dove peraltro non è tanto spesso – anche a tavolino. Pieno di lavoro fin sopra i capelli – per dirla con una frase comune – Angiolino aderisce gentilmente al nostro invito. «Troncati gli studi – ci ha detto – ho cominciato nel 1921 a lavorare nell’azienda paterna fondata sin dal 1904 e nella quale lavorano i miei fratelli. Non è quindi vero quanto taluni credono che io con altri soci (nella ditta cui faccio parte, non vi sono soci, perchè composta tra noi fratelli) abbia fondato tale azienda». La dichiarazione di Schiavio ci fa conoscere così che egli non ha sfruttato il nome di campione, ma che il gioco del ‘calcio è stato ed è per lui solo sano diporto. Infatti allo sport Angiolino non dedica se non il tempo che il suo lavoro d’ufficio gli lascia libero. Ed il lavoro non è poco in una ditta quale è quella di Schiavio, conosciutissima a Bologna dove, oltre il magazzino di vendita all’ingrosso di via Marchesana, conta vari altri negozi nelle arterie principali della bella città petroniana. Negozi arredati spendidamente dove chiunque può trovare qualcosa che, lo interessa: dalla camicia al giocattolo, dalla maglia all’articolo sportivo”.

Insomma, lì c’era il futuro e “Anzlein” lo sapeva. Per questo alla fine della stagione 1935-36 aveva deciso di ritirarsi dalle scene, ad appena trentun’anni. “Schiavio afferma che non giocherà più”, titolava su due colonne (allora funzionava così…) “Il Littoriale” proprio in quell’estate del ’36, pubblicando una lettera aperta del campione. Ma il presidente Dall’Ara non si dava per vinto: “Schiavio, lei deve tornare assolutamente”, gli disse nel corso della stagione successiva. “Venga, torni in campo a difendere il titolo insieme ai suoi compagni, e magari a vincerne un altro. E poi, a fine stagione c’è il Torneo dell’Esposizione, a Parigi. Ci pensa? Lei che torna e chiude la carriera lì, non sarebbe magnifico?”.

Angelino lo sapeva, che Dall’Ara aveva ragione. Pensava le stesse cose. Ma aveva scelto: il matrimonio, l’azienda. E Dall’Ara insisteva, ogni volta che si incontravano. Solo lui poteva riuscire a far cambiare idea al suo campione. E ci riuscì, infine.

Angelo Schiavio tornò in campo nelle ultime partite del torneo 1936-37. Era indietro di condizione, ma fece in fretta a mettersi in pari, ritrovando anche la via del gol. In tempo per conquistare il quarto scudetto con il suo Bologna. L’appendice, come previsto, fu il Torneo dell’Esposizione. Meno atteso il risultato: il Bologna vinse con una marcia trionfale, battendo il Sochaux ai quarti (4-1, doppietta di Schiavio), , lo Slavia Praga in semifinale (2-0) e infliggendo una sconfitta memorabile ai “maestri” inglesi del Chelsea (4-1).

“Tenga questo trofeo, Angelo”, gli disse alla fine della partita un raggiante Dall’Ara. “Lei chiude qui la sua carriera, e stavolta so che non tornerà indietro. Se lo porti con sé, so che sarà nelle mani giuste”. Dichiarazioni che furono riportate dai cronisti dell’epoca. Per fortuna. Perché poi quel trofeo che ha valore inestimabile, e che si immaginava perduto per sempre, è stato ritrovato dal giornalista Carlo Chiesa, che ha fatto qualcosa di impossibile pensando alla cosa più semplice. Dando, cioè, a quelle parole il valore che avevano: non una frase ad effetto, ma la pura realtà. Così, contattando la famiglia, ha scoperto che quella coppa di cui si conservava solo una foto (quella col gruppo dei rossoblù festanti a fine partita), non si era mai mossa da Bologna. La conservava sua figlia, nella affettuosa memoria di Anzlèin. Un tesoro ritrovato.

 

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