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7 Giugno 1964 – “Storia RossoBlù dalla nascita fino all’ultimo scudetto” – 15 Set

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10 – Cesare Alberti, il bomber tradito dal destino

 

Cesare Alberti era un fenomeno, tanto per capirci subito. Uno dei famosi “ragazù di Badini”, talento da vendere e una carriera da campione che pareva già scritta. Nella sua vita incrociò gloria, fama, buio, rinascita, tragedia. Una storia da raccontare.

Cesare (nella foto di apertura e in quella in basso) nasce a San Giorgio di Piano, il 30 agosto 1904. E’ fratello minore di Guido, mezzala del Bologna dal 1912 al 1915, portato via da un’epidemia durante la Grande Guerra, nel 1918, a 21 anni.

Centravanti purissimo, talento cristallino, dalla nidiata di Angiolino Badini approda giovanissimo alla prima squadra, grazie all’intuito di Felsner. Lo chiamano già “Mimmo”. Nel gruppo è mascotte e fuoriclasse insieme.

Debutta a sedici anni, e in 17 partite del campionato di Prima Categoria realizza 13 reti. L’anno dopo ne fa 14 in 22 partite, e nella terza stagione da titolare è già a 5 su 6. E’ lì che arriva la mazzata. 

Stagione 1922-23, Bologna contro Cremonese: Alberti si fa male al ginocchio. Sembra un problema da niente, un mese dopo è di nuovo in campo. Ma il dolore è forte, e nuovi esami rivelano un danno apparentemente insormontabile: rottura del menisco. Un pugno nello stomaco: c’era già una maglia azzurra pronta per lui. Aveva anche risposto, poco prima, a una convocazione della Nazionale Operaia, una “sperimentale” che aveva schiantato la rappresentativa francese: 7-1, con sei reti di Mimmo. 

I sogni si infrangono all’improvviso. Un’operazione al menisco, in Italia, non è mai stata tentata. Non ci crede nemmeno il Bologna, che lo svincola lasciandolo libero e ne perde le tracce. Un anno dopo Cesare è a Genova, dove un noto chirurgo, il professor Federico Drago, gli prospetta un intervento di asportazione del menisco. Operazione largamente sperimentata in Inghilterra, ma in Italia “Mimmo” dovrà fare da cavia. 

Funziona: nella stagione 1924-25 il campione è di nuovo in campo, ad ottobre. Ma il rossoblù è un altro: a offrirgli il contratto è stato il Genoa di Garbutt, che non l’aveva mai perso di vista. In quella stagione Alberti rinasce, segnando dieci reti in venti partite. La via del gol non è smarrita. 

Il destino vuole che sia proprio lui ad aprire le marcature nella prima delle cinque storiche finali tra Bologna e Genoa del 1925, allo Sterlino. I tifosi bolognesi lo chiamano “traditore”, e non lo merita. Era stato il Bologna a non credere più in lui. 

Cesare sembra destinato a una nuova vita calcistica. Era dato per finito ed ha saputo rinascere, accettando una grande sfida. Il Genoa perde lo scudetto, ma lui ha ritrovato la vena. La stagione successiva inizia alla grande: otto reti in undici partite. Sembra una favola a lieto fine, e invece la tragedia è in agguato. Lo colpisce in modo banale, assurdo: un’infezione virale, causata a quanto pare da un piatto di ostriche.

Pare, appunto: perché qui il racconto si fa romanzo d’appendice. C’è di mezzo una donna misteriosa, bellissima e volubile, a cui Mimmo aveva appena detto addio. Poche ore prima della cena fatale con i compagni di squadra, nessuno dei quali, va detto, si è sentito male dopo mangiato. Sì, a poco più di vent’anni puoi avere una passione, anche intensa, ma lui è ancora innamorato di Caterina, la figlia di Rinaldi, il custode dello Sterlino. E’ lei la donna della sua vita. Ed è ora di chiarire. 

Il mistero è intorno a quelle ore, e a quella donna. La passione contro l’amore. Quella donna che nemmeno va a cercarlo in ospedale, dopo. E che in quattro e quattr’otto chiude il negozio che gestiva e sparisce per sempre dalla città. Nel dramma, un filo spesso di mistero.

Mimmo Alberti muore nella notte del 14 marzo 1926, a soli ventun’anni. L’età in cui se ne era andato anche il fratello Guido. Poche settimane dopo, la sua Caterina si uccide gettandosi dalla finestra di casa, vicino ai Giardini Margherita.

Sembra uno di quei romanzi scritti per stupire il lettore. Invece è una storia dannata, unica, incredibile. E tragicamente vera.

(Riproduzione riservata)

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