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Cose dell’altro…Calcio: Rivera e Balotelli

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L’articolo di oggi di “Cose dell’altro…Calcio” ci porta ad una riflessione che arriva direttamente da un tifoso bolognese “d.o.c.” di Torino, il nostro amico Maurizio, che già altre volte  ci ha allietato con alcuni articoli anche tratti dal suoblog, che potete trovare a questo indirizzo: http://mauriviet.wordpress.com/

 


Rivera e Balotelli

In queste ore che segnano la fine delle vacanze (per chi se le è potute permettere), che rimandano al prossimo anno i viaggi sognati e le avventure di pochi giorni, che il cav. di Arcore ricorderà non essere state le migliori della sua vita, ma soprattutto le ultime ore che ci dividono dall’inizio del campionato di calcio, vorrei condividere le sensazioni provate dopo aver visto alcune immagini di calciatori di oggi e aver letto le storie di due personaggi che hanno segnato la storia del nostro calcio: Rivera e Pecci.

Certo, io avviato inesorabilmente a varcare la soglia dei 60 potrei essere additato a nostalgico dei tempi che furono e, in effetti, di quelli giovanili si ricordano quasi sempre gli aspetti…però qualche volta è proprio così.

Sfogliando un quotidiano mi ha colpito una foto ritraente tre giocatori in “borghese” nell’atto di saggiare il terreno di gioco prima di una partita, tutti muniti di cuffie musicali, occhiali neri e cappello ben calato sul volto. L’altra sera, in tv, vedo Balotelli in atteggiamento scocciato, anche lui con le cuffie…., mentre sfila in mezzo a due ali di ragazzini milanisti infischiandosene delle loro richieste di autografi, o di una foto.

Per contro ho letto la bella intervista di Gianni Mura su “Repubblica” al “golden boy” degli anni sessanta nel giorno del suo 70° compleanno e sto sfogliando un libro che un amico granata mi ha prestato: “Il Toro non può perdere” di Eraldo Pecci.

Gianni Rivera ci tiene a precisare che piuttosto che calciatore, si ritiene uno che “ha giocato a pallone” e l’intervistatore ricorda che quelli erano anni in cui per ottenere un intervista dal capitano del Milan o da Mazzola era sufficiente andare ai bordi del campo di allenamento e mettersi d’accordo con un cenno. E ad esempio viene citato il Rivera che si faceva intervistare da Beppe Viola sul tram. Dal canto suo Pecci, con tutta la sua ironia, nel suo libro descrive l’annata-scudetto del Toro raccontando particolari dei suoi compagni di gioco, ma soprattutto parla delle persone comuni, del magazziniere, delle segretarie, dei tifosi…con nome e cognome. Persone e storie semplici, che riportano a quel calcio che non c’è più.

E si badi bene, Rivera, Pecci, Mazzola, Bulgarelli, Juliano, De Sisti e quelli della loro generazione erano anche loro dei ricchi. Guadagnavano bene, avevano belle macchine e belle donne, proprio come i giocatori di adesso. La differenza sta nei modi, nei comportamenti…di tutti, sia ben inteso: anche dei giornalisti, dei commentatori tv, degli stessi tifosi. Diciamo della società. Ed è la sola, anche se importante, giustificazione dei nostri “eroi pallonari”.

Ma in un mondo che ti analizza al microscopio, dove il ruolo del calciatore è ormai quasi più importante di quello di un capitano d’industria o anche di un capo di stato, dovresti sentire (mi rivolgo direttamente ad qualsiasi calciatore) il dovere di darti un minimo di …semplicità. Di abbassare i toni, tutti i toni, verbali e non. Di pensare che negare l’autografo o un sorriso ad un proprio tifoso – in particolare se piccolo –  è da villano e da stupido. Non considerare chi compra la maglietta col tuo nome, chi compra il giornale per leggere di te, chi va allo stadio, chi guarda la tua partita in tv…è quello che in fondo ti fa guadagnare! E’ quello che ti mancherà quando finirai di “giocare a pallone”. E quando dopo qualche anno in pochi ti riconosceranno per strada ci rimarrai male. Perché capirai che non sei più nessuno, magari ricco, ma lontano anni luce dall’agognata celebrità.

 

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