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Bologna

7 Giugno 1964 – “Storia RossoBlù dalla nascita fino all’ultimo scudetto” – 11 Agosto

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5 – LO STERLINO, DOVE SI GIOCAVA IN DISCESA

Un passo indietro. Torniamo al problema della “casa del Bologna”. Ha ragione da vendere, Minelli, una società di football che vuole crescere ha bisogno di uno stadio vero. Appena insediato, il presidente che guarda al futuro si trova subito di fronte a una bella grana da risolvere. Nel nuovo piano regolatore del Comune, come si diceva, la Cesoia è terreno edificabile. Prima o poi bisognerà abbandonarla. Meglio prima, pensa il presidente. E va in cerca di un nuovo appezzamento su cui costruire il nuovo impianto. Lo trova, appunto, in località Ragno, fuori porta Santo Stefano. Su un terreno che scende dalla sontuosa Villa Ercolani. Appuntatevi questo verbo: scendere. Vi tornerà presto alla mente.

 

Il 1913 è l’anno dei grandi lavori, per il nuovo campo dello Sterlino. Sotto la direzione del colonnello Cavara dei Vigili del Fuoco e dell’ingegner Amadei, si procede alacremente: in circa quattro mesi l’opera è completata, e il 30 novembre è pronta per l’inaugurazione. Una meraviglia: campo recintato con un elegante steccato in legno, tribuna coperta. Insomma: lo stadio, finalmente. E mica un impianto qualunque: roba all’avanguardia, da mostrare con orgoglio a tutta Italia.

Il giorno dell’inaugurazione, il “gioiello” viene presentato con l’orazione del poeta Giuseppe Lipparini, e “varato” con lo champagne dalla signora Sbarberi, dama della Bologna-bene.

Lipparini, vanto della cultura bolognese, già professore emerito di letteratura alle Università di Urbino, Matera e Palermo, futuro presidente dell’Accademia di Belle Arti e collaboratore dell’ancor giovane quotidiano “Il Resto del Carlino”, pronuncia parole solenni in favore del “football”, che conquista i cittadini: “È uno spettacolo di forza insieme e di audacia. Lontano dagli estremi così dalla ginnastica lenta dell’atleta che solleva con un braccio un quintale, ed è forte ma né coraggioso né audace: come dalla follia massacratrice della boxe che schiaccia nasi e fracassa mascelle; lontano così dalla mollezza elegante del tennis come dal professionismo disciplinato del pallone… questo gioco richiede, oltre la forza e la destrezza, anche una certa dose di coraggio e di audacia. Giocandolo, si è quasi ognora sicuri di tornare con qualche ecchimosi o con qualche contusione; ma si rischia anche di essere zoppi per qualche settimana e di portare la faccia segnata davanti alle fanciulle. Ci vuole, insomma, animo risoluto contro queste piccole disgrazie che spaventano molti; bisogna imparare a non temere il dolore, anzi, ove occorra, a non sentirlo neppure. E questa, piaccia o non piaccia, è una scuola di vita che giova più delle massime dei filosofi e delle declamazioni dei poeti”.

Dopo le parole, i fatti: quel 30 novembre non è soltanto una grande festa. Si gioca, naturalmente. La sesta giornata del girone Veneto-Emiliano di Prima Divisione. L’avversario è il Brescia, finisce 1-1 con reti di Emilio Badini per i rossoblù, di Simonini per gli ospiti.

 

Insomma, il Bologna ha il suo campo “vero”. Solenne, con le enormi colonne che all’ingresso reggono le grandi lettere con il nome della società, colorate in rosso e blu. Con la tribuna elegantissima, in stile liberty, e la particolarissima terrazza pensile. Ma anche unico, perché il terreno di cui si diceva, quello che scende da Villa Ercolani, non si può spianare. Così, allo Sterlino si va “in discesa”. Dalla porta a monte a quella a valle il dislivello è evidente anche a occhio nudo. Quasi un metro. Anche per questo sarà subito ricordato, e temuto, da chiunque venga a giocarci. Nel dopoguerra, dopo la ricostruzione, e fino all’avvento del Littoriale, sarà un fortino quasi inespugnabile: il Bologna ci giocherà un centinaio di partite di campionato, perdendone soltanto cinque. Da leggenda il record stabilito dal dopoguerra alla chiusura: 85 partite ufficiali, 72 vinte, dieci pareggiate e solamente tre perse.

 

Ma anche un impianto “mitico”, e amatissimo dai vecchi tifosi, subirà le ingiurie del tempo. Già a metà degli anni Venti, una dozzina dopo quella sfarzosa inaugurazione, l’amato “campo in discesa” comincerà a mostrare la corda nei confronti di una squadra diventata nel frattempo una delle più forti d’Italia. Troppo piccolo per contenere una folla crescente di tifosi. Il resto lo farà la “grandeur” di Leandro Arpinati, convinto sostenitore del nuovo Littoriale. Allo Sterlino si giocherà per l’ultima volta l’8 maggio 1927: 3-0 all’Internazionale (nella foto di apertura, ndr), rete di Pozzi e doppietta di Perin. La polvere verrà nuovamente tolta, per un breve periodo, durante la Seconda guerra mondiale, per il più che mai provvisorio Campionato Alta Italia.

 

Nel 1969 il vecchio Sterlino sarà definitivamente abbattuto. Insieme al ricordo dei grandi campioni rossoblù che ci hanno giocato, a partire da Angelo Badini, a cui era stato intitolato dopo la sua morte prematura nel 1921. Insieme a quello delle stelle internazionali venute a giocare in sontuose amichevoli, soprattutto quelle diventate tradizionali del giorno di Santo Stefano: da Mathias Sindelar a Santiago Bernabeu col suo Real. Il che ci ricorda, probabilmente, la caducità delle cose terrene.

 

(5 – continua)

 

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