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Bologna

7 Giugno 1964 – “Storia RossoBlù dalla nascita fino all’ultimo scudetto” – 4 Agosto

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4 – QUEL GENIO DI MINELLI, STRATEGA DEL MARKETING

Davvero un gran bel tipo, Rodolfo Minelli. Uno avanti anni luce sul resto della compagnia. Uno che del calcio ha capito molte cose, al di là delle questioni tecniche e al di fuori del campo. Per esempio, che questo sport è molto più di un gioco divertente per giovani universitari che si ispirano ai maestri inglesi. Piace, diverte, incuriosisce, ma a saperlo coltivare può diventare qualcosa di molto più grande. Può coinvolgere la gente.

Per il Bologna, il suo arrivo alla presidenza nel 1912, al posto di Domenico Gori, è stata una fortuna. E’ il quinto presidente della storia, ancor breve, della società. Ma è il primo a darle un’organizzazione di tipo professionistico. Prima di tutto è ricco, molto ricco. Fa il rappresentante e l’importatore di liquori, ha la sua “casa di rappresentanza” in vicolo Ghirlanda. In famiglia la prima passione è il ciclismo: i fratelli Fernando e Severo sono tra quelli che hanno dato vita alla società Velo Sport, nata come il Bologna nel 1909. Lui vira sul calcio, convinto che in poco tempo guadagnerà la stessa popolarità delle imprese di Ganna, Galetti e Pavesi. Però bisogna lavorarci su, e lui ha le idee chiare: marketing spinto, perché “la propaganda vale più delle vittorie”. Si inventa addirittura il primo house organ della società, quando ancora il calcio sui giornali è raccontato in trafiletti e, quando va bene, titoli a due o tre colonne: si chiama “La Pedata”, e Minelli ne è vulcanico editore, redattore, stampatore. Mette in cantiere vere e proprie operazioni di marketing: ingresso gratuito alle donne, con tanto di omaggio floreale all’entrata, prime forme di abbonamento.

Soprattutto, quando si rende conto che il piano regolatore del Comune prevede l’urbanizzazione nella zona della Cesoia, con la capacità di prendere decisioni che lo contraddistingue prende il toro per le corna: “Il Bologna sta crescendo, e deve avere un suo terreno di gioco, all’avanguardia e degno di questa squadra e di questa città”. Ci mette un niente a inquadrare il posto giusto: località Ragno, sul terreno che scende lieve da Villa Hercolani. Lì sorgerà il suo gioiello: il campo dello Sterlino.

Minelli è uno di quelli che scelgono da soli, ma poi sanno anche delegare. E proprio per questo fa un altro capolavoro, inventandosi letteralmente la figura del segretario generale. In una società nata da appena tre anni tutti si occupavano di tutto, esercitando volontariato puro. Lui individua il professionista: si chiama Alessandro Oppi e diventerà una colonna della storia rossoblù. Oppi è di famiglia agiata, ha un lavoro sicuro, è uno dei soci della Marmugi-Gentili, grande ditta di import-export che va a gonfie vele. Minelli gli propone un’avventura che ha il sapore della scommessa: inventarsi letteralmente un ruolo-chiave all’interno di una società di “football”. E lui, con l’incoscienza del giovane adulto che a ventisei anni cerca ancora nuove sfide, accetta. Manterrà quel ruolo per quaranta lunghi anni, organizzando trasferte, allenamenti, comunicazione con i media che sempre più si interessano al calcio, rapporti con i tifosi. Diventerà un elemento insostituibile anche per Renato Dall’Ara, amico e confidente di tanti allenatori e giocatori. Un team manager ante litteram che verrà apprezzato anche fuori dall’ambiente rossoblù, un organizzatore esemplare che darà il meglio di sé con l’inaugurazione del nuovo Littoriale nel 1927 e contribuendo alla buona riuscita dei Mondiali del 1934, ringraziato dalla Fifa con tanto di onoreficenze. Alessandro Oppi respirerà Bologna fino al maledetto incrocio col destino del’estate 1949, un ictus che lo metterà fuori combattimento e lo porterà alla morte appena due anni e mezzo più tardi.

Minelli resterà in sella fino al 1919, con la parentesi della Grande Guerra, quando gli impegni lo terranno più lontano dal Bologna, e del resto ci sarà ben altro a cui pensare: dal 1914 al 1916 la società sarà affidata ad Arturo Gazzoni, col ruolo di presidente onorario, che poi restituirà il timone all’uomo che ha regalato al calcio cittadino l’interesse e la partecipazione della gente, e un’idea di professionalità e rigore che sono alla base della gloria che verrà.

(4-continua)

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