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Bologna

Il Dall’Ara visto da li…

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Sono entrato decine di volte allo stadio Dall’Ara. Ho iniziato da piccolo in curva Andrea Costa, l’autobus 77 dalla stazione centrale, ricordi indelebili di un viaggio attraverso il cuore pulsante di una Bologna che si sveglia tardi la domenica mattina. Poi, crescendo, ho avuto la fortuna di trasformare la passione in mestiere e l’ingresso in tribuna stampa è stato il coronamento di un chiodo fisso adolescenziale. Volevo esserci, calci nel sedere nemmeno a pagarli, però volevo farcela e ci sono riuscito. Lo devo essenzialmente a me, le paure vacillano davanti ai sogni. Poi capita, a 34 anni suonati, di varcare i cancelli dello stadio bolognese nel modo più impensabile, nel contesto più incredibile, quando meno te lo aspetti, senza pianificazione, senza preavviso. E allora godi, perché le cose belle quando accadono per caso scrivono pagine indelebili sul libro della memoria. C’è un grazie da dover dire, come in ogni storia. Mercoledì 26 giugno 2013, nella riga dei thanks c’è il nome di Clara Moroni. Le sono debitore di un concentrato di emozioni che difficilmente scorderò. Le devo un tardo pomeriggio nel quale dalla stazione centrale, quel viaggio lungo i viali l’ho vissuto da un’altra angolazione. Il Dall’Ara brulica di 40.000 anime per l’ultima data del Live Kom 013. L’auto di Clara, cantante, produttrice, gran donna e corista di Vasco Rossi esce dal garage dell’Una Hotel di Viale Petramellara. Quattro moto della polizia ci scortano a sirene spiegate verso l’arena del capoluogo emiliano. Tagliano il traffico come un coltello nel burro, Clara passa dalla seconda alla quarta piena con la grinta di una navigata pilota di GP. Io non ho metabolizzato bene cosa ci faccio dentro a quell’auto. So che ci ho dato vicino come il culo alla camicia ad essere altrove. La Moroni ha innescato la miccia di un sogno ed ha protetto la scintilla fino alla carica dinamitarda. Poteva fregarsene, non aveva alcun vincolo. Non lo ha fatto e le sono semplicemente grato in eterno. L’auto con Clara, io, Cucchia, Rocchetti, moglie e figlio di Cucchia giunge in prossimità della curva San Luca, la gente riconosce i passeggeri, scrosciano gli applausi e le urla di sostegno. Vista da dentro l’abitacolo è tutta una scarica di adrenalina micidiale. La gioia è ancora oggi preziosa essenza di vita, anche nell’era dei computer, dei social, degli smartphone. Che roba! Io arrivo al Dall’Ara scortato dalla polizia in macchina con metà della band di Vasco Rossi. Un giorno lo potrò raccontare ai nipotini. Cerco di rapire ogni attimo di quel tragitto poi qualche extrasistola ci sta, tanto non sono pericolose. E’ il battito del cuore che accelera e quando accelera non fa paura, è vita. Mi appiccicano sul petto un triangolo adesivo con scritto “Pass Backstage”. Il sole è ancora alto nel tardo pomeriggio felsineo ed il bagliore all’uscita dalla curva acceca per un attimo la paradisiaca visione. Ecco, ora ti ho visto anche da qui. Ti ho visto gremito in ogni ordine di posto. Ti ho visto aspettare, ti ho visto sorridere. Ho immortalato 40.000 volti orientati nella stessa direzione, ho sentito 40.000 cuori battere all’unisono.

Se ora mi chiedessero cos’è la felicità forse avrei una risposta. E’ nel dimenticare per qualche secondo tutto, è respirare il presente. Lungo un attimo, un minuto, un’ora o un secolo non importa. Occorre soltanto viverlo con tutta l’anima, domani è un’altra storia. Quando alle 21 il Comandante sale sul palco si alza in cielo un grido possente. Tutti li per lui. Non lo so spiegare, però mi fa sorridere e sono contento. Meglio lui che altri. Non c’è un motivo preciso, mi prende bene, mi fa piacere vederlo li. E’ la genuinità che vince le sfighe quotidiane, è la semplicità che gioca con il clichè. Il concerto fila via liscio come l’olio e con lui tante emozioni. Alle canzoni sono associati i ricordi, alcuni belli altri un pochino meno. Tirare fuori la voce fa stare bene, è un bell’esercizio. La sera bolognese ruffiana, come direbbero i Nomadi, è anche la luce del Dall’Ara che graffia il cielo stellato di un’estate che estate non è. Vorrei spiegare a Clara che grazie è forse troppo poco quando in ballo ci sono le emozioni. Però mi esce solo un “grazie di tutto” e mi sento tremendamente in debito. Giro le spalle al Dall’Ara, il taxi qualche ora più tardi mi riporterà all’auto parcheggiata davanti alla stazione centrale. Il viaggio di ritorno è spesso quello meno bello. Questa notte, il mio, lo è ancora di più.    

Mattia Grandi

-Giornalista Pubblicista Radio,Tv,Carta Stampata-

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