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Il Punto su Bologna: Saputocillina – 11 gen

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Il Bologna può migliorare. Non esiste un obbligo, ma una possibilità sì. E sarebbe un bene considerare l’opportunità come tale. Perché quando viene imposta una cosa, è chiaro che l’eventuale disattesa rischia di suscitare rabbia in chi non considera compiuto il percorso intrapreso.

La regola dei piccoli passi, scelta dalla dirigenza rossoblu (tutti compresi, a cominciare da chi ha fatto la scelta principe , ovvero mister Saputo) segue questa linea: la trasformazione di una squadra qualunque, quale è stato il Bologna in tutti questi ultimi e lunghissimi anni, in una protagonista. Non è un diktat, ma una prospettiva. Perché dopo Dall’Ara e gli anni sessanta e settanta, il Bologna ha via via depauperato il proprio Blasone. Tanto che è servito che arrivasse un avvocato newyorchese ad impedire che venisse calpestato il simbolo che tutti noi accomuna e ci rende innamorati. Ma fino a quel momento, piaccia o non piaccia, il Bologna di Ezio e Giacomino non è più esistito.

Riprova ne sia il fatto che qualcuno guardi con ambizione e un po’ d’invidia, le gesta di Atalanta, Chievo ed accoliti vari. Come un aristocratico decaduto che guarda, languente, dalla vetrina di una pizzeria, gli astanti, comodi e al caldo, che sbevazzano una birra mangiando una margherita con le alici sopra.

Ma c’è di peggio. Perché c’è chi oggi (in molti) considera il Bologna una “piccola”, addirittura una “provinciale”. Ed il problema è che tutto, ahi noi, è giustificato dai nostri risultati. Ma, attenzione, non i risultati di oggi, che rappresentano solo una piccola parte del problema, ma quello che dagli anni ottanta in poi è stato il Bologna. Ovvero poca cosa. Tanto che le poche volte che abbiamo alzato la testa con i vari Baggio, Signori e perfino el jardinero Julio Cruz (che comunque è stato autore al massimo di 12 reti in una stagione), ci siamo perfino commossi, rendendoci conto dell’estemporaneità degli accadimenti.

Ecco, accadimenti estemporanei e non programmati. Fino a ieri, e da dopo l’età aurea, il Bologna non ha più raggiunto le altre del Gotha del calcio che, pian pianino, son diventate sempre più distanti. E questi accadimenti sono talmente limitati che si sono fissati nella nostra mente come date scritte nel marmo, proprio per la loro unicità.

Ma quello che ha creato la devastazione definitiva è stata la nostra rabbia e la nostra insoddisfazione (quest’ultima causa della prima). Una rabbia che si è perfino accumulata nel tempo e che ha trasformato una parte di noi (anche in questo caso, tutti compresi: dalla stampa al tifo, senza ordini gerarchici) in una lamentela continua. Fino al punto di criticare i neogiocatori del Bologna, senza nemmeno averli visti all’opera con la casacca rossoblu. Tutto questo, per dire che siamo figli della nostra insoddisfazione. Ma c’è una cosa che potrebbe farci guarire da questa patologia: la lucidità nell’analisi. Parlare dell’oggi senza valutare il percorso, il nostro percorso, rende l’analisi evidentemente monca e inattendibile. Certo, l’opinione prêt-à-porter, è più agile e comoda; soprattutto se si considerano sbagliate le avverse. Ma sono un’aggravante della malattia, non una cura.

A maggior ragione, in questi giorni di calciomercato. Non è importante, infatti, che il nostro direttore sportivo sbagli o colga nel segno. Perché farà come tutti gli altri direttori sportivi che sbagliano e colgono nel segno. Ultimissimo esempio, Bruno Petkovic sul quale sono già cadute le lamentele dei fini pensatori, prima ancora che apponesse la firma sul contratto.

Non lasciamo, dunque, la nostra rabbia (spesso personale e figlia di altro) libera di agire. Non lasciamo che accada nei confronti dei nostri colori. C’è a chi non piacciono le parole “progetto” e “strategia”, ma ce ne faremo una ragione. 

Il medicinale c’è: si chiama Saputocillina.

 

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