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Polvere di stelle: Gianni Rivera – 7 feb

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IL GOLDEN BOY

Ad Alessandria si sparse la voce: negli “antipasti” della partita di A al Moccagatta danzava un ragazzino coi piedi di velluto. Appuntamento alle 13,30, valeva la pena anticipare l’amaro per lo zucchero di quei tocchi eleganti, il calcio come un pennello intinto nel miele. Di fronte a gradinate già gremite, spendeva i primi calci importanti, nel torneo dei “Federati”, il baby in grigio Gianni Rivera. Di lì a poco, l’Italia si sarebbe innamorata del suo volto affilato, dei fìtti capelli a spazzola, della sua espressione sospesa tra l’ingenuo e l’ironico come un pallone in viaggio verso un’occasione da gol. Gianni Rivera per vent’anni ha impersonato il calcio italiano. Ne è stato croce ma soprattutto delizia,l’orgoglio di un fuoriclasse di inarrivabile stile e intelligenza, il fiore all’occhiello del vivaio che tornava ad alzare il capo un decennio dopo la mazzata di Superga.

Nato a Valle San Bartolomeo, a un tiro di schioppo da Alessandria, il 18 agosto1943, aveva cominciato nell’oratorio Don Bosco,da dove lo aveva prelevato l’Alessandria. Precocissimo l’esordio in A, a quindici anni, 2 giugno1959, contro l’Inter. Il Milan, allertato da Pedroni,allenatore dei “grigi”, lo fa suo poche settimane dopo: basta un provino per convincere Gipo Viani, che conclude l’accordo e lo lascia una stagione ancora all’Alessandria. L’anno dopo, lo spettacolo dell’Olimpica a Roma concede fiato alle speranze. Nel Milan è subito titolare; quando arriva Sani trova un in imitabile maestro di regia e vola con dieci reti alla conquista dello scudetto e del debutto in azzurro, che gli vale il viaggio agli sfortunati Mondiali in Cile. E il “goldenboy”, il ragazzo d’oro del calcio italiano, la risposta del Bei Paese al mito di Pelé, ma da quel momento, dal dualismo con Sivori per la maglia azzurra, diventa anche l’estremo fattore di divisione dell’Italia del pallone. Adorato dalle mamme per l’aria da bravo ragazzo e dai tifosi per l’arte sublime, inviso al più influente critico dell’epoca, Gianni Brera, che gli imputa con la perfida etichetta di “abatino” le lacune atletiche, intrattiene un rapporto conflittuale con la Nazionale.

Coinvolto nei fiaschi mondiali in Cile e in Inghilterra, non partecipa all’apoteosi finale del1’Europeo1968, mentre ai Mondiali 1970 la staffetta col “gemellonemico” Mazzola e i sei minuti contro il Brasile ne fanno l’emblema di una atroce beffa. All’indomani del fiasco ai Mondiali 1974 sarà con Riva l’ideale capro espiatorio. Perché Gianni Rivera è anche uomo di polemiche. La lingua è tagliente, il carattere in rilievo; la ribellione al sopruso,vero o presunto, gli rimescola il sangue. Ne nascono memorabili trambusti, spesso chiusi da pesanti squalifiche, contraltare di risultati prestigiosi: tre scudetti, due Coppe dei Campioni, una Coppa Intercontinentale, due Coppe delle Coppe, quattro Coppe Italia. Quando cercano di togliergli la maglia rossonera, si impenna e compra la società per interposta persona, travolgendo il presidente Buticchi e l’allenatore Giagnoni. E il 1975, il ritiro è più una minaccia che una brevissima parentesi. Chiude veramente solo nel 1979, dopo diciannove stagioni in rossonero, con 527 partite e 128 reti nella massima serie. Qualche passo dietro le quinte dirigenziali del Milan, poi una carriera politica.

Carlo Felice Chiesa

(Calcio 2000 n°24)

 

Foto di apertura: Coppa del Mondo – Mexico 1970. Gianni Rivera contrastato da Karl Heinz Schnellinger in Italia-Germania Ovest 4-3.

Foto in basso: Gianni Rivera con la maglia della Nazionale.

 

 

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