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Il Punto sul Bologna – Viva Verdi

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Il tifoso contemporaneo è costretto ad essere anaffettivo. Che sarebbe come dire: è inutile tenere dei poster in casa dei nostri campioni se poi domani vestiranno la maglia degli avversari. A ricordarci lo spirito dei tempi è stato Simone Verdi, alla fine del match contro i gattusiani: “Non andrò via a gennaio!” rassicurandoci, poi e in qualche modo, anche per giugno. E senza alcun sottotesto.
In realtà, il “tra le righe” è comunque palese. Ma, intendiamoci, non è Verdi che vuole andar via. Anzi. E non è nemmeno il Bfc che lo vuole vendere. È lo zeitgeist, il mood o qualunque altro modo esista per dire che “le cose vanno così e non ci si può far niente”.
Il problema si pone nel momento in cui cresce la paura per l’eventuale depauperamento del bene comune. Nella logica del tifoso, il rimpiazzo non è mai all’altezza di chi è partito. Negli ultimi anni, ci siamo terrorizzati per il mancato rinnovo di Matuzalem o per la “Diawarata” del giovane promosso da Delio Rossi. Ma, a guardare con attenzione, ce la siamo cavata ugualmente bene. Anzi, fughe e dipartite ci hanno arricchiti: non c’è Matuzalem, c’è Pulgar, solo per fare un esempio.
È ovvio che questa tendenza trasforma il mondo del calcio, lo cambia. Ma non ci deve spaventare, sebbene ci si debba adeguare (e lo dice uno che ritiene un abominio il fatto che i portieri non abbiano più l’1 sulle maglie). Ci si deve adeguare al fatto che ogni calciatore è un oggetto di merchandising: oltre al numero strano ma personale che ha sulla maglia, possiede anche le sue belle scarpette colorate, il taglio di capelli particolare, la stra-fidanzata del momento e via dicendo. Insomma, tutto un pacchetto di roba che identifica quel particolare calciatore anziché un altro. Questa personalizzazione è funzionale alla compravendita. Il passaggio da sport a spettacolo è già partito da anni. E in alcuni casi è solo spettacolo. Un esempio recente, proprio il Milan che ci ha battuto con grande fatica nonostante abbia speso duecento milioni di euro in estate per “rinforzare” la squadra; un’azione spettacolare ma poco funzionale all’agone sportivo. Ma tant’è. Così è la vita.
A gennaio o a giugno, infine, il terrore prenderà il sopravvento sulle nostre emozioni. Ci dispereremo per la perdita di un nostro campione e ci lamenteremo di chi lo sostituirà. Anche noi facciamo parte del gioco. Anzi, ne siamo i primi alimentatori in quanto clienti.
Nel frattempo, continuerò a gridare e a far girare volantini con la scritta Viva Verdi. Finché non ci sarà un altro re.

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