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Le Due Metà: Gaby Mudingayi – 16 mar

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LaLazioSiamoNoi/CampaniaNotizie


Le Due Metà prova a raccontare, da un punto di vista diverso, quella che è stata la carriera di calciatori che hanno vestito la casacca del Bologna  e della squadra che i felsinei affronteranno durante il weekend. Un racconto, una storia magari già sentita ma affrontata con occhi differenti: questo è l’obiettivo che questa rubrica si prefigge.

Ogni qualvolta, negli ultimi anni, un centrocampista di cosiddetta rottura si presenta a Bologna, pronto per quella che sarà la sua nuova avventura deve, inconsciamente, reggere il confronto con due figure degli anni passati, che il campo del Dall’Ara lo hanno calcato. Arato, perlopiù.

Il primo nome è quello di Diego Perez: uruguagio, garra, e un amore immenso per la maglia del Bologna, per quella che è diventata la sua seconda pelle. Un lottatore, arrivato dal Monaco (quello francese) e mai più ripartito dalla città delle Torri. Ma non è di Lui che parleremo quest’oggi, in vista di Lazio – Bologna.

Il calciatore del quale parleremo nella puntata odierna è nato a Kinshasa, che è la Capitale della Repubblica Democratica del Congo, nel 1981. Di nome fa Gabriel ma, da tutti, è sempre stato chiamato Gaby, più veloce, più rapido, più incisivo. Tanto nel campo, quanto nella vita.

Il Gaby del quale parliamo è ovviamente Mudingayi e, negli ultimi anni, è stato uno dei giocatori più amati dalla Bologna calcistica, da sempre innamorata di chi, in campo, mette il cuore, prima (e insieme) della gamba. Cuore e gamba. E polmoni. Il gioco è fatto. Ma lo scopriremo in seguito.

È una storia che nasce in Congo, come dicevamo, ma si sviluppa in Belgio, che storicamente aveva sotto la sua “protezione” il Congo. Union Saint-Gilloise, Gent e poi l’Italia, finalmente. L’approdo nel Belpaese è da sempre una delle mete che tanti giovani calciatori sognano. Una sorta di terra promessa: Gaby trova la sua Mecca a 23 anni,  sotto la Mole ma il fallimento del club granata non aiuta il centrocampista ad esplodere come vorrebbe. Poi, la prima tappa della nostra avventura: Lazio, agosto 2005.

Qui, ciò che lo frena sono ripetuti infortuni ma, trovata la forma fisica che andava cercando, diventa un punto fermo della formazione laziale, pur considerando i tanti mediani che la formazione capitolina aveva in rosa. Delio Rossi vede in Lui un giocatore fondamentale per le sue trame di gioco. Nonostante un grave infortunio procurato da Fabio Cannavaro, il mastino belga non demorde, recupera e, in Serie A si mette in mostra per le sue doti di recupera-palloni e di lottatore. La Lazio lo cresce e lo istruisce ma, a un certo punto, le strade sono costrette a dividersi.

Poi, estate 2008. La genesi.

Mudingayi firma col Bologna e diventa, in tempo zero, una colonna portante del centrocampo rossoblù. ma non solo. È molto di più. È un calciatore al quale aggrapparsi nei momenti di difficoltà, quando il terreno  si fa bagnato, le scarpe scivolano e gli occhi iniziano a sporcarsi di fango. In quel momento alzi lo sguardo, ti pulisci la fronte e lo vedi, affianco a te, che ti tende la mano, che ti aiuta a rialzarti. Dove non arrivi tu, arriva Lui.

È quel tipo di giocatore lì. Semplice e diretto. D’altronde, non esistono mezze misure. Non è un fine dicitore di gioco, non è un dribblomane, non è niente di tutto questo. Semplicemente è una tipologia di giocatore indispensabile in qualsiasi squadra, grande o piccola che sia: dà equilibrio, fornisce la giusta distanza ai reparti. Combatte soprattutto, e questa è la chiave.

Mudi the Wall.

Uno striscione recitava così allo Stadio. Mi riempiva il cuore di gioia, ogni qualvolta lo vedevo: ero piccolo, una percezione diversa del Mondo del Calcio, ma già con la convinzione che erano quelli i calciatori che mi avrebbero fatto realmente emozionare.

Il cammino del Bologna e quello di Mudi si sono poi divisi, in maniera forse un po’ brusca ma comunque assolutamente condivisibile e comprensibile. Ciò che rimane, di quegli anni, è la passione, vera, che il guerriero metteva in campo.

Quello non si scorda. Mai.

Mudingayi, in mezzo al campo, sembrava corresse per 4. Occupava tutta la linea mediana del centrocampo e questo bastava. Consapevolezza dei propri mezzi. Conoscere i limiti e non superarli, per evitare di sprofondare nell’oblio.

Poi, la ciliegina: il gol alla Lazio da fuori area. Bello. Non voluto. Non cercato.

Poco aggraziato, non bello da vedere. Ma tremendamente efficace. L’ABC del mediano davanti alla difesa. Con un cuore enorme.

 Per Le Due Metà, in occasione di Lazio – Bologna: Gaby Mudingayi.

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