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IL GRILLO PENSANTE – La bellezza del gioco del calcio

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Se un extraterrestre fosse transitato nella nostra orbita planetaria durante Crotone-Bologna ed avesse accidentalmente posato lo sguardo sul mortificante spettacolo di scena allo Scida si sarebbe chiesto per quale misterioso motivo gli abitanti della Terra possano essere innamorati di uno sport tanto modesto. Fortunatamente (o sfortunatamente) quel pomeriggio calabrese rappresenta uno dei picchi più desolanti dal ritorno in serie A del Bologna, il culmine di un periodo eccessivamente lungo adombrato con costanza da nuvole nerissime e rischiarato fuggevolmente da ben pochi bagliori.

Il ritiro punitivo tra le mura domestiche imposto dalla società è un buffetto innocuo se si pensa che, in caso di mancato successo contro il Verona, i rossoblu verrebbero risucchiati nella spirale demoniaca della bagarre retrocessione, pensiero quasi blasfemo a metà anno quando si veleggiava verso orizzonti ben più gratificanti; tale situazione stride come graffi sulla lavagna anche a cospetto delle opinabili dichiarazioni di Fenucci, orientate ostentatamente ad una soddisfazione che appare giustificabile come i cavoli a merenda.

Quindi, a sette gare dalla linea d’arrivo, il massimo traguardo possibile sarà l’ormai familiare anonimato, ovvero la migliore alternativa ad una lotta nei bassifondi a cui nessuno sarebbe probabilmente preparato.

Se lo stesso extraterrestre avesse però stazionato in prossimità del nostro pianeta fino a martedì sera avrebbe fugato i dubbi sulla tanto decantata bellezza del gioco del calcio, potendo contare su una controprova dalla potenza abbacinante: per 90 minuti lo stadio Olimpico è stato il Colosseo dell’Impero Romano con i gladiatori in maglia giallorossa a sfiancare senza sosta i più blasonati avversari spagnoli e ribaltare un destino che sembrava innegabilmente già scritto. La Roma è stata capace di unificare per una sera l’intero Stivale sotto un’unica bandiera, tutta l’Italia ha sofferto, tifato e ammirato una squadra gagliarda andare prepotentemente ad afferrare una Coppa che ormai era perduta. Nessuna fortuna questa volta, l’esplosione di gioia collettiva alla letale incornata di Manolas è l’emblema di una nazione che, a prescindere dalle montagne di soldi e da tutti i ragionamenti razionali che condizionano ormai questo sport, si cementa soltanto quando emotivamente stimolata in un patriottismo molto (troppo) spesso sopito. Non sono i Raiola che hanno rapporti autentici soltanto con il proprio conto corrente ad infiammare gli animi e i cuori ma i Dzeko che rinunciano al doppio dell’ingaggio offerto dal Chelsea per restare nella Capitale e dominare il Barcellona giganteggiando su tutto e tutti. Grazie Roma, hai ricordato a tutti il motivo per il quale il Calcio è uno sport tanto meraviglioso, hai scritto una pagina storica ma l’epopea può avere un epilogo ancor più epico. L’unica cosa certa è che non ci saranno soltanto i romanisti a supportarti.

Il fascino irresistibile di questo sport risiede anche nella crudeltà che è capace di esprimere; il solito extraterrestre avrebbe colto anche questo aspetto nella forma più cinica possibile se avesse ritenuto interessante seguire anche Real Madrid – Juventus solamente 24 ore dopo. I bianconeri non sono in grado di condensare il gradimento dell’intera popolazione pallonara tricolore, in quanto simbolo dell’aristocrazia sportiva troppo spesso agevolata da direzioni arbitrali compiacenti all’interno dei confini nazionali; è però innegabile che l’impresa sfiorata dalla Juventus sarebbe stata addirittura più gloriosa di quella romanista, in quanto consumata nella casa dei mostri sacri madridisti e perché non vi sono precedenti storici in cui in Champions League sia stato ribaltato uno 0-3 subìto in casa nella gara d’andata. Il contatto tra Benatia e Lucas Vazquez materializzatosi in piena area ad una manciata di secondi dai tempi supplementari è controverso, molto probabilmente falloso, ma non così semplice da fischiare; per decidere un Quarto di Finale di Champions League all’interno di una sceneggiatura che potrebbe riscrivere la storia della competizione in presenza di compagini tanto nobili si dovrebbe essere in presenza di un intervento falloso inattaccabile da qualsiasi angolazione. Un contatto netto, solare, indiscutibile. In realtà l’entrata di Benatia avviene con eccessiva foga ma l’impatto sembra realizzarsi più tra i corpi che tra gli arti (la gamba sinistra del difensore cerca e sembra trovare il pallone, mentre con le braccia si appoggia alla schiena di Vazquez con un’intensità che però è complicatissimo decifrare). In sostanza il calcio di rigore ci sta, ma non sarebbe stato né banale né sbagliato lasciar correre, soprattutto perché la contesa non si sarebbe interrotta ma si sarebbe risolta nell’unico modo che avrebbe giustificato l’impresa juventina o la reazione dei blancos: incrociando ancora le armi sul campo, all’interno dei tempi supplementari nell’ appendice romanzesca di un capitolo indimenticabile per motivi diversi da una controversa decisione arbitrale. Anche questo è il gioco del calcio, che come una femme fatale sposta gli equilibri emotivi di tutti gli appassionati. Se l’extraterrestre avrà visto tutto questo allora sarà finalmente in grado di capire.

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