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Il Punto sul Bologna – Prima del silenzio

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È inutile far finta che non sarà così; da qui e sino all’ultima giornata (e speriamo che contino ancora qualcosa per noi, le ultime giornate) per il tifoso del Bologna e per chiunque sia in qualche modo affiliato a questi colori (compresi quelli che hanno solo interessi economici e non affettivi), sarà un inferno. Sportivamente parlando. Tuttavia, quell’avverbio, “sportivamente”, non palesa del tutto cosa si intenda per “sofferenza sportiva”.
Ogni uomo ha e deve mantenere una piccola porzione della propria vita che si distanzi dalle preoccupazioni quotidiane (quelle sì che sono vere!). E la domenica (o qualunque altro giorno della settimana, in tempi moderni) ha, da sempre, significato questo. Quel momento in cui, succeda quel che succeda, ti ritrovi attaccato a una radiolina o saltelli davanti ai seggiolini dello stadio in attesa che il tuo amore più fanciullesco e prezioso giochi la partita. Il tuo Bologna, il nostro Bologna. Ecco, ora immaginiamoci che quel momento dedicato solo a noi e alle nostre lucide distrazioni, sia diventato per il tifoso rossoblù un’isola remota e distante anni-luce. Anzi, peggio pure: un’afflizione.
La domenica si va allo stadio già smadonnando, i figli ti chiedono se il Bologna perderà ancora e tu, a denti stretti perché sei un bravo genitore o zio o nonno (maschio o femmina che sia il genere), gli dici, sorridendo: “Ma no, oggi no! Vedrai…”
Poi, dopo novanta minuti, la cura con cui hai sollevato l’animo del bimbo (sia quello a cui tieni la mano, sia quello che hai dentro te) va a farsi friggere. Perché il tuo Bologna ha perso. Ancora.
Accade però che per un attimo sei sollevato anche tu. Perché un giorno c’è un distinto e ricco signore canadese che diventa il proprietario della tua squadra (che rimane tua anche se viene comprata e gestita da altri, sia chiaro!). E allora ecco che torna il sogno. Quasi inaspettato. E allora stavolta sì che glielo dici a tuo figlio: “No, no. Oggi no, non si perde”.
Passano i giorni. I mesi. Perfino gli anni. Tuo figlio “invecchia” e si fa l’idea di essere cresciuto in mezzo alle cazzate che gli hai raccontato proprio tu. Da quando gli raccontavi di Babbo Natale in poi.
È così, quando ti tolgono queste dolci certezze da cinno, ti incazzi. Poi, certo, rimetti tutto a posto nella coscienza perché, in fin dei conti, è solo sport. Ma ognuno di noi sa che non è solo quello. Perché la serena distrazione è comunque necessaria, fondamentale. Perfino salutare. Questo il punto esiziale: seguire il Bologna “deve” essere salutare. Altrimenti è una preoccupazione ludica che si aggiunge alle preoccupazioni vere. E alla fine qualcosa si molla. Perché costretti. Magari da un medico.
E si finisce nell’assenza e nel silenzio. È questo il Bologna che si vuole? Un silenzioso anonimato? Chi ci deve pensare, ci pensi.

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