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Il Punto sul Bologna – Festa privata

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In alcuni casi, i numeri sono una iattura. Perché implacabili. Non è un caso che i quotidiani che si occupano anche delle vicende rossoblù trovino una netta separazione tra il Bologna “precedente” (Inzaghi) e quello attuale. E sono proprio i numeri a tracciare questa evidenza e a rendere inesorabile il giudizio di assoluta bocciatura nei confronti di quella squadra “passata”; eppure sembrano ormai lontane nel tempo le lamentele di una tifoseria che era “costretta” a soffrire come se dovesse pagare il fio di chissà quali colpe. In realtà, il nostro recentissimo passato è ancora dietro l’angolo e ne paghiamo ancora lo scotto della bassa e pericolosa classifica.
Tuttavia, ridurre il tutto alle colpe di un solo uomo (Pippo Inzaghi) rischia di giustificare , forse oltremodo, gli errori (in alcuni casi incomprensibili) degli stessi giocatori. Vederli correre e ringhiare su ogni pallone ci sembra una novità e quasi ci stupisce: “ma sono gli stessi di prima?”, qualcuno comincia a chiedersi.
Come detto, grande merito è giusto riconoscerlo a chi ha cambiato questo trend in modo pressoché radicale. Sinisa Mihajlovic deve aver trovato la chiave giusta per entrare nel cuore e nell’anima di questi ragazzi. Però, pensare che se cambia il capufficio allora anche gli impiegati si mettono a lavorare meglio è una cosa che non regge. Soprattutto agli occhi di chi fa mestieri differenti e più quotidiani, rispetto a chi ha la fortuna di essere nel “mondo del calcio”. Può essere un modulo adottato che cambia così prepotentemente le carte in tavola? Può essere che spostandolo di un metro in avanti o un metro indietro, un giocatore acquisti più voglia di giocare o, meglio, più combattività? Cosa vogliono dire quelle frasi che spesso abbiamo sentito a risposta di prestazioni difficilmente difendibili? Cosa vuol dire, per l’esattezza, “Dobbiamo credere maggiormente in noi stessi”? E, soprattutto, cosa vuol dire andare a lavoro (è bene che si ricordi che si tratti di un “lavoro”, con doveri e responsabilità, e non un hobby) e non “credere in se stessi”? L’impiegato del catasto, ad esempio, potrebbe non darci le informazioni che ci servono e per cui è pagato solo perché “non crede in se stesso”? Lo potrebbe fare un cardiochirurgo mentre opera o un carburatorista mentre ci mette a posto l’auto? No. Semplicemente, no. Tanto che, quando accade, ogni cittadino si imbufalisce e si sente, ovviamente, mancare di rispetto.
Allora, in alcuni casi, anziché continuare a infarcire questo “mondo del calcio” di cliché e luoghi comuni rendendolo sempre più distante dalla vita dei suoi “clienti” (i tifosi), sarebbe meglio tornare alla logica comune e non accettare mai questo tipo di risposte che fanno diventare dei ragazzotti atletici di 20/30 anni, degli spensierati Ragazzi della via Paal ma dalla psiche fragile. Non può essere così e non è nemmeno giusto proprio nei loro confronti.
Tutto questo, però, non si dica per abbassare la serenità (che a dir la verità dobbiamo ancora raggiungere, perché il campionato finisce a fine maggio e le concorrenti non sembrano mollare) o per rimbrotto nei confronti di qualcuno. No, semplicemente per spiegare che, se dovesse arrivare l’agognata salvezza, sarà festa. Ma una festa privata fatta da tutte le migliaia di tifosi rossoblù che a questa squadra ci tengono per davvero. Una festa privata dove forse si stapperanno anche bottiglie di champagne. Perché solo i tifosi potranno festeggiare. Gli altri avranno fatto semplicemente il dovere che l’etica del lavoro impone a chiunque. Al calciatore come al meccanico, al dirigente del Bfc come a una sarta.

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