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Bologna

Canta che ti passa: Ci vuole una squadra

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Le cose di ogni giorno raccontano segreti
a chi le sa guardare e ascoltare.

Nulla di più vero, caro Sergio Endrigo, e la partita contro il Parma ne è stato l’esempio: lo spettacolo, più delle altre volte, non si è limitato al rettangolo di gioco, allargandosi agli spalti e ai social. La cornice del quadro, diciamo.

Partiamo innanzitutto da una banalità, che però non è sempre scontata: la squadra è squadra. Cioè, i ragazzi – almeno, a vederli dall’esterno – sono amici più che compagni. Certo, la legge non scritta “Vincere aiuta a vincere” conta non poco, ma il bello è che non c’è un singolo giocatore che si distingue. Proviamo a spiegare dicendo che tutti hanno il proprio giocatore preferito, ma se iniziassimo a fare l’elenco degli altri ragazzi potremmo stare certi che la risposta sarebbe “Beh, in effetti anche loro…”. La squadra è squadra perché se noi abbiamo un preferito, lo è perché il nostro inconscio ci induce a evidenziarlo nella massa: in realtà, tutti sono alla pari e remano in direzione salvezza.
Tutti? Sì, anche coloro che agiscono da comparse, tornando dietro le quinte subito dopo. Ci ricordiamo, fermo in un’istantanea, Calabresi intento a rincorrere Destro dopo il gol vittoria al Sassuolo. Arturo, con l’arrivo di Mihajlovic, è stato uno dei primi ad accomodarsi in panchina, sia per il cambio modulo – difesa a quattro – che per fare spazio all’(ex) incognita Lyanco. Eppure, in quel tentativo di “stendere” Mattia, si vede quanto tenga alla salvezza, alla maglia, alla squadra. Abbiamo avuto conferma di ciò in occasione del match contro il Milan, quando si è messo “a disposizione, lavorando con umiltà, perché bisogna mangiare un po’ di merda per migliorare”. Sì, Arturo, non ti conosciamo, né ti vediamo tutti i giorni, ma ci fidiamo del tuo “segreto”.

A salire in cattedra, tuttavia, in quest’ultima parte di campionato è stato Krejci, uno dei migliori di lunedì scorso. Ladislav, con Inzaghi, era riuscito a rubare il posto a Dijks, per poi essere relegato in panchina a causa dell’arrivo di Mihajlovic. Il temperamento – diciamo così – dell’olandese, però, l’ha richiamato in causa ben quattro volte nelle ultime sette partite (che diventeranno cinque in otto con la Lazio), nelle quali solo una da subentrato. Accantonando la figuraccia con l’Atalanta, l’ormai terzino ceco ha fatto ricredere in toto i malfidenti (nemmeno tanto ingiustificati…), collezionando buonissime prestazioni, sfiorando più volte la via della rete e assistendo Sansone nel 3-1 contro l’Empoli. La squadra è in fiducia perché i giocatori si sentono in fiducia, e viceversa.

Per fare una vittoria, ci vuole una squadra;
per fare una squadra, ci vogliono giocatori;
per fare giocatori, ci vogliono uomini.

Discorso filosofico, perché i bravi calciatori hanno sempre una buona morale da seguire, che dimostra se sono “uomini”. Vedi Poli, scorbutico e allergico alle luci dei riflettori, ma – lunedì – si è alzato dal suo posticino in tribuna per applaudire e supportare un Destro scontento della sostituzione. Andrea, secondo voi, non immaginava lo stato d’animo di Mattia? Ci piace, magari, pensare che il capitano con la maglia numero 16 (l’altro ha quella 31, non dev’essere sempre facile far convivere due fasce al braccio) gli abbia parlato e “consolato” negli spogliatoi. Il gesto può passare come cosa banale, ma anche se nelle vittorie fa meno rumore di quanto possa fare in una sconfitta, fa capire – a maggior ragione – quanto questi punti abbiano pesato sulle cose segrete da guardare e ascoltare.
Chi invece si è alzato dal posto in tribuna non per applaudire, bensì per essere applaudito e adorato, è stato Mitchell Dijks: gli ultimi minuti del match, infatti, si è recato in Curva per vivere il calore bolognese, ovviamente venendo accolto con un caloroso coro prontamente documentato sul suo profilo Instagram.

Lo spettacolo, a Bologna, è totale. Mihajlovic e le vittorie hanno ricostruito quei dettagli importantissimi sui quali non si può passare sopra. Questo è il concetto di squadra: i rossoblù, ormai, l’hanno fatto proprio.

 

(Ci vuole un fioreSergio Endrigo)

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