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Canta che ti passa: Amore che vieni, amore che vai

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Piaccia o non piaccia, aveva ragione Galliani in quell’estate del 2012, quando i giornalisti gli chiedevano di un possibile ritorno di Kakà al Milan: “Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano”.
Aveva ragione perché, nel calcio così come nel mondo terrestre, il mai Amici mai, la canzone di Antonello Venditti da cui l’attuale ad del Monza aveva preso spunto – non esiste, e nel mercato, specialmente in questo periodo, ce ne stiamo accorgendo: Conte, dopo la famosa intervista del 5 maggio 2002, approda all’Inter; Sarri, dopo il dito medio rifilato ai tifosi juventini all’arrivo allo Stadium, viene accostato – con insistenza – ai bianconeri; Ranieri e De Rossi, cuori giallorossi, vengono trattati con un comportamento di dubbio gusto dalla società. Mai ci saremmo pensati di vivere queste sensazioni, come mai – allo stesso tempo – ci saremmo sognati di rivedere Mihajlovic sulla panchina del Bologna, dieci anni dopo la prima volta.

Effettivamente, nel 2009 era probabilmente troppo acerbo: dopo l’avventura al fianco di Mancini nell’Inter, Menarini ha pensato “bene” di buttarlo nella mischia di un Bologna che aveva raccolto appena sei punti in dieci giornate. Prima regola del “farsi le ossa”: mai dire che ti stai facendo le ossa. Una squadra che deve salvarsi non ha bisogno di scommesse. Difatti, il primo step da allenatore si interrompe dopo appena 21 partite, 20 tasselli in più in classifica e una piazza che ha visto in Papadopulo il traghettatore alla salvezza.
A mai più rivederci, Sinisa. Anche se quella sciarpa rossoblù sempre intorno al collo, durante le partite, è il chiaro segno che il primo amore non si scorda mai…

un giorno qualunque la ricorderai,
amore che fuggi, da me tornerai.

Eccome se l’ha ricordata, quella sciarpa intorno al collo: “Lo dovevo alla gente. Tornai a Bologna col Catania, dopo l’esonero. Il Dall’Ara mi applaudì: tutti avevano capito”, le sue parole nell’inserto di Stadio, nel quale ha scritto una lettera di suo pugno. Quel giorno qualunque ha una data ben precisa: 27 gennaio 2019, quando il Bologna cade con il Frosinone e Fenucci decide di alzare la cornetta per contattare il serbo.
“Io l’ho ritrovata su per giù come l’avevo lasciata dieci anni fa e oggi come allora penso che sia una piazza straordinaria per poter fare calcio”. E puff: scomparse le nove sconfitte in 21 partite, i cinque pareggi di fila appena è arrivato o le sole quattro vittorie. Bologna ti avvolge, Bologna ti profuma e Bologna ama chi lo fa. Anche se poi fugge.

E tu che con gli occhi di un altro colore,
mi dici le stesse parole d’amore.

Vai per altre strade, magari cerchi in qualcun altro quel che il primo – serio – amore ti ha lasciato: Sinisa gira l’Italia e la Serbia, mai rimanendo sulla stessa panchina per più di due stagioni, e non avendo nemmeno il tempo di disfare le valigie a Lisbona. Dieci anni dopo la prima volta, i colori degli occhi sono diversi: De Andrè, nonostante amasse vagare tra le ragazze del quartiere, riusciva a trovare in ognuna sempre la stessa…passione; Mihajlovic, invece, dopo “averne provate un po’”, magari non ha mai provato quello stesso sentimento – da allenatore – come quello che gli hanno dedicato le Due Torri.
Ma il punto qual è? Il punto è che Sinisa rimarrebbe, ma solo se ce ne fossero le condizioni (notiziona). Questi quindici giorni in cui ha dovuto decidere il futuro, magari, non sono stati imposti da lui, bensì dalla società: “Mister, ci diamo 15 giorni di tempo per lavorare sotto banco, causa impegni con le nazionali, ecc., poi tu decidi se stiamo facendo sul serio”. Nel frattempo, Orsolini è uscito allo scoperto e per Sabatini manca solo l’annuncio.
Non si deve necessariamente incolpare Mihajlovic, lui ha tutto il diritto – dopo un’ottima stagione – di cercare altri amori per togliersi altre soddisfazioni. Poi, il calcio è strano, un attimo sei lì e l’altro non più…

io t’ho amato sempre, non t’ho amato mai:
amore che vieni, amore che vai.


(Amore che vieni, amore che vai – Fabrizio De Andrè)

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