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Lo scudetto del ’25? “Fu vera gloria”

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La prima volta non si scorda mai: specie se teatro di polemiche, capaci di trascinarsi a quasi un secolo dall’avvenimento. Il nuovo libro di Carlo Felice Chiesa, giornalista e scrittore bolognese, ha un obiettivo chiaro: smontare la narrazione della Fondazione Genoa. Quella secondo cui, lo scudetto 1925, dovrebbe essere assegnato al rossoblù genovese. Idea sposata, a più riprese, anche da certa stampa europea: “The Guardian”, in particolare. Arrivato a definire, quell’eterna (semi)finale, come la madre di tutte le “porcate”. Sportive, s’intende.

LA DIFESA La tesi del libro, “Bologna 1925-Fu vera gloria“, come si evince già dal titolo, è chiara: giù le mani dal primo scudetto. Una vittoria vera, a tutti gli effetti; sui generis, di certo, per l’eterna sfilza di partite (cinque) ed episodi al limite che la caratterizzarono; ma non dirottata a tavolino, come sostengono gli oppositori, dalla politica. L’autore ne ha parlato  proprio nel cuore di Bologna, sotto le Due Torri, alla presenza di Carlo Caliceti (per la società) e Riccardo Brizzi, professore associato di Storia Contemporanea presso l’Università di Bologna, autore della postfazione e collaboratore per la parte storica.”Come molti sanno” ha introdotto il primo “specie chi è appassionato di vicende storiche del Bologna, da più parti queste cinque partite sono raccontate come una delle maggiore irregolarità nella storia del calcio, avvenuto secondo certa narrazione grazie all’intervento delle squadre fasciste, capeggiate da Leandro Arpinati, bolognese d’adozione e tifosissimo rossoblu. Negli anni questo assunto si è consolidato, ma noi ci siamo fatti due domande, andando a consultare le fonti del periodo. Era il 1925, e i giornali d’opposizione uscivano ancora. Ma dei fatti raccontati, della presunta interferenza del regime, non abbiamo trovato alcuna traccia”. Piccolo antefatto: siamo nel 1925. L’anno prima il Genoa ha battuto il Bologna in semifinale, prima tappa del suo nono scudetto, dopo una semifinale non priva di polemiche e tensioni. L’anno dopo, col Grifone alla ricerca dello scudetto della Stella, la sfida si ripropone: allo “Sterlino” di Bologna vince il Genoa per 1-2 (con goal di Alberti, nativo di San Giorgio di Piano ed ex rossoblù), ma al ritorno i felsinei ribaltano il risultato. Si va dunque allo spareggio: che si gioca in campo neutro a Milano. Dove succede il fattaccio, raccontato da Carlo Chiesa.

I FATTI“Stadio pieno in ogni ordine di posto, fin troppo: c’è la gente addirittura in campo. L’arbitro Mauro, principe dei fischietti italiani, dice che non ci sono le condizione per giocare. Ma alla fine, si gioca lo stesso: il Genoa conduce per 2-0, poi Muzzioli accorcia le distanze, ma scoppia la polemica. Per alcuni la palla è entrata, per altri no. Goal fantasma. L’arbitro convalida, e alla fine la partita finisce 2-2, col Genoa che in un primo momento si rifiuta di tornare in campo e il Bologna che chiede la vittoria a tavolino. Ma si va a gara 4.” E qui la situazione peggiora, a livello di tensione, per gli episodi extra-sportivi. “La partita, giocata a Torino” racconta Chiesa” finisce 1-1, ma i disordini stavolta scoppiano lontano dal campo: alla stazione di Porta Nuova, bolognesi e genoani entrano in contatto, volano colpi di rivoltella.” Si decide dunque per giocare gara 5 in un posto segreto, nella periferia milanese: coi genoani che accusano i bolognesi di sapere in anticipo il luogo. E non solo: di violenza psicologica (e concreta) delle camicie nere. Tesi rifiutate da Chiesa, a cui fa coro Brizzi, che contestualizza il tutto storicamente: era un periodo di grandi tensioni sociali, con un tasso di violenza inaudito. La Fondazione Genoa sostiene l’interferenza politica di Arpinati, che all’epoca, secondo Brizzi, era ancora troppo immerso nei giochi di potere per esporsi nel calcio. Diventerà infatti presidente Figc solo due anni più tardi.

INTRECCI La richiesta del Genoa di riappropiarsi di uno scudetto, non è l’unica: anche il Bologna, infatti, ne chiede uno. L’ottavo: quello revocato al Toro, per un illecito, che sarebbe dovuto andare ai rossoblù secondi, ma rimasto vacante. Vai a capire il perchè. E poi la Lazio, che chiede quello del 1915 (del Genoa): morale della favola, sui tre episodi quasi intrecciati da loro, è stato dato incarico ad una commissione,  diretta dal giornalista Matteo Marani (“E c’è chi contesterà perchè è bolognese”, ha scherzato Chiesa), di far luce una volta per tutte su queste vicende all’apparenza lontane nel tempo, ma in realtà mai così attuali. Tornando però alla domanda originaria: perché difendere il primo scudetto? “Perchè la Fondazione Genoa non ha prove, non cita le fonti. E la tesi politica, come detto, non regge: è seducente, come dice il professor Brizzi, ma non riscontrabile nei fatti. Sembra quasi che Genova fosse una città meno fascista di Bologna”. E poi “ne va dell’onore della nostra storia, di chi ha vinto quello scudetto, dell’allenatore e anche degli arbitri. Ne va della nostra dignità, per difendere la nostra storia. Ad oggi, quello scudetto spetta a noi: non ci sono prove di alcun tipo per togliercelo, e poi il Genoa avrebbe anche dovuto giocare la finale: che senso avrebbe assegnare uno scudetto a una squadra che, poi, avrebbe poi dovuto anche giocare la finale (contro l’Alba Roma)?

VERDE SPERANZA Non si può dunque macchiare la storia del primo scudetto: intoccabile, unico. E vinto, per la cronaca, in maglia verde. Il motivo? Questioni di cabala: alla prima i bolognesi avevano la maglia bianca (chi giocava in casa usava quella da trasferta) e al ritorno il Genoa perde con lo stesso colore. Così Enrico Sabatini, dirigente rossoblù, girovagando per un magazzino milanese, decide di cambiare: trova queste divise color verdi, di suo piacimento, e le fa indossare ai giocatori. A posteriori, di buon auspicio; anche se, c’è da scommetterci, che qualcuno avrà da ridire pure su questo.

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