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Canta che ti passa: La guerra di Sinisa

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La notizia è ormai vecchia: Io, anche dal punto di vista ambientale, ero pronto per la Roma, loro no. Sono un professionista e sarebbe stata una bella esperienza” ha detto Mihajlovic ai microfoni di Sky Sport. “Per fortuna aveva detto che voleva e ha voluto il Bologna a tutti i costi”, “Potevi evitare di dirlo”, “Dichiarazioni fastidiose. Dimostra che se ne frega del Bologna”, e via andare.

Ora, premettendo che questo articolo potrà mai superare la perfezione, la veridicità e il tatto di L’aura non c’è, mi è tornato in mente – quando Sinisa ha sottolineato Ho capito che andavo a fare una guerra da solo contro tutti; la potevo pure fare, ma andavo per perderla” – una sua intervista, rilasciata a La Gazzetta dello Sport, di pochi mesi fa, quando era approdato in terra bolognese, in occasione del 50esimo compleanno. Attenzione, qui si vuole fare la morale a nessuno, solo tentare di far ragionare, dal lato umano, i pochi (per fortuna, ripeto, pochi) che poco hanno gradito la schiettezza dell’allenatore.

Ora, partendo dal fatto che – credo – tutti vediamo nel tecnico serbo la voce della verità, ragion per cui non usa fare giri di parole o inventare assurdità, prendiamo per buone le sue dichiarazioni: “Le guerre, tutte le guerre, fanno schifo. Ma quella fratricida che abbiamo vissuto noi nella ex Jugoslavia è quanto di peggio possa capitare. Amici che si sparavano tra loro, famiglie disgregate. Ho visto la mia gente cadere, le città distrutte: tutto spazzato via. Il mio migliore amico ha devastato la mia casa”. Non so in quanti di voi che state leggendo abbiate vissuto una guerra, per fortuna abbiamo la televisione che ce ne mostra la crudeltà per poter immaginarla (in realtà, credo che dal vivo sia molto peggio di ciò che vediamo) e, magari, imparare a non farla.
Paradosso, come cantava De Gregori: “La guerra è bella, anche se fa male”. Nulla di più vero: la guerra è bella perché si lotta per un unico obiettivo, perché si è tutti fratelli, ci si copre le spalle, ci si rende conto che ha avuto un senso – in caso di vittoria – entrare “in squadra” e si è felici di essere “sopravvissuti”. Ecco, credo che quel “la potevo pure fare, ma andavo a perderla” sia proprio il ritratto di Mihajlovic: ha vissuto il combattimento, quello “vero”, sulla propria pelle, ha perso il padre, ha assistito alla devastazione di persone e città, ma sarebbe andato a Roma comunque, per lo stesso motivo per cui è andato al Milan dopo essere stato all’Inter. Nella Capitale aveva capito che si poteva creare qualcosa di bello, era convinto di questo e, senza mancare di rispetto al Bologna, avrebbe avuto più possibilità di vincere. Aveva avuto screzi con Totti? Sì, per questo la guerra è bella, anche se fa male: Sinisa sapeva che se avesse iniziato a vincere, si sarebbe appianato tutto.

“Eh, il Bologna non è una seconda scelta”. Giustissimo, ma solo per i tifosi e per rarissime eccezioni: “Oggi mi piace vivere bene, so cosa significa avere poco da mangiare. Da piccolo adoravo le banane, ma non avevamo i soldi, mia madre ne comprava una e la dovevo dividere con mio fratello […].Oggi quando vado al ristorante scelgo il meglio, bevo vini pregiati, però la ricchezza che spero di lasciare ai miei figli non è quella economica, ma valori e insegnamenti”, ha continuato Mihajlovic nell’intervista.
Ecco, il Bologna – a mio modo di vedere – è la “banana”, la Roma è il “vino pregiato”. Non siamo nello stesso ambito culinario, ma credo che – in questo caso – pochissimi sceglierebbero il solido al liquido, forse neppure gli astemi. Sinisa è riuscito a sfamarsi in questi cinque mesi e, giustamente, avrebbe scelto di salire di livello, optando per un ristorante in cui ti servono a dovere. Ricordiamoci, però, che parliamo di “vita” e non di banale “calcio”: dopo aver vissuto anche solo l’infanzia in condizioni precarie, ci sono persone che si accontentano delle piccole cose e altri no. Mihajlovic deve mandare ancora giù merda perché qualche imbecille lo chiama “zingaro”, quando – probabilmente – non conosce nemmeno la storia che ha alle spalle l’uomo, ma ciò non vuol dire che si senta superiore. Lui, con tutta probabilità, è ancora “in guerra”, dove ne sta uscendo vincente: “La soddisfazione più grande oggi come allenatore è il rapporto con i giocatori dovunque sia andato. Le lacrime che hanno versato quando sono andato via, il rispetto che non è mai mancato, la stima anche di chi ho fatto giocare poco. Perché posso sbagliare scelte, ma sono diretto, leale e mi comporto da uomo”.

Fermati Sinisa, fermati adesso:
lascia che il vento ti passi un po’ addosso.
Dei morti in battaglia ti porti la voce,
chi diede la vita ebbe in cambio una croce.


(La guerra di Piero – Fabrizio De Andrè)

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