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Sinisa Day – Da Bologna a Bologna: Sinisa uno di noi

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La storia comincia il due novembre 2008. Il Bologna che vola a Cagliari è una squadra infinita, fatta di 26 giocatori. Daniele Arrigoni dura dieci giornate, alla guida di una squadra senza mezze misure. O vince (poco, solo due volte: il capolavoro con il Milan al ritorno in serie A e il 3 a 1 alla Lazio) o, soprattutto perde: otto sconfitte. L’ultima ha il sapore di un agguato. A Cagliari Di Vaio illude dopo 18’ con il gol del vantaggio, ma la ripresa è un calvario, arrivano quattro gol in 24’, sugli scudi c’è pure Acquafresca con una doppietta, il volto di Arrigoni, il cui primo piano viene spesso offerto agli abbonati della tv a pagamento, è tutto un programma. Jeda all’85 gli dà l’ultima coltellata. Non rimane che scegliere il suo sostituto: Novellino? Troppo instabile nei suoi comportamenti. Papadopulo o Colomba? La proprietà rinunciò all’usato sicuro. Di Carlo, allora. Il nome nuovo, ecco. Francesca Menarini si affidò a Roberto Mancini, reduce dalla panchina dell’Inter. “Dammi retta – gli dice lui – prendi Sinisa”. Roberto lo aveva avuto come vice a Milano, lo aveva avuto di fianco nel centrocampo della Samp, ne conosceva bene le doti comportamentali e la conoscenza del gioco. “Prendi lui, ha tutte le carte in regola per… dare la scossa”. Così il 3 novembre 2008, il serbo di Vukovar tratta la buonuscita con l’Inter, era ancora a libro paga, 400 mila euro a stagione, e arriva alla corte rossoblù. “Sono qui perché mi piacciono le sfide belle e difficili – dice al suo arrivo – La Rosa di questo Bologna mi convince, questa squadra si salverà. Ci sono giocatori che non hanno nulla da invidiare alle squadre che ci sopravanzano come il Catania e l’Atalanta. E la qualità si è vista anche nelle precedenti partite, bisogna lavorare, niente di più. Credo che dovrò lavorare sull’aspetto psicologico – dice – perché mi sembra che il gruppo avesse perso fiducia in sé stesso”. Usa anche parole per chi lo ha preceduto: “Ho chiamato ieri Daniele, non ho avuto la fortuna di conoscerlo, ho l’impressione che sia un bravo allenatore e una brava persona che paga i rischi del mestiere. Guai a chi parla male di lui. Che Bologna voglio? Dico che non mi piacciono i giocatori mosci”. Trova un ambiente surriscaldato, i tifosi in rivolta. Ma anche qui smorza ogni polemica: “Qualsiasi contestazione non sarà mai violenta come quelle che ho vissuto a Roma”. E’ di parola, Sinisa, perché il Bologna guidato da lui infila una serie positiva di nove partite utili di fila. Due vittorie importanti (5 a 2 al Torino e 2 a 1 a Catania) e sette pareggi, cinque dei quali in rimonta. Marchio di fabbrica, il carattere. Ma poi la ricaduta: nove sconfitte su dodici partite disputate, uno sfogo durissimo del tecnico nei confronti della squadra, di un atteggiamento floscio che Sinisa – da uomo sanguigno – non riesce a mandare giù. “Credevo di avere a che fare con uomini ambiziosi, mi hanno deluso” è il messaggio di Miha – parola più, parola meno – all’ambiente. Personalmente quel coraggio non l’abbiamo mai dimenticato. Ed è stato quello che ce lo ha fatto riabbracciare con pura soddisfazione un anno fa, quando serviva una sferzata forte all’ambiente, con la squadra fanalino di coda. Un 1 a 4 in casa col Siena costrinse, e mai verbo fu più calzante, la famiglia Menarini a licenziare Mihajlovic. Le cui parole furono quelle di un autentico signore. “Spero che il Bologna si salvi, ha le carte per farlo, mi spiace di non essere riuscito nell’impresa e di avere deluso una piazza così importante e uno staff così vicino a me. Ringrazio tutti quanti, calciatori compresi, e mi assumo ogni piena responsabilità di quanto è accaduto”. Dieci anni dopo, le strade che tornano a coincidere, Mihajlovic è reduce da esperienze in chiaroscuro, anche in piazze importantissime.  Arriva alla vigilia di una trasferta delicatissima, in casa dell’Inter che lo ha visto protagonista da giocatore e da allenatore. Con cipiglio, gioco e fortuna, Sinisa firma il successo della svolta. Tre punti pesanti, su incornata di Santander, Palacio che esce tra gli applausi di San Siro. L’impronta del tecnico è palpabile anche nelle sfortunate sconfitte successive, a Roma e con la Juventus. Il 3 marzo i tifosi felsinei indicano la trasferta di Udine coma la partita della vita. Un’ingenuità clamorosa di Poli spiana la strada al successo di misura dei friulani, ma il Bologna – dopo – inanella una serie di tre vittorie di fila (Con Cagliari, a Torino contro i granata e col Sassuolo) che riportano a galla la navicella. In vista della sfida diretta col Chievo, Mihajlovic si traveste da… Ulisse. E a Bergamo manda in campo il Bologna-2 subendo una secca battuta d’arresto. Qualcuno non apprezza, ma il mister di Vukovar ha fatto l’alchimista, ha risparmiato i titolari per il match vita o morte con il Chievo. Il 3 a 0 apre la strada a una cavalcata tanto eclatante e trionfale quanto inattesa nelle proporzioni. Nelle restanti e ultime sette gare stagionali, il Bologna colleziona 14 punti, frutto di quattro vittorie, due pareggi e la sola sconfitta di Milano col Milan. Non solo arriva la salvezza, ma addirittura un insperato decimo posto con 44 punti, 30 dei quali conquistati con Miha in panchina. La piazza lo invoca: resta con noi, lui nicchia. Forse indotto a farlo da due motivi. Il primo, tecnico. Ha appena fatto un autentico miracolo sportivo, i Grandi come lui pensano che vincere nel calcio è difficile, ma lo è ancor di più ripetersi. Ma in realtà c’è un’altra questione dietro il suo tentennamento. Avverte forte la mancanza della sua meravigliosa famiglia, che vive a Roma. E Roma è la sua città. E la Lazio la sua squadra del cuore. Voci di mercato accostano Simone Inzaghi alla Juventus che ha appena divorziato da Allegri, un altro Inzaghi pare nel destino di Sinisa. Il quale è sincero, dice e non dice, insomma ci sono buoni motivi, per lo più personali, per sperare in una chiamata dell’Aquila capitolina. Ma questo non avviene, tutti smentiscono, mai parlato, mai trattato, mai qui e mai là. Cose di calcio. Sinisa scioglie la riserva: rimane al Bologna. La piazza esulta come avesse vinto lo scudetto, il club pure perché il progetto non può che trarne giovamento, potendo andare avanti. Tanto più che Saputo ha aggiunto allo staff dirigenziale un asso, Walter Sabatini. Uno che Sinisa conosce bene. Stesso marchio di fabbrica, pane al pane e vino al vino. Ma questa avvincente storia sta per vivere il capitolo più intenso, talmente forte da far passare tutto quello che è successo prima in second’ordine. Il Bologna parte per il ritiro, Sinisa no. Qualche linea di febbre, dice radio campo, a chi chiede. I giorni passano e Sinisa non raggiunge la squadra sui monti. C’è il suo staff, certo. Ma lui? Cominciano a circolare voci, fino a quando viene annunciata una conferenza stampa a Casteldebole. Di Sinisa. No, non può essere così. Un giornalista, proprio quel giornalista che dieci anni prima aveva telefonato a Francesca Menarini per dirle “fai strabene a prendere Mihajlovic allenatore”, anticipa la conferenza stampa, mettendo a repentaglio la sua lunga amicizia col campione. Mihajlovic ne fa un breve cenno, nel corso di una conferenza stampa in cui ha il coraggio di svelare la sua malattia. “In forma aggressiva”. La leucemia. Piange Sinisa, e con lui tutti noi davanti a un campione di immensa umanità. Piange nel dichiararle guerra. La malattia non mi avrà. Racconta di quei giorni in ospedale che non finivano mai, in attesa di una risposta, con la vita che ti passa davanti agli occhi. Racconta così bene che sembra di essere con lui, sembra nostro fratello, anzi lo è. Tutto il mondo del pallone, ma non solo, si stringe a fianco del campione che ha avuto il coraggio di svelare la sua malattia. Il Bologna non ha dubbi: Sinisa è stato, è e sarà il nostro allenatore, dice Sabatini. Sa di interpretare il sentimento di un’intera collettività sportiva e non. E’ pienamente sintonizzato con una città e una tifoseria talvolta contraddittorie ma con il cuore come comune denominatore. Il tifoso del Bologna: Santo subito. La silenziosa processione a San Luca, qualche giorno dopo è toccante. Sinisa segue tutta la preparazione, da lontano. Poi comincia il campionato. Non dovrebbe, ma a sorpresa si presenta al Bentegodi per il debutto stagionale in casa del Verona dell’amico Juric. Non lo dice a nessuno. Lo fa. Lo fa all’ultimo momento, lasciando ancora una volta tutti a bocca aperta, con il suo coraggio. Portandoci una volta di più a strizzare i nostri occhi dalla commozione. La battaglia è ancora lunga, ma il segnale è confortante. Dopo la vittoria a Brescia, la squadra si presenta davanti alla Palazzina dell’Ospedale che lo ospita per dedicargli la sorpresa. Lui si affaccia come un Papa, ed è commosso. Ma non si smentisce. “Poi ne parliamo, perché avete vinto ma non è che mi siate piaciuti così tanto”. Sinisa trascina la piazza anche al momento delle sue dimissioni dal Policlinico Sant’Orsola, quando ringrazia un’altra squadra molto speciale, molto differente, ma molto agguerrita e preparata. Quella del personale sanitario e parasanitario. Indossa una coppola in stile irlandese, color rosso fuoco. Diventa il simbolo di Sinisa 2020, quell’immagine, il volto scavato ma gli occhi che sono fiammelle. Così come dieci anni prima lo era diventata una sciarpa rossoblù. Il resto è storia di oggi. Ed è appena cominciata. Buon compleanno Sinisa, uno di noi.

 

Diego Costa

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