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A TU per TU – Intervista esclusiva a Gaby Mudingayi: “Bologna è sempre nel mio cuore. Mihajlović è un uomo vero: ricordo…”

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Duttilità, forza fisica e lealtà: sono queste le doti che hanno sempre contraddistinto Gaby Mudingayi, che dal 2008 al 2012 ha vissuto al Bologna forse gli anni più belli della sua carriera. Ancora oggi amato dai tifosi, l’ex centrocampista si è raccontato in un’intensa intervista: dagli inizi fino all’attualità, abbiamo ripercorso insieme le tappe più importanti della propria carriera.

Ciao Gaby, come stai?

“Ciao! Bene dai, siamo ancora chiusi in casa ma non possiamo fare altro. L’importante è non sprecare tempo; io ci riesco, qui con me ho i miei figli e quindi sto con loro. Giochiamo molto alla playstation, vediamo film, pratichiamo attività fisica: le cose da fare di certo non mancano, speriamo di uscire presto da questa situazione”.

Hai scoperto nuovi hobby in questo periodo?

“Ho imparato a pulire la casa, e questo è un grande traguardo credimi; la donna delle pulizie non può sempre venire, quindi ho dovuto per forza iniziare a fare anche questo, anche se non è proprio un hobby”.

Parliamo un pò di te; hai iniziato in Belgio, quali erano le differenze maggiori tra il campionato belga e quello italiano, prima e oggi?

“Ti dico che attualmente il campionato belga è in netta crescita, in questi ultimi anni ho visto dei calciatori bravi uscire da questo torneo; rispetto a quando giocavo io sicuramente è molto più competitivo, prima non era così. La Serie A, invece, è sempre stata ad alti livelli, tra i campionati più competitivi al mondo. Oggi entrambi i tornei stanno continuando a crescere, e sono convinto che continueranno su questa strada”.

Sei arrivato in Italia, a Torino nel 2004, con quali aspettative?

“Non mi aspettavo nulla di particolare. Sono arrivato al Torino molto giovane, lì hanno subito creduto in me e mi diedero un’opportunità per misurarmi in un campionato molto attrezzato. Io pensavo solo a lavorare e a riportare i granata in Serie A, perché quando arrivai la squadra era in cadetteria. L’obiettivo comune era la massima serie, io mi sono impegnato molto per riuscirci e alla fine l’obiettivo era stato raggiunto. Purtroppo in seguito arrivò il fallimento, e noi eravamo liberi di andare altrove”.

Come hai vissuto il fallimento del Torino?

“Male, molto male; io arrivai lì a gennaio, i primi 6 mesi sono stati molto difficili tra nuova lingua e nuovo stile di gioco. La stagione successiva la squadra era molto competitiva, c’erano Sorrentino, Balzaretti, Quagliarella e molti altri. Abbiamo vinto il campionato e le cose stavano funzionando; si era creata una famiglia. Il fallimento fu una batosta per tutti, perché eravamo giovani e avevamo tutti dei contratti lunghi e importanti. Le conseguenze furono dure, quel colpo fu difficile da digerire”.

Poi per te è arrivata una grande occasione, la Lazio: fu per te un trasferimento inaspettato?

“No, perché comunque con il Torino avevo fatto molto bene e avevo diverse offerte importanti, tra queste la Lazio. La società biancoceleste è stata quella che mi ha voluto di più in quel momento, mi chiamò anche il presidente per convincermi e alla fine accettai, perché per me era un treno che non potevo perdere”.

E quel treno non l’hai perso…

“Io la Serie A non la conoscevo, arrivare in una grande squadra è stata dura per me; io però volevo fare bene, sapevo che dovevo dare il massimo per ripagare la fiducia di una grande squadra. In queste big ci si aspetta sempre molto dai calciatori, altrimenti sei fuori. Sono stato accolto bene a Roma, poi la squadra era incredibile: Peruzzi, Oddo, Baronio, Di Canio. Mi hanno fatto sentire a casa, il gruppo era compatto e questo aspetto è stato fondamentale”.

Da Roma a Bologna, un’opportunità nata come?

“Quando il Bologna salì in Serie A cercava un calciatore importante per il centrocampo; il mio procuratore era amico del direttore sportivo rossoblu di allora, e piano piano si creò questa opportunità. Alla fine accettai: il primo anno è stato difficile, anche a causa di un infortunio. Poi le cose migliorarono, ho giocato con continuità e la squadra aveva grande fiducia in me”.

Hai formato una grande coppia a centrocampo con Diego Perez: com’era il tuo rapporto con lui?

“Avevamo e abbiamo tutt’ora un ottimo rapporto. Diego è una persona squisita, in campo parlava poco ma si faceva rispettare da tutti. Scherzavamo sempre fuori dal campo, poi questi aspetti si riflettevano in campo”.

Il momento più bello a Bologna?

“Ce ne sono stati tanti, ad esempio quando abbiamo raggiunto la salvezza in diverse stagioni. Sono emozioni incredibili, quando conquisti un obiettivo hai vinto. Un anno abbiamo fatto 52 punti e giocavamo davvero bene. Escludendo il primo anno, in cui ero fuori forma; ma, in generale, a Bologna sono stato davvero bene. Ancora oggi ho rapporti con i miei ex compagni, e quando posso vengo subito in città”.

Ricordi una partita in particolare del periodo in rossoblu?

“Quando scendevo in campo davo sempre il massimo; magari potevo sbagliare qualche giocata, ma davo sempre tutto per la squadra. Ogni partita giocata andavo a mille, quindi non riesco a dirti una gara in particolare. Nemmeno quando segnavo, a volte ci sono state prestazioni più importanti rispetto a quando facevo qualche gol”.

Cosa ha significato giocare per una storica società come lo è il Bologna?

“Un onore immenso, un orgoglio infinito. Bologna è una piazza importante, la squadra è sempre nel mio cuore. La seguo sempre, sono in contatto con Di Vaio e spesso seguo gli allenamenti della squadra”.

I tifosi rossoblu cosa rappresentano?

“Il dodicesimo uomo in campo, senza dubbio. Lo stadio è sempre pieno, la tifoseria è vicina alla squadra e il calore si sente sempre, anche negli allenamenti”.

Il passaggio all’Inter com’è stato?

Lì ho avuto sfortuna; i nerazzurri mi volevano fortemente, arrivai lì e firmai un contratto di 3 anni. La prima stagione ho giocato una ventina di partite, poi mi sono infortunato al tendine di Achille: ero fuori gioco ormai, anche perché le grandi squadre non ti aspettano. Ho cercato di recuperare subito, ma ormai era tutto compromesso. L’esperienza all’Inter mi è servita per capire che il lavoro svolto bene ripaga sempre: mi ero impegnato e la squadra ha creduto in me”.

Senza quell’infortunio la tua esperienza lì sarebbe stata diversa?

“Secondo me sì, perché un calciatore come me poteva servire a centrocampo per recuperare palloni e anche per far rifiatare qualcuno. Noi il primo anno eravamo secondi, andammo anche a vincere allo Stadium contro la Juve; poi le cose cambiarono, nove infortunati e tanti altri problemi furono decisivi”.

Il calciatore più forte con cui hai giocato e, al contrario, quello che ti ha dato più problemi da avversario?

“Ho avuto la fortuna di giocare in Italia contro grandi campioni. Contro il Milan incontrai Ronaldo, poi ho incrociato anche Ibrahimovic, Beckham, Nesta. Ci penso ancora oggi e mi viene difficile credere a tutto questo. Dall’altra parte, ho avuti compagni di squadra come Di Canio, Peruzzi. A Bologna ho giocato con Di Vaio e tanta altra gente forte. All’Inter, in seguito, praticamente ho giocato con tutta l’Inter del Triplete: Zanetti, Sneijder, Stankovic. Sono felice della carriera che ho avuto e di chi ho incrociato”.

L’allenatore che ti ha dato di più?

“Mi hanno aiutato tutti: Delio Rossi alla Lazio, Sinisa Mihajlovic, Stefano Pioli. Ho avuto anche qui fortuna, quella di avere sempre grandi allenatori”.

Cosa pensi di Mihajlovic?

“Un uomo vero, ha una forza di volontà incredibile. Quando lo incontrai per la prima volta capii subito di che pasta era fatto. Anche quando non c’è ti trasmette qualcosa, e quest’anno ne abbiamo avuto la dimostrazione: è un esempio”.

Un calciatore come vive quotidianamente il Mihajlovic allenatore?

“Al massimo, lo vive bene. Lo dico con la consapevolezza che stiamo parlando di un uomo vero, che ama la verità. Qualsiasi cosa succederà, lui verrà sempre da te a dirti come stanno le cose. Un calciatore vuole accanto delle persone leali e trasparenti: questi aspetti aiutano sempre”. 

Oggi sei un procuratore, come mai hai voluto intraprendere questa strada?

“Ho pensato molto a ciò che potevo fare; un giorno mi sono trovato a parlare con un mio ex procuratore, e mi ha detto che potevo iniziare questo percorso, anche perché – stando in Italia – avevo appreso molte cose su questo ruolo. Ora lavoro soprattutto con i calciatori del Belgio, sono molto giovani e quindi cerco anche di instaurare un buon rapporto con le famiglie. Ora mi sto creando un percorso con questi giovani”.

Hai qualche obiettivo in particolare per il tuo futuro?

“Vorrei dare il massimo anche in questo lavoro, così come facevo in campo. Per il resto sono soddisfatto, ho i miei figli che crescono bene, sono contento della carriera che ho fatto e spero che le cose vadano bene anche in futuro”.

Grazie mille Gaby, un abbraccio.

“Grazie a te, un abbraccio”.

 

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