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Mihajlovic: “Questo libro è per dare forza a chi sta soffrendo: anche io ho avuto paura, ma l’ho vinta con il coraggio. La mia presenza a Verona? Forse ho fatto peggio…”

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Damiano Fiorentini PH


Intervenuto come ospite a Domenica in insieme alla moglie Arianna, Sinisa Mihajlovic ha presentato il suo nuovo libro dal titolo “La Partita Della Vita”, ripercorrendo tutte le tappe dei suoi intensi 51 anni di vita.

Sulla malattia: “Il mio motto non è ‘l’importante è partecipare’ ma ‘l’importante è vincere’; così ho affrontato la malattia. E’ iniziato tutto con un dolore alla gamba mentre giocavo a padel in Sardegna. Quando sono rientrato a Bologna ho fatto la risonanza magnetica: l’infiammazione era talmente importante che il medico pensava fosse rotto il macchinario. Poi mi hanno fatto gli esami del sangue ed hanno iniziato a sospettare la leucemia. Il giorno dopo, con l’aspirazione del midollo, mi hanno dato la conferma”.

Prende la parola Arianna: “Ricordo bene la telefonata con cui me l’ha comunicata. Stavo cenando con i ragazzi, inizialmente credevo si trattasse di qualche offerta di lavoro. Pensavo: magari l’hanno chiamato dalla Cina e non sa che fare. Invece alzo la cornetta e mi dice che aveva la leucemia. Io sono rimasta in silenzio per un po’, poi ho cercato di reagire subito; gli ho chiesto cosa dovevamo fare e come si curava. Il giorno dopo l’ho raggiunto a Bologna”.

Ancora Mihajlovic, questa volta sulla conferenza stampa del 13 luglio 2019: “Volevo essere io a dirlo a tutti, non volevo che i giornali iniziassero a fare ipotesi sbagliate. Non volevo nascondermi, a me piace combattere. L’altro giorno, ad un anno dal trapianto di midollo, ho fatto il controllo ed è tutto perfetto. E’ importante, sono molto contento”.

Poi sulle manifestazioni d’affetto e sulla partita con il Verona: “Non me l’aspettavo: sono riuscito a riunire tutti, anche quelli a cui prima non stavo simpatico. Questo mi ha dato tanta forza: pensavo a loro e mi dicevo che non potevo non farcela. La cosa positiva è che la mia storia ha dato molta forza a tanti; io avevo tanta paura, ma l’unico modo per vincerla era avere ancora più coraggio. Quando sono andato alla prima partita con il Verona ero un morto che camminava, avevo tredici chili in meno e trecento globuli bianchi. Ai miei giocatori non l’ho detto, quando sono entrato per la riunione tecnica c’era gente che rideva, gente che piangeva, gente che non riusciva a crederci. Pensavo di avergli dato molta carica, invece quella partita l’abbiamo pareggiata: solo dopo un po’ di tempo mi sono accorto che forse avevo fatto peggio, per loro è stata una botta emotiva molto forte”.

Dal racconto della malattia si passa a quello dell’infanzia. E quando vede suo papà sullo schermo, Sinisa non riesce a trattenere le lacrime: “Non averlo visto prima della sua morte è l’unico rimpianto della mia vita. Dovevo andarlo a trovare in Serbia ma avevo promesso ai miei due figli che li avrei accompagnati a Madrid, a vedere l’Inter in finale di Champions. Lui era in ospedale e stava male, prima di partire ho chiamato mia mamma per chiedere come stava e mi ha detto che andava tutto bene; l’avrei raggiunto il giorno dopo. Quando sono tornato, prima di ripartire, mi è arrivata la chiamata di mio fratello che mi diceva che papà era morto”.

Si passa allora al libro: “Se non avessi avuto la malattia non l’avrei scritto, penso di avere ancora molta vita davanti. L’ho fatto per cercare di mandare un messaggio alle persone che si trovano in quella situazione”.

Chiosa finale con l’intervento in collegamento della dottoressa Francesca Bonifazi, responsabile dei trapianti di midollo osseo del Policlinico Sant’Orsola a cui Sinisa esprime tutta la sua gratitudine: “Lei insieme agli altri dottori sono state persone splendide, grandi professionisti che mi hanno aiutato, supportato e sopportato. Senza di loro non ce l’avrei mai fatta: puoi essere forte e guerriero quanto vuoi, ma senza medicina non vai lontano”.

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