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Bologna

IL GRILLO PENSANTE – Questione di numeri

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Foto Picenotime


Neppure il tempo di godersi Soriano e Orsolini rappresentare fieramente Bologna in maglia azzurra (seppur in amichevole) che il campionato riapre i battenti spedendo Mihajlovic in Liguria per un confronto allo specchio col proprio passato; la sfida con la Sampdoria è carica di significati più o meno simbolici, è soprattutto incrociare le armi con un’altra compagine della medesima fascia nel tentativo di comprendere il reale valore del Bologna attuale, misurazione che fino ad oggi ha restituito dati contraddittori e pertanto impossibili da trasformare in una sintesi sacrosanta.

Dalle parti dell’infermeria, che nell’ultimo mese si era stipata come una tonnara, gli spazi sono diventati meno angusti essendo saliti sul pullman verso Genova anche Poli, Medel, Sansone, Hickey, Mbaye e Schouten; al momento restano appiedati soltanto Dijks e Skov Olsen (che dovrebbero comunque rivedersi entro la fine del 2020) oltre al lungodegente Santander che ne avrà fino a primavera.

Lo spartito di Sinisa sarà sempre il medesimo, coltello tra i denti ed arretrare soltanto per prendere la rincorsa, con la sempre viva speranza che la melodia sia più fluente e le stonature possano ridursi o quantomeno essere mascherate con un pizzico di astuzia che fino ad ora è mancata; l’avversario non è dei più semplici, quella vecchia volpe di mister Ranieri continua misteriosamente a far collimare strategie tattiche dai decisi tratti vintage con un’efficacia tremendamente evergreen. Peraltro i blucerchiati, scottati dalle rovinose débacle iniziali contro Juventus e Benevento, hanno incrociato nuovamente la sconfitta a Cagliari dopo aver però rastrellato nel mezzo ben 10 punti in una proficua mini-serie di 3 vittorie e una pareggio nella quale sono cadute vittime illustri come Fiorentina, Lazio e Atalanta.

Resta comunque appiccicosa la sensazione che il Bologna dipenda soprattutto da sé stesso, dalla sua capacità di far risaltare le proprie doti e di celare meglio possibile i propri limiti nell’attesa di poter attingere con 4 mesi di ritardo al pentolone ribollente del calciomercato. Non è certamente un anno ideale per scucire spese folli ma è semplicemente richiesto buon senso (senza necessariamente svenarsi) per rattoppare un paio di falle fin troppo evidenti ed evitando di accodarsi agli alti dirigenti di altre blasonate società di serie A che di recente hanno invocato aiuti economici statali per il dorato mondo del calcio risvegliatosi anch’esso vulnerabile alla crisi. Proprio come qualsiasi altro settore. Il Covid non ha fatto figli e figliastri, ha colpito indistintamente patrizi e plebei, ma nonostante le macerie che si stanno accumulando non scemano le pretese esose dei calciatori e dei rispettivi procuratori; colpiscono, ad esempio, le cifre ventilate sulla carta stampata sulla richiesta di rinnovo a 7 milioni di euro annui (quasi il triplo degli attuali emolumenti) da parte di Hakan Calhanoglu al Milan, o alla brama dei rappresentati di Paulo Dybala di riuscire a strappare alla Juventus lo stratosferico ingaggio di 15 milioni di euro annui. In mezzo a questa pioggia di numeri da capogiro che vanno a sommarsi a quelli terrificanti dei contagiati e morti che tristemente ci tormentano nel quotidiano, non è passato inosservato l’esempio di uno scugnizzo di nome Lorenzo Insigne che di professione fa il calciatore ma evidentemente è ben consapevole della sua posizione privilegiata, tanto da rischiare la lesa maestà nel ridurre a coriandoli il contratto che lo legava a Mino Raiola il Re Mercenario dei procuratori. Motivo? Per 2 anni ha tentato di convincere il calciatore di lasciare Napoli per migrare verso lidi più ricchi ma, ricevendo sempre picche come risposta, deve aver intensificato le pressioni finchè lo stesso Insigne si è trovato costretto a scegliere tra il procuratore che lo avrebbe potuto trasformare in Re Mida e la città che gli ha dato i Natali. Mai ci fu scelta più semplice.

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