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Senza Vincoli Contrattuali: Ismaël Bennacer

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Milan News 24


L’estate appena conclusa ha visto sorgere e poi tramontare una delle più entusiasmanti puntate della telenovela dei trasferimenti. Mentre l’aristocrazia della nostra Serie A ha vissuto una stagione di magra, costretta a far partire i pezzi migliori per trovare ossigeno finanziario, il Bologna ha speso con oculatezza i pochi denari a disposizione, consegnando a Sinisa Mihajlovic una rosa più equilibrata, e probabilmente non inferiore come valore assoluto, rispetto allo scorso campionato. A rendere incisivo un mercato iniziato con le dovute ma preoccupanti premesse di risanamento economico, è stata l’unione di due fattori fondamentali: la competenza della squadra mercato nella scelta dei giocatori e la visione condivisa con la guida tecnica. Il sacrificio inevitabile di Takehiro Tomiyasu, infatti, è stato bilanciato da due colpi in entrata invocati dall’allenatore: un centrale e un attaccante.

Marko Arnautovic e Arthur Theate poi ci hanno messo del loro: in meno di due mesi si sono imposti come titolari ed ora è impossibile immaginare il Bologna senza di loro. Aveva ragione Sinisa: servivano come il pane.

Dopo aver coperto le due caselle principali, concretizzando un lavoro iniziato molti mesi prima, Riccardo Bigon e Walter Sabatini hanno tentato il colpo ad effetto per l’ultimo giorno di mercato.

L’obiettivo del blitz, poi sfumato, era quello di impreziosire la rosa con un centrocampista di fosforo, tirando le fila di un coro che vanta diverse prime voci, ma che manca forse di un direttore d’orchestra che ne governi il ritmo. Eccola la posizione in cui investire per consentire al Bologna di compiere un evidente salto di qualità. Sabato sera i rossoblù ospiteranno il Milan, per la nona giornata del girone d’andata, e condivideranno l’erba del Dall’Ara con uno dei migliori registi del campionato. Se vi steste chiedendo a chi si stia facendo riferimento, per soddisfare la vostra curiosità bastano due parole: Ismaël Bennacer. Se invece la domanda che vi frulla in testa non è tanto “chi”, ma “come mai”, fate una cosa: mettetevi comodi e prendetevi dieci minuti. Perché questo è Senza vincoli contrattuali, dove l’unico limite posto alla fantasia è l’analisi.

L’avvenimento tattico più significativo della prima parte della stagione del Bologna è certamente il passaggio alla difesa a cinque. La sottrazione di un uomo dal drappello di scudieri di Arnautovic per prestarlo alla guardia arretrata ha comportato a cascata una serie di aggiustamenti. I terzini hanno guadagnato la giurisdizione su tutta l’estensione delle corsie laterali, gli attaccanti esterni hanno dovuto occupare in due lo spazio che prima era diviso per te, andando a galleggiare in una posizione intermedia fra l’ala e la trequarti. A non subire alcuna variazione, almeno sulla carta, è il tandem di centrocampisti centrali: due nel 4-2-3-1 degli inizi, e sempre gli stessi due a coprire la zona mediana nel 3-4-2-1.

Il centrocampo è il cuore della squadra. Ogni formazione che abbia lasciato un’impronta nella storia del gioco è stata costruita partendo da grandi centrocampisti. Gli aneddoti si sprecano. Questo perché ogni azione transita dalla zona mediana del campo, e controllare le operazioni a centrocampo significa avere il controllo della partita. Ecco perché inserire un giocatore di altissima qualità nella coppia di mediani che governa le operazioni rossoblù, significherebbe elevare il gioco di tutta la squadra.

Ismael Bennacer nasce ad Arles, in Francia, da padre marocchino e madre algerina, il primo dicembre 1997. Il suo primo approccio con il calcio italiano risale all’estate del 2017, quando l’Empoli, che milita in Serie B, lo preleva a titolo definitivo dall’Arsenal, dove non ha mai trovato spazio. Con l’avvento in panchina di Aurelio Andreazzoli pochi giorni prima di Natale, Bennacer si impone come uomo chiave del centrocampo azzurro.

Il nuovo tecnico costruisce il suo 4-3-1-2 su Bennacer, schierato come vertice basso del rombo, con delega alla regia. Nel primo anno ad Empoli vince il campionato di Serie B, conquistando la promozione nella massima categoria. L’anno successivo, nonostante la retrocessione dei toscani dopo una sola stagione in A, Bennacer si conferma il giocatore più importante della rosa, come testimonia l’unica partita saltata in campionato per squalifica. Ed è allora che il Milan bussa alla porta del presidente Corsi, con in mano un assegno da sedici milioni di euro.

Anche l’avventura rossonera è segnata da un avvicendamento in panchina. Dopo appena sette giornate Marco Giampaolo viene sollevato dalla guida tecnica, al suo posto si insedia Stefano Pioli. L’avvento del nuovo allenatore porta, anche in questa circostanza, ad un cambio di sistema, che però ottiene l’effetto opposto sulle prestazioni del centrocampista algerino, rispetto all’arrivo in corsa di Andreazzoli ad Empoli.

Pioli schiera il Milan con il 4-2-3-1 e Bennacer trova spazio nei due mediani, al fianco di Frank Kessié.

Passare da fare il vertice basso in un centrocampo a rombo, a giocare in coppia davanti alla difesa, è come passare dal ping pong al tennis. Improvvisamente scopri che il campo è enorme, e che se vuoi anche solo pensare di prenderne una devi correre da una parte all’altra.

Dopo un girone d’andata estremamente complicato, il Milan appare in ripresa con l’avvento dell’anno nuovo, seppur riportando risultati altalenanti. Poi accade l’impensabile, il mondo si rovescia. A causa dell’insorgere della pandemia da Covid-19 l’umanità si ferma, e con essa anche il calcio. Con la ripresa del campionato in estate, il Milan pare completamente rianimato dalla bella stagione; infila una striscia di dodici risultati utili consecutivi — 30 punti conquistati su 36 — che lo porta a concludere la stagione al sesto posto. Bennacer prende le misure alla nuova posizione in campo e si consacra come uno dei migliori registi del campionato, trovando anche il primo gol della carriera in Serie A, proprio nel 5-1 ai danni del Bologna.

Il primo motivo per cui Bennacer risulterebbe l’innesto ideale per il centrocampo rossoblù è la sua pertinenza tattica. Il Milan di Pioli interpreta il calcio nella maniera a cui Sinisa aspira, sia dal punto di vista dell’atteggiamento che da quello tattico — tanto che il sistema di gioco con cui le due formazioni hanno iniziato la stagione è il medesimo, finché le circostanze hanno portato Mihajlovic ad aggiungere un centrale. Ismael si trova ormai in un centrocampo a due come nel salotto di casa sua; conosce ogni zolla, ogni movimento e ogni situazione possibile. Sia che la difesa a cinque sia una toppa momentanea per corazzare la difesa in un momento di fragilità, sia che coincida con l’evoluzione permanente della squadra, il tandem di centrocampo pare oggi un punto fermo dello schieramento. E Bennacer impiegherebbe giusto il tempo di allacciarsi gli scarpini per prenderne le redini, adattandosi senza problemi a qualunque centrocampistadella rosa rossoblù gli venga affiancato.

La presenza di un regista risulta essenziale non soltanto nel momento in cui si tenta di dominare il gioco, ma anche quando si decide di arroccarsi nella propria trequarti e lasciare l’iniziativa all’avversario. Gestire una partita di rimessa è molto più faticoso di giocare all’arrembaggio, sia dal punto di vista atletico che mentale. Una squadra assediata in area di rigore è un pugile alle corde che si copre il viso con i guantoni e aspetta la sirena. Sente il dolore dei pugni ma non capisce da dove arrivino, ha male dappertutto, gli occhi gonfi e ciechi. L’unica speranza per il pugile alle corde è interrompere la valanga di colpi, contrattaccando l’avversario e costringendolo a difendersi per ottenere un momento di tregua.

Una formazione non può resistere all’infinito chiudendosi negli ultimi trenta metri. Con gli avversari sempre a ridosso della porta e i cross che grandinano a ripetizione, prendere gol è solo questione di tempo. Anche chi sceglie di fare una partita principalmente difensiva ha bisogno di tirare il fiato, di alzarsi, di mettere paura agli avversari. Se si gioca ad una porta sola non è più calcio, è un massacro. Proprio per questo, chi si difende, appena recupera il pallone non può sempre buttarlo via, curandosi solo di allontanare il pericolo, perché tempo mezzo minuto e sarà di nuovo lì. In questo scenario la figura di un organizzatore di gioco diventa imprescindibile. Ecco perché Mihajlovic lo ha chiesto in fase di mercato, e Bigon ha tentato di accontentarlo fino all’ultimo giorno.

Bennacer, schierato davanti ai tre difensori centrali, al fianco di Mattias Svanberg, interpreterebbe alla perfezione questa fase di gioco, che comprende l’immediato istante dopo la riconquista. Quando ci si difende non buttare quel pallone diventa importante per tutta la squadra: da una parte consente alla difesa di sistemarsi e di prendere fiato per non perdere lucidità, dall’altra consente di poter sfruttare gli spazi in contropiede. Con tutta la squadra avversaria sbilanciata in avanti c’è la possibilità, con pochi passaggi precisi in verticale, di lanciare un attaccante solo verso la porta. Un regista risulta ancora più necessario dal momento che, fra il roster di difensori a disposizione di Mihajlovic, non figura nessun interprete in grado di farsi carico dell’impostazione. Dal momento che non c’è il Bonucci della situazione, in grado di sventagliare a cinquanta metri sul movimento delle punte, il fosforo deve per forza trovare alloggio a centrocampo.

La dote più preziosa che il cambio di casacca di Bennacer porterebbe al Bologna, ancor prima del lancio in profondità a mettere in porta un attaccante, sarebbe la capacità di gestire i ritmi della squadra.

Ora il Bologna fa fatica a gestire i momenti di transizione, che riempiono una partita fra una fiammata e l’altra. Ci sono istanti in cui attacca e altri in cui difende, raramente gestisce.

Per trovare conferma basta riguardare la gara della Dacia Arena. Partita dominata da un Bologna in vantaggio prima di un uomo e poi di un gol, che non è riuscito a trovare il raddoppio che avrebbe ammazzato l’Udinese, che ha rischiato di subire il pareggio, poi lo ha subito davvero ad otto minuti dalla fine. Eccola, una partita che aspettava solo di finire 0-1. Con i friulani in dieci già nel primo tempo sarebbe bastato far girare meglio la palla che non l’avrebbero mai presa. Invece il Bologna fa fatica a narcotizzare il gioco; o attacca o subisce. Partendo dal presupposto che non è possibile attaccare per novanta minuti, viene di conseguenza che o impari a gestire oppure soffrirai sempre, anche se gli altri sono in dieci da un’ora.

A giocare sempre con il battito accelerato prima o poi l’errore capita, è inevitabile. Viene sempre più difficile gestire le situazioni in area — come quella sul campanile alzato da Ignacio Pussetto, un’azione che definire rocambolesca rappresenterebbe una stima per difetto. Il pericolo si annida in ogni deviazione, dietro ogni contrasto.

La stanchezza e la tensione non minano soltanto l’area di rigore di possibili insidie, ma contemporaneamente bagnano anche le polveri della propria artiglieria. Gli attaccanti, a forza di rimbalzare tra la pressione in fase di non possesso e assaltare a testa bassa la porta avversaria quando si ha il pallone, arrivano stremati all’ora di gioco. Di conseguenza la lucidità nelle giocate e la precisione sotto porta crollano; oltre ad aumentare la probabilità di infortuni.

Morale: per condurre in porto certe partite è necessario addormentare i ritmi palleggiando. Fare correre gli altri a vuoto e riposarsi con la palla. Intanto il cronometro scorre. Senza necessariamente cercare l’imbucata o forzare la giocata a tutti i costi per andare in porta; tenere semplicemente il pallone.

La crescita di una squadra passa inevitabilmente da qua. E per farlo serve qualcuno che guidi il possesso, che senta le pulsazioni della partita e capisca quando è necessario fare un giro in più dietro invece di verticalizzare.

Quando si debba semplicemente tirare il fiato per mettersi a posto senza rischiare niente. E che contemporaneamente, mentre dirige il traffico a centrocampo, abbia sempre lo sguardo volto in avanti, per cogliere lo spiraglio giusto in cui far passare il pallone e mandare in porta l’attaccante, rompendo il ritmo che lui stesso ha creato. Un direttore d’orchestra appunto. Come Bennacer.

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