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Bologna

A tu per tu con Mattia Signorini – 29 gen

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“Bologna per me è il ricordo degli anni universitari. Ho studiato a Padova, ma avevo lì metà degli amici. Era andare in macchina da una città all’altra come se dovessimo scappare da tutti i possibili futuri..”

La Bologna di Mattia Signorini, scrittore.

“Le fragili attese”, la sua ultima fatica, senza dimenticare l’esordio con Lontano da ogni cosa”, La sinfonia del tempo breve” (tradotta all’estero in Europa, Sudamerica e Israele), e Ora”, finalista al Premio Stresa.

“Scrivere, come leggere, è un po’ come fermarsi e tenere lontano il rumore di fondo. Credo che le nostre corse continue ci stiano portando sempre più lontano dal capire chi siamo veramente”.

 

Una corsa continua, come quella delle 11 pedine sul terreno di gioco. Dalla corsa all’attesa del prossimo match (quello con la Sampdoria per il Bfc). Il calcio come metafora di vita per molti, vale anche per la scrittura a tuo avviso?

“Non seguo particolarmente il calcio ma un mito intramontabile per me è Roberto Baggio, che – tra l’altro – ha vestito anche la maglia rossoblù. È rimasto un campione nonostante abbia giocato tutta la vita col menisco della gamba destra distrutto. Noi non vedevamo il suo dolore, vedevamo il campione. Quando mi trovo di fronte a qualche difficoltà, nello scrivere o nella vita, penso spesso a lui. Non importa se sbagli un rigore in una finale mondiale, non importa sempre vincere. Quello che conta è portare a termine le cose con grande dignità, anche se non siamo fuoriclasse come lui”.

 

“In un mondo veloce, leggere è una dichiarazione di lentezza”. Come è sfociata la voglia di produrre “Le fragili attese”, tua ultima fatica, e cosa desideri trasmettere con essa?

“Quando inizio a scrivere un romanzo non penso a un significato da far arrivare a qualcuno. Sono solo io in una stanzetta davanti al computer. Ho una storia e delle persone che si muovono in quella storia. Cerco di capire dove andranno, quali sono le cose che non dicono a nessuno e cosa significano per loro. Li osservo e mi impegno a non giudicarli. Il mercato spesso risponde ‘alla dura legge del gol’, ma in quella stanzetta, prima di tutto, conta il duro lavoro”.

 

“Parte tutto da una storia. Le storie, spesso, ci capitano. E ogni tanto ci capita anche di volerle scrivere”. Fondare una scuola di scrittura creativa e narrazione, perchè?

“Quando vivevo a Milano facevo il talent scout per un’agenzia letteraria. Arrivavano più di mille libri all’anno. Ne sceglievo alcuni e lavoravo con gli autori. Nei quattro anni che sono stato là quasi tutti i libri in cui ho creduto sono stati pubblicati da editori importanti. Così, quando ho deciso di tornare a vivere in provincia, Vicki Satlow – titolare dell’agenzia nonché  mia agente – mi ha detto: “Non puoi buttare via tutto questo lavoro”. È nata così la scuola Palomar. Pochi studenti ogni anno che vengono da tutta Italia. Siamo un’officina, ci crediamo tantissimo. A ottobre è uscita la nostra prima studentessa per Mondadori, la seconda uscirà in aprile per Rizzoli, e abbiamo appena finito di lavorare su altri libri di grande valore che sono sicuro troveranno presto la via della pubblicazione”.

 

Leggere per scrivere … quali letture suggeriresti?

“Il Maestro e Margherita, Stoner, Revolutionary Road, Le correzioni, Pastorale americana. Questi sono alcuni dei titoli che ho amato molto e che torno a rileggere”.

 

Creare la musicalità delle parole; facile a dirsi difficile a farsi.

“Forse questo non può insegnarlo nessuno. È come se nella testa si formasse una musica, qualcosa che va al di là del significato delle parole che stai scrivendo”.

 

Per migliorare e potenziare la propria scrittura, oltre a leggere tanto, si deve…? La palestra dello scrittore è…?

“Tanto quanto leggere è importante lavorare su se stessi per tenere la mente aperta a tutto quello che è diverso da noi, dalle nostre abitudini. Osservare senza esprimere giudizi, farlo solo quando siamo andati davvero a fondo. Vale per le persone, ma anche per la realtà sociale e politica che ci circonda. L’adesione cieca all’una o all’altra bandiera è ciò che ci toglie unicità trasformandoci in gregge”.

 

Farsi leggere per crescere; quanto conta?

“Conta saper accettare le critiche. Quando un libro finisce nelle librerie dobbiamo accettare che possa piacere o non piacere. E che ogni giudizio positivo o negativo non ha a che fare con la persona che lo ha scritto. Pubblicare libri è anche un lavoro interiore sul distacco dalle cose, o almeno questo è quello che ho imparato”.

 

Quanto sei autocritico con te stesso? E quanto conta esserlo per uno scrittore?

“Non mi innamoro di quello che scrivo. Basta entrare in qualsiasi libreria per rendersi conto che ogni scrittore è un puntino sulla mappa. Una mappa nemmeno tanto grande poi, visto che in Italia i lettori sono meno della metà della popolazione. Il consiglio più grande me l’ha dato Muriel Barbery. Ci stavamo scrivendo proprio su questo e lei mi ha detto più o meno: “Scrivi per te, non per i lettori. Quello che succederà quando il tuo libro sarà in libreria non è più affar tuo”.

 

Scrivere un romanzo, perchè? Tu ne hai prodotti quattro di successo; quali sono gli ingredienti essenziali per renderli di qualità?

“È molto difficile dirlo. Non c’è un ricettario con segnati gli ingredienti. Mentre stai scrivendo non hai idea di cosa verrà fuori. Sei solo tu e la tua storia, non pensi ad altro”.

 

Alla fine della fiera ci si guadagna con questo mestiere?

“C’è chi guadagna bene, chi per niente e chi sta nel mezzo, come succede per tutti i lavori”.

 

La tua scrittura si ispira a….?

“Guardo molto a scrittori come Buzzati per il realismo magico di cui pulsano i suoi romanzi, i racconti e gli stessi articoli che scriveva per il Corriere della Sera. Calvino per l’essenzialità nella forma. E poi gli americani contemporanei come Franzen, Roth, Auster, Barnes per la capacità di andare a fondo”.

 

Trovi maggiore ispirazione nelle piccole o nelle grandi cose?

“Prendo quello che la vita mi porta, grande o piccola che sia”.

 

Segreti per rimanere concentrati quando si scrive?

“L’ho capito tardi, ma andare a letto presto e svegliarti presto ti rende molto lucido. Una volta scrivevo di notte, adesso lo faccio con la luce”.

 

Sei un solitario, che spesso parte, anche all’ultimo momento, per “conoscersi”. Cosa hai scoperto di nuovo di te?

“Più che un solitario sono uno che ha bisogno ‘anche’ di solitudine. Mi serve per ricaricare le pile, mi aiuta a conoscermi meglio. Quello che siamo è sempre in movimento. A volte crediamo di mettere un punto su noi stessi e invece era solo una virgola. La frase non finisce mai”.

 

La cosa che maggiormente ti fa sentire ‘vivo’?

Ridere insieme a qualcuno con la pancia che fa male come quando avevo otto anni”.

Dulcis in fundo, tre righe che parlano di te

Ho scelto da qualche anno di vivere in provincia. Abito in una casa vicino all’argine di un fiume, frequento gli amici di sempre e ogni tanto scrivo dei romanzi. Credo stia tutto lì”. 

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