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Bologna

A tu per tu con Giovanni Gabrielli – 11 set

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Questa settimana, la nostra inviata, Valentina Cristiani, ha incontrato Giovanni Gabrielli, uno dei primi mental coach italiani. Giovanni, che lo scorso anno, negli ultimi due mesi di campionato ha collaborato col Bfc, si è formato in Inghilterra e negli Stati Uniti, arrivando ad ottenere la certificazione internazionale di sport performance licensed  coach. Ha inoltre ideato un innovativo modello di coaching, l’instantaneous coaching 3.0, che permette, attraverso brevissime sessioni di coaching one to one, di lavorare su un unico aspetto mentale alla volta. L’ottenimento di risultati è di efficacia notevole. Attualmente collabora con uno staff tecnico calcistico di seria A, con alcuni calciatori professionisti di A e sta seguendo  un progetto giovanile sui talenti della pallavolo femminile, oltre ad essere docente alla scuola tecnici federali della Federazione italiana sport invernali sui temi del linguaggio di attivazione, comunicazione di precisione, motivazione e sviluppo leadership e carisma.

 

Giovanni, non è iniziato col piede giusto il cammino del Bologna in serie B. Eliminato in Coppa Italia, ha faticato più del previsto con le neopromosse Perugia ed Entella racimolando solo un punto in classifica. E’ un problema mentale?

L’inizio del campionato del Bologna FC non è stato certo esaltante, da più parti è iniziato un dibattito per individuare le responsabilità di questa situazione e, di volta in volta, vengono alla luce varie ipotesi:

–         è un problema atletico: i giocatori non corrono

–         è un problema mentale: in allenamento sono super ma in partita si spengono

–         è un problema di autostima

–         è un problema di amalgama qualitativa dei giocatori

–         è un problema di adattamento alla categoria

–         è un problema di clima negativo che si trascina dallo scorso campionato e che impatta sulla squadra

–         è un problema societario, le voci della cessione non favoriscono  la concentrazione

Tutte considerazioni che possono apparire logiche mettendo a frutto la mia esperienza di mental coach sportivo e l’esperienza diretta avuta negli ultimi due mesi dello scorso campionato nel Bologna di allora. Vorrei fare il punto della situazione dal punto di vista mentale senza entrare in considerazioni tecniche che non mi competono.

 

Problema mentale, appunto. Perché i giocatori in allenamento vanno e in partita no?

L’allenamento e la partita sono due momenti che poco hanno  in comune dal punto di vista mentale: in allenamento si allenano i gesti atletici, si definiscono le strategie e le tattiche, si può lavorare sulla costruzione di un assetto mentale utile in partita, ma l’allenamento non è la partita. Esiste una formula che definisce il risultato agonistico:

risultato = prestazione in gara x cause esterne (avversari, pubblico, clima, tifosi e loro reazioni all’andamento della gara, condizioni del campo, presenza arbitri, … )

La squadra può  definire e controllare la propria prestazione durante la gara, ma non può controllare i fattori esterni che hanno un impatto reale sul risultato finale. In allenamento si lavora sull’attivazione di ciò che serve per ottenere una prestazione di livello, ma non si può lavorare sulle cause esterne che, specialmente nel calcio, sono situazionali (variano di volta in volta.  Essendo il calcio uno sport di contatto, fondamentalmente l’attivazione mentale che si ha in allenamento è completamente diversa rispetto alla gara (es. un compagno che si finge in allenamento un avversario non è mai un avversario vero).

 

In che senso, parli di un problema di autostima?

Si fa un gran parlare di autostima spesso equivocandone il significato. L’autostima di squadra non esiste in realtà, esiste l’autostima dei singoli che a volte si può sommare. L’autostima è la percezione soggettiva del  proprio valore rispetto agli avversari, possiamo affermare che in questo momento ci siano livelli di autostima differenti, bassa per chi si trascina ancora i postumi della retrocessione, alta per chi è sicuro del proprio valore nella categoria, in sviluppo per chi è  nuovo e poco esperto della categoria.

 

Com’è l’autostima del Bfc?

Se vogliamo giocare con le parole, anche se non è così corretto, l’autostima del Bologna FC come società (squadra, staff, dirigenza) non è sicuramente quella di una squadra che deve ritornare in seria A in tempi brevi, troppe sono le variabili aperti, in ritiro (senza avversari) era sicuramente alta: siamo il Bologna…. Poi dopo i primi risultati negativi si è sicuramente abbassata generando  confusione e apnea mentale…

 

Cosa è cambiato dall’anno scorso ?

Ci sono numerose variabili che possono contribuire allo stato mentale dei singoli e quindi al loro sviluppo prestazionale in partita:

a) una squadra essenzialmente nuova, con giocatori sia di esperienza di categoria sia non esperti della stessa (solo quattro di essi hanno una solida esperienza della B, gli altri o la hanno appena sfiorata o è la prima volta che giocano in questa difficile categoria o vengono da una retrocessione disastrosa)

b) uno staff tecnico con persone che non ha una grossa familiarità tra loro, ma che sta imparando a conoscersi

c) la presenza di alcuni giocatori di esperienza che hanno avuto un vissuto negativo lo scorso anno e che adesso vivono una situazione non chiara (Pazienza, Acquafresca,..) e che, anche non volendo, appesantiscono le dinamiche mentali generali.

Altri importanti aspetti che vanno sicuramente ad impattare sulla reattività mentale dei singoli e delle squadra  sono:

1) la mancanza di un progetto agonistico evidente, quindi la mancanza di obiettivi a breve, medio e lungo termine

2) la mancanza di un obiettivo definitore realmente condiviso. Tra i tifosi e forse anche nella società e nella squadra si è sviluppato un pensiero relativo al possibile immediato ritorno in serie A, questo non è un obiettivo ma può essere il sogno. Questa dinamica ha fatto si che dopo solo due partite si cominci a mettere in discussione la squadra, l’allenatore, il direttore sportivo, si cominci a parlare di serie C. Tutto questo non aiuta lo sviluppo di autostima positiva, anzi si rischia di generare un vissuto negativo che potrebbe legare quello negativo dello scorso anno a questo attuale e consolidarlo.

 

Quale dovrebbe essere un progetto di risalita?

A mio avviso questo:

–         definizione di un progetto quali-quantitativo almeno triennale

–         definizione obiettivo a tre anni

–         definizione obiettivo annuale

–         definizione obiettivi a breve termine (campagna acquisti, ritiro, ecc,)

–         scelta dello staff più idoneo e coerente a questo progetto

–         bilancio qualitativo dei giocatori in essere (ciò che abbiamo e ciò che ci manca)

–         reperimento dei giocatori coerenti con il progetto

In questo modo si sarebbe evitato l’errore che si sta facendo adesso.

 

Quale errore?

Quello di giudicare la squadra dopo ogni partita in relazione ad un ipotetico obiettivo di immediata risalita, questo ha generato uno stato non funzionale nel vissuto dei giocatori, dello staff e dei tifosi contribuendo ad attivare attorno alla squadra e dentro alla squadra un clima preoccupato, colpevolista e pessimista che ha mandato già in difficoltà tutti. Si lavora sotto una cappa di urgenza, che  non permette un approccio ai problemi utile e realmente funzionale.

 

Dopo Diamanti è stato risolto il problema leadership?

No, a mio parere non è stato risolto il problema della leadership: manca un vero leader in campo, una figura che possa guidare anche lo stato mentale della squadra in partita. Questo è uno degli aspetti (unito alla mancanza di un progetto) più impattanti sulla situazione attuale. E il problema della leadership in campo e fuori è un problema che ha avuto un impatto notevole nel risultato negativo dello scorso anno. Sono convinto che se l’anno scorso la squadra avesse avuto un reale leader in campo, che  la prendesse per mano nei momenti di difficolta, la squadra sarebbe ancora in serie A.


Cosa pensi del campionato di serie B che il Bologna sta affrontando e dell’eventuale cambio di proprietà?

Il campionato di B è lungo, riserva sempre sorprese. Continuare a giudicare la squadra di partita in partita con queste condizioni è un errore da evitare, cosi come bisogna evitare di pensare che con l’eventuale cambio di proprietà tutti i problemi  potrebbero venire risolti, nessuno ha la bacchetta  magica.

 

In conclusione. I consigli del mental coach Giovanni Gabrielli?

Per concludere occorrerebbe definire subito un obiettivo reale, dare tempo alla squadra di amalgamarsi,(per creare un gruppo serve essenzialmente una sola cosa: condividere vittorie, un gruppo non sin crea mai sulle sconfitte), di tempo ne abbiamo , 40 partite, nulla e’ deciso e nulla e’ compromesso.

 

 

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