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Carspillar – Alfa Romeo P3 Aerodinamica, regina per un giorno

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Monoposto col cavallino

Per mantenersi ai vertici delle competizioni internazionali, l’Alfa Romeo diede vita nel 1931 alla sua prima monoposto, la Tipo A, conquistando la vittoria alla Coppa Acerbo. Seppur potentissima, la “A” era molto critica (vi perse la vita Arcangeli a Monza) ed estremamente complessa (era dotata di due motori con rispettivi cambi). Ben presto fu accantonata in favore di una nuova vettura che univa i pregi della monoposto con quelli dell’affidabile 8C 2300 Monza. Nacque così la Tipo B, più nota come P3, il nome non ufficiale con cui gli appassionati la ricollegarono alla P2 vincitrice del primo mondiale automobilistico. La P3 fu immediatamente dominatrice, ma l’avanzata dei marchi tedeschi ne mise a rischio la supremazia. Nonostante il marchio del Biscione fosse più milanese del panettone, il suo braccio sportivo era ben radicato nella Motor Valley: si trattava della Scuderia Ferrari che a Modena, sotto la guida di patron Enzo, preparò un’arma per controbattere la potenza teutonica: la P3 Aerodinamica.

Il posto guida parzialmente carenato della P3 Aerodinamica (Foto AutoMotorFargio)

Un gioiello di motore

Progettata dal campione tra i tecnici dell’epoca, il leggendario Vittorio Jano, la P3 vedeva nel propulsore uno dei punti di forza. Si trattava di un 8 cilindri in linea bialbero sovralimentato da 2654 cc (alesaggio x corsa: 65 x 100 mm) ottenuto aumentando la cilindrata del 2300 installato sulla Monza. Realizzato in lega leggera, per limitare le torsioni di albero motore e alberi a camme adottava uno schema biblocco. I cilindri erano separati in due blocchi da quattro, ciascuno con organi propri legati dagli ingranaggi di distribuzione posti centralmente. Questi ultimi comandavano anche i due compressori volumetrici Roots a lobi posti sul lato sinistro, mentre due carburatori Weber monocorpo completavano il sistema di alimentazione. Accensione a magnete, lubrificazione a carter secco e raffreddamento ad acqua erano le altre armi a disposizione per un “cuore” capace di sviluppare 215 CV a 5600 giri/minuto.

Meccanica all’avanguardia

Il sistema di trasmissione era costituito da frizione multidisco, cambio a 4 rapporti e differenziale in blocco con il propulsore. Originalissimo lo schema studiato da Jano: con il differenziale posto in uscita dalla scatola del cambio, due semiassi obliqui trasmettevano il movimento alle ruote posteriori attraverso altrettante coppie coniche. Questa disposizione triangolare, unita alle sospensioni ad assale rigido con balestre semiellittiche e ammortizzatori a frizione raddoppiati sul retrotreno, permise di ridurre il tipico sovrasterzo delle vetture di quegli anni migliorando la maneggevolezza. Completava la scheda tecnica il sistema frenante con tamburi a comando meccanico sulle quattro ruote. Con un peso di soli 680 chilogrammi ed una carrozzeria ridotta a semplice carenatura della meccanica, la P3 era capace di spingersi a 225 Km/h.

L’ Alfa Romeo P3 Aerodinamica nella vista anteriore (Foto AutoMotorFargio)

Per andare più veloce

Il nuovo regolamento varato per il 1934 prevedeva un incremento del peso massimo a 750 chilogrammi, cilindrata massima libera e larghezza massima della carrozzeria di almeno 850 millimetri. Tali norme aprirono la strada all’avanzata di Mercedes ed Auto Union, spinte dai Marchi del neo-insediato governo nazista. In Alfa Romeo si reagì evolvendo la P3: la carrozzeria venne allargata, il peso aumentato al limite regolamentare e il cambio venne irrobustito nell’ingranaggeria eliminando al contempo la prima marcia. Sul motore l’aumento dell’alesaggio a 68 mm portò la cilindrata a 2905 cc per ottenere una potenza di 255 CV a 5400 giri/minuto. Un poker di vittorie in avvio di stagione (Monaco, Alessandria, Tripoli e Targa Florio) sembrava confermare la bontà delle soluzioni adottate, ma i tecnici erano consapevoli che non sarebbe stato sufficiente: serviva rendere più veloce la P3. Fu allora che Cesare Pallavicino, ingegnere aeronautico della Breda, studiò una carrozzeria alternativa. Caratterizzata da una lunga coda sovrastata da una pinna dietro la testa del pilota, la nuova veste prevedeva carenature per gli organi delle sospensioni e i bracci sterzo, un cofano motore dalla generosa bombatura che si prolungava ricoprendo il volante e dei caratteristici profili a goccia posti dietro le ruote. In assenza di gallerie del vento, gli studi aerodinamici erano largamente empirici e la messa a punto della “P3 Aerodinamica” venne svolta in sessioni di prove sull’autostrada Milano-Laghi.

La profilatissima carrozzeria della P3 Aerodinamica nella vista posteriore (Foto AutoMotorFargio)

A casa loro

Nata per competere sui tracciati più veloci, l’ “Aerodinamica” venne portata in gara al “IV Internationales AVUS-Rennen 1934”, la gara organizzata sull’omonimo circuito berlinese costituito da due rettilinei autostradali affiancati e raccordati da due tornanti. Al volante sedeva l’astro nascente della squadra, il franco algerino Guy Moll già vincente a Monaco. Il resto è storia. Dopo la sfuriata iniziale di Von Stuck, appiedato dalla frizione della sua Auto Union, Moll aumentò il ritmo sull’asfalto sempre più asciutto conquistando la vittoria con un minuto e mezzo di vantaggio sul primo inseguitore, il compagno di squadra Varzi. Le P3 in versione classica avrebbero conquistato un’altra storica tripletta in Francia prima che sui gran premi scendesse il dominio delle frecce d’argento tedesche, mentre la carriera di Moll finì bruscamente il 15 agosto dello stesso anno in un fatale incidente alla Coppa Acerbo. Ma l’affermazione in Germania avrebbe cristallizzato per sempre l’immagine vincente della P3 Aerodinamica, legata a doppio filo col sorriso di un giovane pilota che non raggiunse mai i trionfi che il suo talento sembrava riservargli.

Von Stuck con l’Auto Union all’AVUS nel 1934 in un raro filmato (GERMAN HISTORY ARCHIVE su YouTube)

 

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