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I racconti del commissario – Giunti, un assurdo finale

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GeminiModelcars


Una notizia dall’Argentina

Domenica 10 gennaio 1971, 14,40 in Italia. Il telex di conferma arriva solo a quell’ora. Il pilota della Ferrari Ignazio Giunti è morto alla 1000 Chilometri di Buenos Aires, prima prova del mondiale sport-prototipi. Siamo ben lontani dall’era dei social e delle dirette, le informazioni sono frammentarie e solo in serata “La Domenica Sportiva” mostra le immagini appena giunte dal Sudamerica, mentre Autosprint esce con una copertina in bianco e nero indicando le responsabilità della tragedia. Ma cosa è successo davvero in Argentina?

Una Matra in riserva

La gara è attesa per il confronto tra le sport con motori da 5000 cc (Porsche e Ferrari private) ed i prototipi di cilindrata 3000 come Alfa Romeo, Matra e Ferrari 312P. In particolare quest’ultima, iscritta per Giunti e Merzario, è la vera rivelazione. Seconda in prova, in gara va in testa potendo rifornire dopo le sport 5000. Medesima strategia per la Matra di Jean Pierre Beltoise, ma sulla biposto francese qualcosa non va. Alla penultima curva del trentacinquesimo giro, il lungo tornante “Horquilla”, la 660 ammutolisce: il serbatoio è vuoto e l’inserimento della riserva è inutile. Solo l’ultima velocissima piega a sinistra separa il prototipo dall’ingresso box, dove è atteso al rifornimento. Il pilota non ci pensa due volte e spinge la vettura verso la corsia di rientro, ma è dalla parte opposta con la pendenza a suo sfavore. Può solo scendere, spingere un po’ la vettura, quindi inserire la marcia per bloccarla mentre gira lo sterzo, sbloccarla e spingerla nuovamente ripetendo l’operazione dopo qualche decina di metri. Il tutto tagliando la pista in una curva da 200 km/h.

In mezzo al curvone

Il regolamento vieta una manovra del genere, ma il transalpino insiste. Nel frattempo passano quasi cinque minuti (cioè circa 3 giri) in cui gli altri piloti sfiorano ad alta velocità la Matra, spinta da Jean Pierre fino a metà dell’ultima curva. Tutti lo hanno visto almeno due volte tranne Giunti: Ignazio era subito davanti alla biposto blu quando si è fermata ed è transitato solo una volta. Quando sta per iniziare il trentottesimo giro due Ferrari vicinissime tra loro piombano sulla vettura ferma. La prima è la 512M di Mike Parkes che copre la visuale alla seconda, la piccola 312P di Giunti. L’inglese vede l’ostacolo e passa nello stretto varco a sinistra, evitando l’impatto per pochi centimetri. Ignazio segue la stessa traiettoria ma con conseguenze devastanti: colpisce in piena velocità la biposto francese ed i vapori della benzina provocano un’istantanea esplosione. La Ferrari è demolita sul lato guida con il pilota esanime tra le fiamme, mentre la Matra è schizzata verso i box. Dopo 32” arriva il primo estintore, dopo 65” gli schiumogeni sono in azione e Giunti è caricato in ambulanza, ma non ci sarà nulla da fare. Beltoise è salvo solo grazie all’ultima correzione di sterzo ed attraversa la pista sotto shock per raggiungere i box. La gara è sospesa.

Una ricostruzione digitale dell’incidente di Buenos Aires (sagitt76 su YouTube)

Gialle si o no?

Immediatamente si sollevano le accuse a Beltoise, additato come unico colpevole per la sua manovra folle e vietata. Ma emergono altri interrogativi. La direzione afferma che i commissari della “Horquilla” sventolavano le bandiere gialle ed uno di loro incitava il francese a spostarsi fuori pista, ma il passaggio continuo delle altre vetture gli impediva di raggiungere la Matra. Tuttavia due piloti oltre a Beltoise, ovvero Pairetti e Rodriguez, negano la presenza di bandiere o tentativi di intervento. Parkes non chiarisce perché sia passato sulla sinistra quando a destra la pista era completamente libera. Il direttore di corsa si limita a descrivere la tragedia come conseguenza di casualità. Si tratta un monumento vivente di nome Juan Manuel Fangio. Nel frattempo, nella calca dei curiosi, uno spettatore è precipitato della terrazza sopra i box morendo sul colpo. L’immagine di Jean Pierre stravolto in pit lane con il cadavere alle sue spalle è l’immagine simbolo del dramma. Nonostante tutto la gara riparte ed un altro pilota, Rouveyran, spinge la sua Lola proprio come Beltoise. Ovviamente nessuno interviene.

 

Il senso di tutto

La tragedia mise in luce i limiti organizzativi delle gare anni Settanta, gestite spesso da volontari improvvisati e non da ufficiali di gara professionalmente preparati. La Safety Car era fantascienza all’americana, come tutti i sistemi di neutralizzazione delle gare codificati negli anni per favorire gli interventi in pista. Quanto accaduto a Buenos Aires si risolse con una semplice sospensione mensile alla licenza di Beltoise, rientrato in gara all’inizio della stagione europea. Il pilota francese si sarebbe poi impegnato per la sicurezza in pista e sulla strada, inaugurando un centro di guida sicura e dando vita al circuito di Haute Saintonge «per l’educazione di tutti alla buona guida cittadina». Per troppi tuttavia il suo nome resta legato al dramma di Buenos Aires. A dare un senso all’azione di Jean Pierre ci sono volute le parole di Merzario, compagno di Giunti e testimone oculare. Secondo “l’Arturo” il pilota francese fece solo quanto ogni pilota dell’epoca avrebbe fatto: tentare di riportare la vettura ai box ad ogni costo, come richiesto da tutte le squadre. Ma la spiegazione è giunta dopo cinque decenni e Jean Pierre non lo sa, perché ci ha lasciato nel 2015. Chissà se lui, Ignazio e Mike non abbiano potuto finalmente capirsi come solo i piloti sanno fare.

 

 

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