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Due parole sull’Italia che castiga la Serbia

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foto FIBA


L’entusiasmo che necessariamente si è generato in tutti i veri appassionati di pallacanestro italiani con la vittoria sulla Serbia ad Eurobasket non può esimere da una serie di constatazioni su quella che ancora una volta, come lo scorso anno, può essere considerata un’impresa, sebbene quella passata sia stata più decisiva, visto che garantì alla nazionale italiana lo storico ritorno alle Olimpiadi (onorate, poi, nel migliore dei modi possibili).

Ripeto, che si tratti di una impresa non ci sono dubbi, se non altro perché di fronte – a differenza di un anno fa – l’Italia si è trovata Nikola Jokic, fresco MVP della NBA, giocatore al limite dell’irreale, come ha dimostrato in taluni momenti anche ieri. L’intero roster serbo peraltro sulla carta ha un che di spaventoso, se non fosse che ancora una volta si è confermata la teoria di Sergio Tavcar sullo straordinario complesso di superiorità che affligge quelli che ritengono di essere una sorta di popolo eletto: questo, se da un lato permette ai serbi di non avvertire pressione psicologica nei momenti chiave, dall’altro (come ben sanno i tifosi virtussini per averne potuto constatare il carattere nella bella Segafredo di Djordjevic, Teodosic e Markovic) rischia di farli cadere nella sottovalutazione dell’avversario, esponendosi a pessime figure quando quest’ultimo gioca forse al di sopra delle proprie possibilità (chi si ricorda di Virtus-Cremona?). Ieri sera la nazionale italiana si è prodotta, almeno nel secondo tempo, in un gioco stellare ove l’equilibrio attacco-difesa è parso al limite della perfezione, dopo un primo tempo in cui aveva saputo reagire alle fiammate slave con strepitoso carattere. Melli ha tenuto il confronto con il Goldrake dei Denver Nuggets, Fontecchio ha confermato di meritare un ruolo da protagonista Otreoceano, Spissu ha ribadito di avere le stimmate del vincente, Tonut e Polonara di non temere questi confronti, Pajola, beh, che dire di un ragazzo che a 22 anni ha giocato da protagonista più finali della maggior parte degli ultratrentenni in LBA, stranieri compresi, e il cui plus/minus è sempre tra i migliori della squadra? Con Datome si formano i Magnifici Sette, cui aggiungere giocatori che stanno dando comunque il meglio di sé, quali Ricci, Biligha, mentre dalle rotazioni importanti, rispetto all’anno passato, è progressivamente uscito Nico Mannion, e su questo è lui il primo a doversi interrogare, anche nella prospettiva del ritorno in Virtus. Di là, vedere soccombere in quel Jokic, Milic, Kalinic, Milutinov e compagni lascia quasi interdetti, ma si è visto chiaramente come dopo l’espulsione di Pozzecco avessero in sostanza ritenuto la gara una pratica pressoché archiviata. Invece, Spissu ha suonato la riscossa con le sue triple, mentre i Serbi smettevano di piegarsi sulle ginocchia e cominciavano ad esporsi all’onta della sconfitta.

È un caso che la gara sia svoltata con l’uscita dal campo di Pozzecco? Per certi aspetti sì, ma non completamente. Se da un lato è sembrato che Spissu ne stesse facendo un caso personale, per l’affetto che lo lega al coach, dall’atro allontanare l’esagitazione di quest’ultimo dal parquet ha certamente dato serenità a ragazzi che non avevano più alcunché da perdere ma anche attributi taurini. Sinceramente, ieri sera abbiamo rivisto la nazionale di Sacchetti, più di quella del Poz, e rivissuto analoghe emozioni. A conti fatti, il gruppo è quello costituito nel tempo da Meo, e in fondo quando gioca bene si riconosce la sua impronta tecnica: grossa pressione difensiva, veloci transizioni, rapidi scarichi sui tiri dall’arco, il tutto arricchito dal lusso di un Melli ai massimi della sua carriera, fin qui. Pozzecco è certamente bravissimo a tenere insieme il gruppo, a motivarlo, ma adesso sta visibilmente esagerando. Non è tecnicamente accettabile la ridda di sanzioni alle quali si espone e le scene di ieri prima ma soprattutto dopo l’espulsione gioveranno molto allo spettacolo, ma sfiorano il circense e alla lunga rischiano di diventare un peso non indifferente da sopportare per la squadra. Qui non si tratta di essere perbenisti, ma la conduzione dei time out, le scelte nelle rotazioni, il controllo dei momenti topici sono elementi tecnici delle gare, non possono essere gestiti come alla play station o da ultrà. Magari per la crescita mediatica potranno rivelarsi utili queste cose, però…

Ecco, sulla gestione mediatica si sarebbe poi tanto da dire. Ieri una meravigliosa nazionale di volley ha vinto il Mondiale in diretta su RaiUno in prima serata di domenica, davanti a milioni di italiani. Sappiamo già che anche dovesse andare in finale la nazionale di basket verrà vista su reti a pagamento da centinaia di migliaia di tifosi. Poi, ci si meraviglia se faticano ad arrivare gli sponsor giusti per la crescita del movimento, continuando a preferire le briciole subito invece della possibile torta domani. Anche questo è tanto italiano.

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