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7 Giugno 1964 – “Storia RossoBlù dalla nascita fino all’ultimo scudetto” – 1 Giu

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47 – Giacomino, la bandiera mai ammainata

«Onorevole Giacomino, salute!». L’urlo arrivava gracchiante e perentorio dal megafono di Gino Villani, indimenticato supertifoso rossoblù piazzato come sempre sotto la torre di Maratona. E in mezzo al campo l’onorevole Giacomino, al secolo Giacomo Bulgarelli, salutava con un cenno della mano. Era il segnale. La partita poteva cominciare.

 

Quel simbolo del Bologna e di Bologna se ne è andato ormai da cinque anni. Troppo presto. Ci ha lasciato le gesta, i numeri, la classe. Dentro e fuori dal campo. E la signorilità, l’ironia, il sorriso elegante e lo sguardo acuto di un uomo che ha vissuto un calcio intriso di valori veri, profondi. Di un campione che, come Angelo Schiavio, è rimasto fedele ai colori rossoblù per una vita, anche e soprattutto quando avrebbe potuto levare le tende, in cerca di nuovi stimoli e nuovi successi.

 

Giacomo Bulgarelli arrivò a Bologna da Portonovo di Medicina, un ragazzino dai modi gentili che studiava al San Luigi e avrebbe anche continuato a frequentare Giurisprudenza, se il mondo del calcio non lo avesse rapito come sempre fa con i talenti purissimi. Stefano Mike, che abitava dalle parti dei campi del Dopolavoro Ferroviario in via Serlio, e ogni tanto andava a dare un’occhiata ai talenti in sboccio del calcio bolognese, lo notò subito e lo segnalò a Guyia Lelovich, che dopo aver guidato anche la prima squadra (al primo successo internazionale, tra l’altro, molti anni prima), ai giovani del Bologna dedicava i suoi insegnamenti. Fu così che tra i suoi allievi approdò anche quel ragazzo magro, apparentemente gracile, che fece strada in fretta perché aveva una marcia in più.

 

Alfredo Foni lo fece debuttare in prima squadra il 19 aprile del ’59, non ancora diciannovenne. Nel ’60 era nella Nazionale Olimpica di Viani e Rocco, quella che perse al sorteggio il passaggio in finale dopo il pari con la Jugoslavia, insieme a ragazzi che si chiamavano Rivera e Trapattoni.

Tornato a Bologna, incrociò la strada di Fulvio Bernardini e fu la consacrazione. Fu il Dottore a inventargli quel ruolo di mezzala trequartista che gli aprì gli orizzonti, e la strada per la Nazionale. Altro cambio di ruolo, in rossoblù, con l’arrivo di Haller: fantasista il tedesco, regista con compiti d’interdizione Giacomino, così in vantaggio sulla sua epoca. Intorno a lui Bernardini costruì la squadra dei sogni, il Bologna che giocava come si gioca solo in Paradiso e in virtù di quel talento corale andò a prendersi quell’ultimo scudetto della sua gloriosa bacheca, nello spareggio contro l’Inter giocato con il dolore e la rabbia nel cuore appena dopo la morte del presidente Dall’Ara, il 7 giugno 1964 all’Olimpico.

 

Poi, fu semplicemente “il Bulgaro”. O l’onorevole Giacomino, appunto. Una vita di calcio vissuta da bandiera rossoblù. Oltre a quello scudetto, con i colori del suo Bologna avrebbe vinto una Mitropa, una Coppa di Lega italo-inglese e due Coppe Italia. Poco, per un giocatore del suo carisma e del suo talento. Ma a lui è sempre andata bene così. Gli piaceva essere il simbolo del calcio nella sua città e nella squadra che amava. Avrebbe potuto cambiare aria. Lo cercarono in tanti, e più di una volta. La più clamorosa all’inizio degli anni Settanta, quando il presidente Raimondo Venturi era ormai deciso a cederlo al Milan e solo il netto rifiuto di Mondino Fabbri e la rabbia montante della tifoseria scongiurarono l’operazione. Anche Giacomo, in effetti, ci mise del suo. «Rocco mi voleva già dai tempi del Padova», raccontava. «Tornò alla carica per farmi giocare in coppia con Rivera. Quanto ci pensai su? Soltanto un attimo, poi consigliai Fogli. A dirla tutta, anche mia moglie fu fondamentale, per la scelta. Cosa ci trasferiamo a fare, mi disse, la nostra vita è qui. E aveva ragione».

 

Villani continuò a urlare quel saluto nel suo megafono, l’onorevole Giacomino continuò a scendere in campo accanto a nuovi idoli (Bellugi, Liguori, Savoldi) fino alla soglia dei trentacinque. Cambiò ancora ruolo, si inventò anche libero in pieno accordo col “Petisso” Pesaola. Chiuse il 4 maggio 1975 quella sua lunga vita in rossoblù. Dopo 392 partite e 43 reti, una prova di forza e di fede, di attaccamento ai colori. «Avrei voluto arrivare a quota 400, ma le ginocchia erano quello che erano, ormai». Anche così, il primo tra i rossoblù. Per sempre.

 

Giacomo Bulgarelli e la Nazionale. Debuttò in azzurro ai Mondiali in Cile, nel ’62, e contro la Svizzera fece subito doppietta per far capire chi era. Uscì per infortunio nella maledetta partita con la Corea ai Mondiali del ’66, e dopo di lui fu il diluvio. Lo esclusero dal giro nel ’69, neanche trentenne, perché aveva scelto di servire fedelmente il Bologna e il Bologna non aveva più le maniglie giuste nel palazzo del potere. In tutto 29 presenze, poche per un campione di razza come lui, e sette gol azzurri.

 

L’onorevole Giacomino ha amato il Bologna fino all’ultimo. Lo ha anche traghettato, da dirigente, in momenti delicati. E poi si è dedicato alla televisione, impadronendosi subito dei meccanismi e dimostrandosi uno dei commentatori più preparati, più precisi, più autorevoli, più capaci di gestire e di gestirsi. Se ne è andato dopo aver lottato contro il male con tenacia, e con la dignità di sempre. Oggi che ci manca immaginiamo che lassù si sia ritrovato con quel bel manipolo di bolognesi che hanno amato i colori della loro città inseguendo un pallone. Che sia lì, accanto a Anzlèin Schiavio e a “Medeo” Biavati. Le bandiere ci hanno lasciati, noi non dimenticheremo il colore e il calore delle bandiere.

 

47 – continua

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