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A TU per Tu – Intervista esclusiva ad Adaílton: “I tifosi rossoblu sono il Bologna, io vorrei tornarci in futuro. Quella tripletta contro il Genoa…”

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Quando si parla di attaccamento al Bologna si deve, per forza, citare Adaílton; l’ex calciatore brasiliano ha vissuto in rossoblu, dal 2007 al 2010, anni intensi e pieni di affetto. Quest’oggi abbiamo avuto l’onore di intervistarlo e rivivere, insieme a lui, i momenti più belli vissuti in carriera.

Come stai in questo momento?

“Bene dai, anche se la situazione è molto difficile; stare così, con il mondo che si è fermato è davvero un casino. Sembra che la vita sia stata messa in standby e anche la ripartenza di tutto si sta vedendo in maniera pessimista, anche perché non c’è nulla di certo”.

Hai scoperto nuove attività?

Si, la cucina è una di quelle; ho fatto un pò di tutto e diciamo che sono abbastanza soddisfatto. Poi ho anche i bambini a cui badare e non è facile, anche per loro è molto dura questa situazione. Loro sono tranquilli però e questo è l’importante; però fidati che è dura controllarli, perché la cosa più facile sarebbe quella di metterli davanti alla TV ma non credo sia la cosa più salutare per loro”.

Torniamo indietro nel tempo; all’inizio della tua carriera sei stato paragonato a Ronaldo e Romario. Tutto ciò che effetto ti ha fatto?

“Erano pressioni molto grandi, perché loro erano veri idoli. Ronaldo era quasi un coetaneo, stava facendo bene ma ancora non era il Ronaldo del top; Romario, invece, era l’idolo principale di tutti i ragazzini che iniziavano ad entrare in questo mondo. Poi io nella Nazionale giovanile giocavo con la numero 11, quindi le pressioni aumentavano. Ovviamente eri felice perché ti paragonavano a certa gente, però dovevi stare molto attento a questi paragoni”.

Sono stati nocivi?

“Su di me hanno avuto sia effetti positivi, sia negativi. Il grande problema dei paragoni è che creano molte aspettative; non basta più quello che fai tu, devi vedere anche ciò che fanno loro. Poi è normale che i tuoi numeri è difficile che si avvicinino ai loro, quindi ti dicono si bravo, però nulla di più. Allo stesso momento ti crescono gli stimoli, hai dimostrato che hai qualità e quindi ci sono delle aspettative su di te. Quindi diciamo che aspetti negativi e positivi viaggiano parallelamente”.

Il trasferimento in Serie A com’è stato?

“E’ stato un pò improvviso perché, dopo aver disputato il Mondiale Under 20, ero rientrato in Brasile perché c’era una trattativa per portarmi al Palmeiras; io mi aspettavo quindi di rimanere a casa, poi è venuto fuori il discorso di Parma e alla fine ciò si è concretizzato. All’inizio è stato difficile, quando non programmi le cose poi ti senti sempre un pò spaesato. Era una situazione totalmente nuova: altra cultura, altra lingua, altro modo di giocare. Ovviamente è stato anche bello, era il mio sogno e quindi ho accettato tutto, ma il primo periodo è stato complicato”.

Perché?

“Il campionato italiano, all’epoca, non era come quello di oggi; i giovani non avevano molto spazio, si investiva quasi esclusivamente su calciatori già affermati, perché quello italiano era il torneo più forte al mondo. Io, in quel momento lì, avevo bisogno di giocare, il problema è che mi trovai di fronte dei grandi calciatori e quindi non ho avuto molto spazio: giocavo poco in campionato, diverse volte in Coppa Italia, però non avevo continuità e per me era un problema. Avevo tanta energia e questa discontinuità un pò me la faceva perdere. Ti dico anche che sono cresciuto tantissimo mentalmente, però sul campo ho avuto poca fiducia”.

Sei arrivato al Parma posto di Baggio: che ti disse Ancelotti in quei giorni?

“Questo discorso è un pò particolare e spesso è stato frainteso. Io sono arrivato a Parma perché, per il mister, era più facile farmi fare la riserva di Crespo e Chiesa. Baggio, invece, sarebbe stato un problema da gestire. Quindi è questo il motivo, sono stato preferito a lui ma per un discorso di gestione e non per un discorso tecnico. Ancelotti non aveva intenzione di privarsi di Crespo e Chiesa e lo disse chiaramente: se Baggio viene qui nasceranno dei problemi. Lui mi ha parlato in quei giorni, aveva molta fiducia in me e mi disse che avrei avuto diverse possibilità di giocare”.

Dal Parma al Psg: è stata un’occasione arrivata troppo presto?

“Assolutamente sì, non ero ancora maturo per un palcoscenico del genere. All’inizio ho avuto grandi problemi: arrivai lì con Ricardo Gomez che era l’allenatore, ma prima del ritiro venne mandato via e arrivò Alain Giresse che portò con sé due attaccanti. In quel momento ero in difficoltà, avevo pochi spazi e glielo dissi, anche perché con Ricardo avevamo parlato e mi disse che avrei avuto più spazio. Diciamo che si sono create le stesse situazioni di Parma, poi quando lui è andato via le cose sono migliorate; io ero lì in prestito, il presidente del Psg mi venne a chiedere di rimanere però io volevo tornare in Italia”.

Al Verona hai avuto un giovane Prandelli, cosa rappresentava per te?

“Per me il Prandelli dei primi anni è stato il Prandelli più forte; per i giovani come noi era qualcosa di straordinario, ti insegnava a giocare a calcio e sapeva gestire il gruppo. Con lui potevi crescere: in quel periodo abbiamo fatto grandi prestazioni ed era difficile, perché le squadre erano tutte forti”. 

Al Genoa sei arrivato maturato?

“Sì, lì ero già maturo. Mi sentivo forte, sapevo di poter fare la differenza su tanti aspetti. Gestivo bene la pressione e anche nello spogliatoio riuscivo ad impormi, perché avevo acquisito una certa fiducia dagli anni di Verona. A Genova ho trovato un ambiente bellissimo e un allenatore spettacolare: Gian Piero Gasperini. Parlo ancora oggi con lui e ti dico che, se oggi sono convinto di voler fare il msiter, è soprattutto merito suo. Ho imparato tanto da lui, voleva sempre giocare senza paura, a differenza di altri allenatori. Anche con le grandi, perché tanto se vai, ad esempio, a giocare a Torino contro la Juve, se perdi può essere accettabile: quindi alla fine vai lì per giocartela, perché se entri in campo per non perdere, alla fine perdi. Dybala, Ronaldo, Higuain alla fine il colpo te lo trovano: quindi Gasperini diceva e dice proprio questo. Poi tornando all’ambiente, giocare a Marassi è unico e in quel periodo giocavamo bene, un pò come l’Atalanta di oggi”.

Gasperini è quindi l’allenatore che ti ha dato di più?

“Io sono sempre stato fortunato: abbiamo parlato di Prandelli, Ancelotti e Gasperini, quindi non riesco a sceglierne uno, prendo un mix di tutti e tre. Ancelotti era un maestro nella gestione del gruppo, Prandelli era il migliore per ciò che ti insegnava, infine Gasperini è sempre stato un grande motivatore, voleva farti giocare, anche a costo di rischiare. Poi anche Malesani mi ha dato molto, sotto altri aspetti, quindi ripeto: ho avuto la fortuna di imparare molto da tutte queste grande persone”.

Arriviamo al Bologna: che aspettative avevi?

“Il Bologna è una di quelle squadre che ti fanno pensare ‘sarebbe bello giocare lì’: prima di arrivare in rossoblu, tutti mi parlavano bene del Bologna, anche chi non aveva mai giocato al Dall’Ara. All’inizio ero un pò titubante perché era in Serie B, però poi ero entusiasta di arrivare in rossoblu. Avevo grandi stimoli, perché fare bene con una grande società era qualcosa che ti dava un sacco di soddisfazioni. Io ho girato per tante squadre, ma Bologna è speciale, mi è rimasto dentro qualcosa di grande. Anche quando ritorno adesso, trovo tante persone della mia esperienza lì che mi apprezzano ancora. Senti il calore della città, l’ambiente poi è fantastico. Bologna è una di quelle storie d’amore che vorresti per sempre, poi ho ricordo bellissimi”.

Come la tripletta contro il Genoa…

“Indimenticabile! E’ stata spettacolare quella giornata, per diversi aspetti. Innanzitutto ero un ex, tornavo a Genova ed era una bella emozione. Poi, durante la partita, successe di tutto: andavi sotto, poi rimontavi, poi di nuovo in svantaggio e recuperavi ancora. Arrivammo al 3-3, quindi poteva essere un risultato accettabile, invece no: segno il 4-3 e fu euforia pura. Poi sono stato protagonista di tutti i gol: nel primo ho iniziato l’azione dall’angolo, nel secondo ho rubato palla e ho segnato, nel terzo ho iniziato l’azione da centrocampo e ho concluso, mentre all’ultimo ho cercato il rigore in contropiede. Fu una partita perfetta, poi era da tanto che il Bologna non vinceva a Genova: fu tutto bellissimo”.

Cosa hai pensato dopo il quarto gol?

“Speriamo finisca così! Era troppo bello per essere vero, ma così doveva finire. Poi giocammo proprio bene, quindi meritavamo la vittoria. Gli ultimi 10′ poi li gestimmo alla grande e, alla fine, mi son portato il pallone a casa”.

Altri momenti emozionanti?

“Forse la promozione in A; quel campionato fu durissimo, Lecce e Chievo andavano forte e quindi era difficile. Noi però volevamo assolutamente andare in A, anche perché la massima categoria mancava alla città, lo sentivi proprio nell’aria. Il Bologna è una squadra da A, quindi dovevamo – in quell’anno lì- dare il massimo per accontentare i tifosi”.

Cosa rappresentano i tifosi rossoblu?

“I tifosi del Bologna sono il Bologna. Tu respiri il Bologna nei suoi tifosi, quando vanno allo stadio cantano, ti incitano, ti fanno sentire parte di qualcosa. Per questo motivo ti dico che sono ancora legato a questa squadra, perché mi sento ancora parte di una famiglia. Tutto ciò viene trasmesso dai tifosi, dall’affetto e dalla fiducia che ti regalano ogni domenica”.

Con chi è che hai legato maggiormente di quell’esperienza?

“Un pò con tutti, Di Vaio ad esempio ma anche altri. Ti dico Gaby Mudingayi, Portanova, Lanna, Guarna, Buscè, Moras, Modesto: tutti questi qui. Non era solo una squadra, ormai era diventata una famiglia. Bologna è la squadra in cui ho ancora molti contatti; a Verona, ad esempio, ho giocato con diverse persone per diversi anni ma ora non li sento più. In Emilia invece c’è un affetto diverso, il clima è magico”.

Qualche rimpianto nella tua carriera?

“Forse sarei andato via prima da Verona. Chiarisco: lì ho vissuto un periodo importante, c’è però stato un momento in cui avevo molte offerte dalla A e io, invece, rimasi in B per rispetto verso una società che mi ha sempre dato tanto. Alla fine non è un vero e proprio rimpianto, anche perché ancora oggi mi vedono come una bandiera. Ricordati che la carriera passa, ma la stima e l’affetto nei tuoi confronti restano per sempre”. 

Quali sono i tuoi obiettivi futuri?

“Ritornare al Bologna sarebbe un sogno, iniziare un ruolo in una grande società come lo è quella rossoblu sarebbe fantastico; sono legato alla città e l’ambiente, ora però è difficile fare pronostici. Il mio sogno è allenare, ho già iniziato e spero un giorni di arrivare ad alti livelli, come lo sono stato da calciatore. Ho lo stesso entusiasmo di quando iniziai a giocare, forse ne ho di più. Ora sono davvero cosciente: quando inizi a giocare a calcio hai solo sogni, ora invece sono decisioni che prendo io e spero, un giorno, di poter arrivare in alto”.

Grazie mille, un abbraccio.

“Grazie a te, a presto”.

 

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