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Amarcord – Enéas, l’uomo che lottò contro il freddo

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Spesso nella narrazione dello sport e dei suoi personaggi, soprattutto quando gli stipendi sono elevati, ciò che sfugge è il fattore umano: viene dato per scontato che ovunque un professionista venga messo egli debba essere in grado di rendere da subito al massimo. Questa visione non tiene conto di una molteplicità di fattori legati al quotidiano e che noi stessi sperimentiamo, ma che difficilmente vengono messi in relazione alle prestazioni atletiche. Nel 2014 Andre Iguodala, giocatore entrato in NBA nel 2004, ha dichiarato di aver riscontrato numerosi benefici grazie alla risoluzione dei suoi problemi di sonno e la sua carriera, già ottima, ha subito una svolta in positivo riuscendo egli a vivere una seconda primavera nel momento in cui, invece, il suo corpo avrebbe dovuto iniziare a dare i primi segni del tempo. Le poche ore dormite dal giocatore non erano dovute a una vita extracampo fatta di eccessi e di divertimenti fuori controllo, ma dalla difficoltà di adattarsi ai ritmi dovuti al calendario serrato, alle trasferte, agli orari di gioco, agli impegni post partita con i media e a una sua connaturata difficoltà a prendere sonno. A supporto di questa teoria sono stati presentati anche alcuni studi realizzati dall’Università di Stanford sulle prestazioni fisiche nel basket. Per chi non soffre d’insonnia è difficile comprendere quanto una variazione delle condizioni in cui si dorme, fosse anche solo un cambio di luogo, possano influire sulla regolarità del sonno e sulla vita quotidiana, eppure questo è un problema che è lecito pensare colpisca molti sportivi, basti pensare che in Italia una persona su quattro ne soffre. Se quello di Iguodala è un esempio di risoluzione positiva, esistono tanti esempi di carriere naufragate per motivi personali e non legate direttamente allo sport: sempre nel mondo del basket Royce White a causa del disturbo d’ansia generalizzato non era in grado di prendere aerei, problematica difficilmente compatibile con lo sport professionistico negli Stati Uniti, mentre nel calcio è possibile ricordare Royston Drenthe che nel 2009 chiese a Juande Ramos, allora allenatore del Real Madrid, di non farlo giocare perché non si sentiva in grado di reggere la pressione dei fischi o, più recentemente, Mohamed Ihattaren che nel 2021, appena diciannovenne, ha iniziato a soffrire di depressione non riuscendo mai a esprimersi sul campo. Un caso simile ha visto protagonista anche un giocatore passato per un solo anno a Bologna: Enéas.

La stagione 1980-1981 fu segnata da due grandi cambiamenti: il primo fu che nella seconda parte del campionato precedente era scoppiato lo scandalo Totonero e nell’estate il processo sentenziò la retrocessione di Milan e Lazio e la penalizzazione di cinque punti per l’annata successiva per Avellino, Perugia e Bologna, il secondo, invece, fu la possibilità di tesserare nuovamente dopo quindici anni un giocatore straniero per squadra. Il Bologna, come molte società, approfittò dell’occasione per cercare fortuna in Sud America e in particolare in Brasile. Enéas, che nelle precedenti stagioni aveva sempre militato nel Portuguesa e tra il 1984 e il 1986 aveva indossato per tre volte la divisa della nazionale brasiliana, era un attaccante dall’alto tasso tecnico e dalle ottime capacità di rifinitura ma che, diversamente da quanto potevano far intuire le quarantasei reti in centonove partite nella sua esperienza con il club paulista, non spiccava per le doti di finalizzazione. Il suo arrivo in rossoblù fu particolare: a lui l’agente non disse nulla riguardo la penalizzazione della squadra per evitare possibili ripensamenti, rischio che a posteriori sembra essere stato solo immaginario perché nel momento in cui scoprì dell’handicap in classifica non mostrò segni di fastidio o cali di impegno, e dalle interviste si capì che prima dell’arrivo in città egli non avesse idea dell’esistenza di Bologna e non sapesse dove fosse collocata all’interno dell’Italia. Questa descrizione non deve, però, far pensare a un giocatore svogliato e indolente, anzi, egli è sempre stato descritto dai giornalisti e dai compagni come una persona sorridente e propensa allo scherzo e al divertimento. Enéas ha impiegato poco tempo a entrare nel cuore dei tifosi e alla quarta di campionato a Torino contro la Juventus realizzò probabilmente la sua miglior partita in Italia, mostrando in campo tutte le sue grandi qualità tecniche e procurandosi il rigore, realizzato da Paris, che sancì la vittoria dei felsinei. L’idillio, però, terminò a novembre, poche settimane dopo aver realizzato contro l’Udinese il suo primo gol, con il presentarsi di uno di quei fattori solitamente non considerati nell’analisi di un giocatore, ma che invece possono segnarne l’intera carriera: per Enéas il problema è stato il freddo. L’attaccante era del tutto impreparato al freddo bolognese, ben diverso al caldo che in ogni stagione dell’anno caratterizza il suo Brasile e questa inaspettata variazione termica ha condizionato drasticamente la sua vita e quella della moglie, ancora più sofferente. Le giornate di Enéas erano segnate dal gelo e dalla necessità di restare chiuso in casa vicino a fonti di calore per rendere sopportabile la situazione: egli è sempre stato di poche parole con la stampa e le sue interviste erano brevi e alla luce di questo è ancor più significativo riportare le parole rilasciate a La Gazzetta dello Sport secondo cui «La neve l’avevo vista solo una volta a Parigi; è divertente vederla cadere ma solo il pensiero di andarla a pestare mi fa venire i brividi, mi blocca lo stomaco. Anche nell’alimentazione incontro qualche difficoltà. Non vedo l’ora che finisca questo freddo, per consolarmi mi dicono che presto sarà primavera, ma quando lo sarà veramente?». Le ripercussioni di questo malessere si evidenziarono anche nell’infortunio, uno strappo al bicipite femorale della coscia destra, rimediato realizzando da fermo un passaggio di tacco a mister Radice: la dinamica all’apparenza così buffa fu vista dai medici come il segno di un mancato adattamento del suo corpo alle nuove temperature. Rientrato dopo circa tre mesi si mostrò subito in ottima forma realizzando una rete in casa alla prima partita e dopo di essa corse a esultare abbracciando metaforicamente la curva. La stagione del Bologna si chiuse bene con la conquista del settimo posto, ma al termine del campionato sia Enéas, sia mister Radice non vennero confermati. L’attaccante venne scambiato con l’Udinese in cambio di Herbert Neumann, ma in Friuli non giocò mai, troppo freddo per lui e per la moglie e invece di un’annata di sofferenze ancora maggiori rispetto alla precedente preferì tornare in Brasile dove dopo tre stagioni con il Palmeiras militò alcuni anni nei campionati minori prima di iniziare una carriera nel marketing e nelle pubbliche relazioni. La vita di Enéas si è interrotta tragicamente il 27 dicembre 1988 a seguito delle complicazioni dovute a un incidente stradale. Quell’anno non poté compiere il suo tradizionale giro natalizio per gli orfanotrofi delle zone di San Paolo per portare ai bambini giochi e beni di prima necessità, un’azione, fatta anche quando era al Bologna, che ben esemplifica il cuore di Enéas e con cui voglio concludere questo racconto di un uomo che vide il suo talento bloccato dal freddo.

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