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Il Corriere di Bologna – La panchina piange: un Bologna senza alternative

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crediti immagine: Damiano Fiorentini per 1000 cuori rossoblu


Oggi alle 14:30 suona l’adunata a Casteldebole: il Bologna si raduna nel proprio fortino con l’obbligo imperativo di ritrovare sé stesso. Il resoconto del girone di ritorno è impietoso: quattro sconfitte su cinque partite giocate dopo Natale, con il solo punticino raccolto al Dall’Ara contro l’Empoli che emana meno luce di una candela in una notte di pioggia. Basandosi su quello che ha detto il campo nelle ultime settimane, le probabilità che da questa fiammella possa scoppiare un incendio paiono davvero esigue. Ma il condottiero del gruppo è chiamato a proteggere con le mani la debole lingua di fuoco, a costo di bruciarsi, e a tentare di alimentarla ad ogni costo. Il problema è con cosa.

Un simile filotto negativo non si può spiegare soltanto con un calo fisiologico di rendimento, dopo un girone d’andata da record. Non basta la strigliata, far volare gli stracci e attaccare i colpevoli al muro. I nodi sono venuti al pettine tutti insieme, e il dubbio che forse si siano sbagliate le valutazioni sul valore tecnico di diversi giocatori sta assumendo via via i contorni della certezza. Finché Sinisa ha potuto contare su tutti i titolari al massimo della condizione si è vista una squadra, con delle certezze tecniche ancor prima che tattiche. Appena alcuni giocatori sono venuti a mancare, o hanno mollato un istante, dietro di loro è apparso il baratro.

Il dato da prendere in considerazione è il numero di reti segante da calciatori entrati dalla panchina: soltanto quattro su ventinove complessivi. Ancora di più: tutti e quattro i gol si sono rivelati insignificanti sul punteggio finale. Il 6-1 di Theate con l’Inter, il 2-3 di Hickey contro la Fiorentina, il rigore di Orsolini a Torino e il timbro di Santander nel recupero del Mapei Stadium. Morale: se chi parte dall’inizio è bravo a indirizzare la partita sul binario giusto chi entra partecipa al divertimento, come l’amico ritardatario che si presenta alla festa con una bottiglia di mano quando tutti sono già allegri. Se invece c’è da cambiare marcia ad una partita complicata, serve ben altro.

La direzione che sta prendendo il calcio, ancora di più nell’era dei cinque cambi, è quella di superare la concezione degli undici titolari. Chi entra per uno specifico frammento di partita è chiamato ad incidere come chi è partito dall’inizio, se non di più. È finita l’epoca dei supplenti che salgono per risparmiare ai titolari un quarto d’ora, con l’unica pretesa di non combinare troppi danni. E non è soltanto pane per i denti dei ricchi. Diverse dirette concorrenti dei rossoblù possono contare su ben altro apporto da parte di chi subentra: l’Udinese ha raccolto 8 gol dalla panchina, il Toro 6 e il Sassuolo 5. E soprattutto reti significative.

Se poi gli stessi che quando entrano non riescono ad incidere sono chiamati a partite dall’inizio si rischia di passare dai 27 punti del girone d’andata alla fiammella da proteggere con le mani sotto alla pioggia. E in vista del posticipo di lunedì si preannunciano già vacche magre a centrocampo: Medel e Svanberg, squalificati, si aggiungono all’infortunato Dominguez nella lista degli indisponibili eccellenti. Mihajlovic è chiamato ad inventarsi in fretta un ombrello, prima che il temporale diventi tempesta, perché le mani sulla candela non bastano più.

Fonte: Alessandro Mossini, Il Corriere di Bologna

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