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Il Resto del Carlino – Turrini e la lezione di Sinisa:”Bisogna giocare anche se si perde”

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L’eredità, che Sinisa Mihajlovic ci lascia, non si può fermare a tutte le meravigliose punizioni calciate e i relativi gol, allo scudetto con la Lazio nel 2000, agli anni in panchina (iniziati con quella del Bologna e finiti sempre con quella rossoblù), ma s’impernia su una modalità di concepire la vita e lo sport che parla del coraggio e di affrontare tutte le avversità che le compongono, con lucida determinazione, senza che la paura possa impossessarsi di noi, rimanendo noi alla guida della nostra esistenza, anche contro, talvolta, i pareri dei medici, come nel suo caso.

Sinisa è stato un gigante, scrive Leo Turrini nell’articolo odierno sul Resto del Carlino, perché ha affrontato il Male, senza mai nascondersi ma combattendolo, guardandolo sempre negli occhi e raccontandolo, come a volerlo esorcizzare, al mondo intero. Così ha sempre fatto a partire da quella conferenza stampa, quasi improvvisa, tenuta a Casteldebole il 13 luglio del 2019, con quei dieci secondi di lacrime (“non sono lacrime di paura”, disse) e silenzio, che dimostravano tutta l’umanità del “personaggio” Sinisa, che non ci stava e si ribellava a quel destino. Con grande, grandissimo coraggio.

Lo stesso coraggio che dimostrò quel 25 agosto del 2019, dove, dopo una lunga corsa in macchina appena uscito dall’ospedale, apparve dimagrito e debolissimo al Marcantonio Bentegodi (presenza sconsigliata dagli stessi medici), dove i rossoblù debuttavano per quella stagione. In quella presenza c’è molto del “Sinisa-pensiero”: non per le telecamere, ne per l’ingaggio, ma per quel senso fortissimo del dovere e quella responsabilità professionale di vivere il suo tempo con un costrutto autodeterminato, perchè quello era il suo mestiere, la sua vita, la sua passione.

Con lo stesso coraggio guidava dalla camera di ospedale molti degli allenamenti dei suoi ragazzi (stagione o ritiro che fosse), per non fare mancare loro la sua presenza, perchè riteneva giusto così, perchè credeva nel “noi” più che nel “io”, rimanendo per tutti un esempio da seguire, un totem a cui ispirarsi quando le cose andavano meno bene.

Sinisa ha giocato tutti i suoi “90 minuti”, più recupero, che la Provvidenza gli ha permesso di giocare, senza mai pensare che non ci sarebbe stata una seconda partita: quella era la sua partita e così andava onorata fino in fondo, con determinazione e coraggio,  come, allo stesso modo, chiedeva ai suoi ragazzi in campo, con quel modo di intendere il calcio, tutto votato all’attacco e alla ricerca del gol, anche a costo di prendere imbarcate e caterve di reti. Ma questo era il Sinisa pensiero, immodificabile, che lo ha aiutato in questi anni durante la dolorosa malattia.

Ieri, purtroppo, il triplice fischio di questa sua “meravigliosa” partita che è stata la sua vita: non è importante, a questo punto, il tristissimo “risultato”, ma come è stata giocata. Da vero sportivo, da uomo vero.

(Fonte Leo Turrini – RdC)

 

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