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MONDAY NIGHT: Prima Categoria 1914-1915, uno Scudetto da riassegnare. O forse no? – 25 lug

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“Poi accadde qualcosa che nessuno aveva mai visto succedere: gli arbitri, trasfigurati in gravi banditori dei tempi andati, presero la parola all’unisono sui diversi campi per annunciare al pubblico, desideroso più che mai di distrazioni, e ai giocatori attoniti, che la festa era finita. Diedero pubblica lettura, le giacchette nere, del comunicato col quale la Federazione Italiana Giuoco Calcio deliberava la sospensione immediata dei tornei di ogni ordine e grado in vista dell’entrata in guerra contro l’Austria-Ungheria. All’inizio la gente non capì che nel provvedimento erano incluse anche le partite del pomeriggio, e iniziò a realizzare cosa stava succedendo solo quando gli arbitri, da Nord a Sud, rientrarono negli spogliatoio portando con sé i palloni.”

Così Enrico Brizzi racconta nel suo “Il meraviglioso giuoco” quella che fu la fine ufficiale della Prima Categoria 1914-1915, edizione numero 18 del campionato di calcio italiano sospesa a pochi calci dalla fine. Mentre infatti i primissimi eroi del nostro foot-ball – come veniva chiamato allora – correvano sui campi inseguendo la gloria in tutto il Paese ormai non si parlava d’altro che della guerra ormai imminente: inizialmente neutrale, l’Italia aveva visto crescere sempre più il partito degli interventisti, e rotta la triplice alleanza con Germania e Austria-Ungheria aveva deciso di schierarsi contro quest’ultima. Nessuno poteva immaginare quanto sarebbe stato lungo e sanguinoso questo conflitto: oltre quattro anni di trincee, mortai e baionette, quasi 40 milioni di morti, una tragedia che avrebbe toccato anche il calcio con le morti di nomi eccellenti, veri e propri pionieri quali Virgilio Fossati, Alberto Picco, Enrico Canfari, Luigi Forlani e James Spensley solo per citare alcuni nomi dei tanti eroi degli stadi che partirono senza mai più tornare.

Di questo anomalo campionato si è tornati a parlare in questi giorni di luglio, subito dopo EURO 2016 e nel bel mezzo del gossip estivo legato ad un calciomercato milionario che racconta di centinaia di milioni legati a trattative importantissime. Perché allora parlare di un campionato giocato ormai oltre un secolo fa? Perché la Prima Categoria 1914-1915 fu un campionato cominciato e mai concluso, sospeso nella convinzione/speranza generale che la guerra sarebbe durata un lampo e infine assegnato solo a conflitto concluso, quando fu chiaro che i protagonisti non avrebbero potuto riprendere dal momento in cui avevano lasciato. Il titolo di campione d’Italia fu assegnato al Genoa, squadra dominante dei primissimi anni del nostro calcio e che già verso la fine degli anni ’10 cominciava a perdere qualche colpo in favore delle più ricche squadre di Milano e Torino. Un’assegnazione che oggi fa discutere: nel momento in cui il torneo fu sospeso la situazione non era così ben definita, ma per capirla interamente bisogna fare un passo indietro.

Estate 1914, inizia la diciottesima edizione del massimo campionato calcistico italiano. Onde scongiurare il malcontento delle piccole società, che vogliono potersi giocare il titolo con le più grandi e attrezzate squadre metropolitane, la FIGC cambia ancora una volta formula al campionato. Vengono così creati numerosi gironi di qualificazione regionali, dai quali emergeranno le migliori squadre del nord e del sud d’Italia che poi, come da tradizione ai tempi, esprimeranno due rappresentanti che si sfideranno per il titolo di Campione d’Italia. Si tratta di una formula pensata per accontentare tutti e allo stesso tempo ridurre al minimo la necessità per club più o meno facoltosi di spostarsi in lunghe trasferte, con tutte le spese che questo comporta. È un calcio, quello dei primi anni ’10 del XX° secolo, che piace e appassiona ma ancora a metà del guado tra passatempo e religione nazionale: ancora i giornali parlano più di atletica e ciclismo, e così come si può passare da stadi perfettamente attrezzati a campi quasi improvvisati allo stesso tempo si possono incrociare sull’erba campioni ben remunerati e vigorosi dilettanti. Ad esempio, nel girone A di qualificazione, quello ligure-piemontese, il Genoa che si è appena salvato dall’accusa (fondata) di aver acquistato due calciatori – in un’epoca in cui è proibito – ottiene 9 vittorie su 10 gare, cadendo soltanto sul campo dell’Alessandria giunto secondo e segnando 65 reti: sono 6,5 gol a gara, media alzata dai confronti con l’Acqui terminati 16-0 e 12-0. Con due squadre su sei ( e le quattro migliori terze) che passano al girone successivo e un tale assembramento di club tra cui diversi dilettanti allo sbaraglio, è chiaro che al nord i turni di qualificazione sono una noiosa scocciatura per i grandi club, che rischiano soltanto di vedere qualche buon giocatore infortunarsi. Una scocciatura anche per stampa e tifosi, che devono attendere fino a dicembre che il torneo entri nel vivo.

Quando questo accade ecco che sono quattro le squadre designate a giocarsi il titolo di Campione dell’Italia Settentrionale: si tratta di Genoa (capace di superare il Casale Campione d’Italia in carica), Torino, Inter e Milan. E il 23 maggio 1915, quando appunto l’Italia entra in guerra, il campionato viene sospeso quando manca appena una giornata: il Genoa, primo con 7 punti, deve difendere il primato in casa propria ospitando l’arrembante Torino, che segue a due lunghezze e che all’andata in Piemonte ha inflitto al “Grifone” un pesante 6-1. Ci sono tutte le possibilità che i granata, guidati da Vittorio Pozzo, aggancino i rivali. E potrebbero non essere gli unici, dato che nel derby milanese l’Inter, già impostasi all’andata, ha la possibilità di prendersi due punti che la proietterebbero a quota 7, alla pari del Genoa quindi. Insomma, il campionato è tutt’altro che chiuso quando i venti di guerra svuotano gli stadi del nord. E sotto gli Appennini? Il calcio nel centro e nel meridione era arrivato in ritardo, e poche erano le squadre veramente attrezzate per competere a buoni livelli. La storia del resto parlava chiaro: da quando si era disputata la finale nazionale “nord contro sud” mai una rappresentante di quest’ultimo aveva anche solo sfiorato l’impresa di imporsi, nonostante gironi di qualificazione più blandi sia come numero di impegni che come qualità degli avversari. La finale nazionale era considerata una semplice formalità, un atto dovuto, e del resto il trend non cambierà poi granché nel corso della storia: soltanto nel 1941-1942 una squadra a sud di Bologna, la Roma, conquisterà lo Scudetto, e su 112 scudetti assegnati a luglio 2016 appena 10 sono andati a squadre centro-meridionali.

Comunque il torneo va giocato, e la Lazio si impone giungendo prima seconda nel girone laziale alle spalle del Roman, uno dei tanti club da cui nascerà la Roma, quindi superando nel girone dell’Italia Centrale i concittadini e i toscani di Pisa e Lucca. Campioni dell’Italia Centrale, i laziali attendono di sfidare i campioni meridionali per poi andare a giocarsi la finale valida per lo Scudetto, ma attenderanno invano: al meridione soltanto due squadre si contendono la possibilità di sfidare la Lazio, e sono Naples e Internazionale Napoli. Si scontrano, e andata e ritorno sono favorevoli a questi ultimi (4-1 e 1-1), ma la FIGC a fine aprile ordina la ripetizione della sfida in quanto vengono rilevate diverse irregolarità nel tesseramento dei giocatori di entrambe le compagini. Il nuovo incontro d’andata dello spareggio viene giocato il 16 maggio 1915, l’Internazionale Napoli esce vincitore dal campo con il rassicurante punteggio di 3 a 0. Risultato che virtualmente la lancia verso la finale centro-meridionale contro la Lazio che però non sarà mai giocata, visto che la guerra interrompe il calcio in tutto il Paese. 

Ed eccoci ai giorni nostri. Al termine del conflitto la FIGC, forse erroenamente e senz’altro frettolosamente, assegna al Genoa lo Scudetto del 1914/1915. C’è voglia di lasciarsi la guerra e i suoi orrori alle spalle, di ricominciare da capo, di chiudere una storia e iniziarne una nuova. Il titolo va al Genoa perché viene semplicemente riconosciuto come il club più forte, in testa al campionato al momento di una sospensione di cui certo non ha responsabilità e atteso da una finale contro il Centro/Sud che come abbiamo visto è poco più di una formalità. La Lazio però protesta, e oltre un secolo dopo una petizione firmata da 30,000 tifosi chiede che il caso venga riaperto: il club fu danneggiato, venendo considerato sconfitto in una gara che non ebbe mai la possibilità di disputare per ragioni indipendenti dalla sua volontà. Per questo Lotito chiede l’assegnazione ex-aequo dello Scudetto 1914/1915, in un ragionamento che però non tiene conto del fatto che non soltanto Torino e Inter avevano ancora più che concrete possibilità di agganciare il Genoa, ma che la Lazio stessa avrebbe dovuto affrontare una tra Naples e Internazionale Napoli, che negli anni successivi peraltro si sarebbero fuse diventando l’attuale Napoli. 

Se vogliamo quindi considerare un errore l’assegnazione dello Scudetto 1914/1915 al Genoa, bisognerebbe valutare l’idea di annullare quel campionato oppure di premiare con il titolo non soltanto la Lazio ma anche Inter, Napoli e Torino, che ugualmente potevano vantare possibilità – più o meno remote – di vittoria finale. Un caso complicato, dunque, che possiamo soltanto sperare la FIGC saprà gestire al meglio.

Nota: ringrazio l’amico e storico calcistico Mario Fadda per l’aiuto determinante nello stendere questa complessa quanto per me affascinante storia.

foto: www.retrofootballclub.com, bmliterature.altervista.org, calcioantico.wordpress.com 

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