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Calcio

Joe Gaetjens, un goal per l’immortalità – 06 Apr

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Quel tiro da poco piu’ di 20 metri di Walter Bahr è ben calciato ma innocuo: Bert Williams, accreditato come uno dei migliori portieri dell’epoca, non potrà mai essere battuto così e infatti rapido si muove, pronto al tuffo che avrebbe sventato quell’assurdo tentativo. Quand’ecco che dal nulla spunta Joe Gaetjens, che si tuffa e di testa devia il pallone quel tanto che basta. Williams è sorpreso, la palla lentamente rotola verso la rete. 
E’ gol.
Il suo autore è a faccia in giu’ nell’erba, probabilmente per qualche istante nemmeno sa che ha appena scritto la storia.


E’ un momento storico nella storia del calcio, è il Mondiale del Brasile, anno 1950.

Gli Stati Uniti, autentici dilettanti allo sbaraglio, hanno appena segnato un gol ai maestri del football dell’Inghilterra, alla loro prima apparizione dopo anni di auto-esilio imposti da una superbia che si rivela infondata. I maestri inglesi scoprono che non solo nel resto del mondo qualcuno gioca a calcio meglio di loro, ma anche che questo qualcuno può essere la improbabile e malmessa compagine americana.
La partita non si sblocca piu’, il portiere Frank Borghi, uno che faceva battere i rinvii da fondo campo da un compagno perché non sapeva colpire il pallone con i piedi, tra i pali è in giornata di grazia, devia pure le mosche. Il difensore Charlie Colombo, soprannominato “Gloves” per via della sua abitudine a giocare sempre con guanti di pelle tagliati alle dita, è il migliore in campo: picchia come un fabbro gli eleganti ma timorosi attaccanti inglesi, corre e si sfianca per 90 minuti. Ci si mette pure una traversa per i figli di Albione. Ma finisce così.
1 a 0 per gli Stati Uniti. E tra Borghi e Colombo spicca ovviamente lui, l’autore del goal, l’eroe della giornata: Joe Gaetjens, cognome dal sapore fiammingo, classe europea. Haitiano. Eppure non esiste un immagine chiara di quella rete. I fotografi e i cineoperatori si sono messi tutti dietro la porta degli americani, immaginando una pioggia di reti inglesi in quello che era un confronto che, se veniva definito Davide contro Golia, significava che si sopravvalutava decisamente Davide. L’Inghilterra si presentava al Mondiale quotata, per la vittoria finale, 3 a 1. Gli Stati Uniti erano stati quotati solo per dovere, e comunque 500 a 1.
Il team degli Stati Uniti era stato costruito in fretta e furia, a cavallo tra il 1949 ed il 1950, giusto per evitare agli americani un altra figuraccia come quella rimediata alle Olimpiadi del 1948, dove erano usciti al primo turno sconfitti dall’Italia per 9 a 0. Un risultato pesante, seguito da due sconfitte in amichevole con Norvegia (11 a 0!) e Irlanda del Nord (5 a 0) che aveva convinto i dirigenti americani che con quella squadra lì ai Mondiali ci sarebbero state figuracce addirittura piu’ congrue. Qualificatisi senza molto onore (una vittoria ed un pari contro Cuba, due sconfitte (6-0 e 6-2) contro il Messico e il Canada che si era ritirato) ai dirigenti non rimaneva che mettere su la miglior squadra possibile unendo 6 superstiti della squadra ad altri giocatori locali: fu così che nacque la squadra americana, che univa un gruppo che si conosceva bene di giocatori della zona di St. Louis ad altri calciatori comunque dilettanti, alcuni dei quali rifiutarono per via del lavoro. Pochi giorni prima della partenza per il Sudamerica arrivano gli ultimi tre rinforzi: il belga Maca, lo scozzese McIlvenny e l’haitiano Gaetjens, capocannoniere della American Soccer League nei NY Brookhattan Galicia.
Professione lavapiatti.
Joe è in America per studiare alla Columbia University. Ha vinto due campionati, da giovane, nella liga haitiana nelle fila dell’Etoile Haitienne, dove ha esordito ad appena 14 anni. E’ figlio di una nobile famiglia decaduta, Joe: i Gaetjens sono arrivati ad Haiti grazie al bisnonno Thomas, emissario del regno di Prussia per conto di Federico Guglielmo III, e anche se non hanno piu’ la fortuna di una volta vivono commerciando rum e tabacco e hanno un peso politico notevole nell’isola Caraibica.
Gaetjens non può partecipare ai Mondiali, ma gli Stati Uniti trovano un escamotage: visto che ogni paese crea la sua selezione nazionale secondo le proprie regole interne, ai dirigenti americani basta una dichiarazione dove Gaetjens si impegna ad assumere la nazionalità degli Stati Uniti in futuro ed ecco che è abile e arruolabile. I compagni se lo ritrovano in squadra così, dalla sera alla mattina, e non hanno ovviamente niente da ridire: il ragazzo è nella piena maturità, 26 anni, e mostra numeri da gran giocatore. Molto agile e incredibilmente rapido, ha il gol nel sangue e una discreta tecnica di base. Ottima, considerato il livello del team a stelle e strisce.
La prima partita del Mondiale è una piacevole sorpresa: gli americani passano in vantaggio con la Spagna grazie ad un gol di Gino Pariani, uno dei numerosi italo-americani presenti in rosa, e solamente nel finale, a causa della loro inesperienza, vengono raggiunti e superati dalla Spagna.
E’ un 3 a 1 che non fa male, anche perché l’attenzione di tutti è già alla partita successiva, contro gli esordienti (ai Mondiali) maestri del calcio, la fortissima Inghilterra del Pallone d’Oro Stanley Matthews. Gli inglesi dominano, poi vengono sorpresi dalla rete di Joe che vi abbiamo raccontato, e perdono. Lo shock è così grande che in Inghilterra, pensando ad un errore dei telegrafi, leggono 1 a 0 e pensano a 0 – 10, come se dal Brasile si fossero dimenticati uno 0: alcuni giornali pubblicano addirittura questo risultato.
E invece no, gli americani stupiscono il mondo sconfiggendo i supponenti inglesi: sarà un fuoco di paglia, nella successiva (e decisiva, ai fini della qualificazione) partita vengono impallinati dal Cile ed escono. 5 a 2 per i sudamericani il risultato, con Colombo che abbandona il campo di sua spontanea volontà, distrutto moralmente dai numeri irrisori dei cileni. Per la cronaca l’Inghilterra si dimostrerà squadra effettivamente sopravvalutata, perdendo con la Spagna e salutando anch’essa la competizione al primo turno.
Gli americani tornano a casa, ma dopo pochi mesi Gaetjens è in Francia: lo vuole il prestigioso Racing Club de Paris, dove gioca solamente 4 gare (segnando comunque 2 reti) per via di una serie di infortuni e l’anno successivo si trasferisce nell’Alés, seconda divisione: sono 15 presenze e altre 2 reti, con un ginocchio che non ne vuole sapere di stare bene. La stagione successiva Joe ritorna in patria, nella sua Haiti, come rappresentante e testimonial di Palmolive e Colgate. Centinaia di persone lo aspettano all’aereoporto e ritorna a giocare nella squadra dell’infanzia, l’Etoile Haitienne, per smettere poco dopo però per via di un fisico debilitato che gli causa anche misteriose perdite di sangue dal naso. La promessa di prendere la cittadinanza americana non verrà mai mantenuta, e ciò gli permetterà di giocare anche con la maglia della Nazionale di Haiti una volta prima di ritirarsi.
Nel 1953 gli Stati Uniti visitano Haiti per le qualificazioni ai Mondiali del 1954 e Gaetjens ospita i suoi ex-compagni in un party nella sua villa a Port-au-Prince: è la prima volta che gli eroi che fecero l’impresa contro l’Inghilterra si rivedono, e tutti ricorderanno un Joe allegro, come sempre.
Joe andava sempre a giocare a calcio con i suoi figli e tornava sempre con le tasche vuote. Era generoso, specialmente con i bambini dei bassifondi, una generosità naturale e non artefatta.
Un ragazzo adorabile, davvero come un bimbo” ricorderà anni dopo il compagno Keogh. E un bimbo non può credere che esista il male.
Joe Gaetjens ama la moglie, i suoi figli, il calcio, e non ha nessun interesse nella politica: la sua famiglia però si, è influente e appoggia Louis Déjoie, che perde le elezioni politiche del 1957 a favore di Francois Duvalier. Anche se i Gaetjens residenti ad Haiti hanno un buon rapporto con il nuovo Presidente, i due fratelli piu’ giovani di Joe sono in Repubblica Dominicana da dove, si dice, vogliono organizzare un colpo di Stato.
Quando l’8 luglio del 1964 Duvalier annulla la democrazia haitiana dichiarando se stesso presidente a vita, i Gaetjens rimasti capiscono che aria tira e lasciano l’isola. Tutti meno Joe. In fondo, lui lì ha il suo paradiso, è un eroe nazionale, è solo un uomo a cui piace il calcio.
Joe Gaetjens è come un bambino che non crede che il male esista, ma due giorni dopo “Papa Doc” Duvalier ordina un brusco risveglio: al mattino del 10 luglio la polizia segreta lo cattura e lo trasferisce nella prigione di Port Dimanche, dove vengono tenuti i prigionieri delle famiglie scomode fuggite dal regime. Joe paga per il suo cognome, per la sua famiglia.
E’ questa l’ultima parte nota della vita di Joe Gaetjens: ogni mezzanotte, a Port Dimanche, un prigioniero viene portato nel cortile e giustiziato. C’è chi dice che Joe muoia così, due giorno dopo l’arresto, chi invece nei giorni successivi per via delle enormi privazioni che patiscono i reclusi. In ogni caso è giovane, Joe, ha appena 40 anni.
Il suo corpo non verrà mai identificato.
Finisce così la storia di Joe Gaetjens, l’autore del goal decisivo nel celebre “Miracolo sull’Erba” del 1950, quando la sgangherata truppa americana sconfisse i maestri del football inglesi. Di lui rimangono poche foto e tante testimonianze degli allora compagni, che ne sottolineeranno le notevoli capacità tecniche ed atletiche precisando però che questo era niente di fronte al carattere del ragazzo, una persona semplice e buona sempre pronta a sorridere e a far sorridere. Uno sportivo vero entrato nella storia del calcio così nitidamente così come poco nitidamente è sparito da quella della vita.
A volte il calcio ti rende immortale.
Per Joe Gaetjens è stato così.

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